venerdì 25 settembre 2009

Giuliano Garavini: l'autocritica del riformismo italiano

Da Aprile

L'autocritica del riformismo italiano
Giuliano Garavini, 24 settembre 2009, 12:55

Dibattito Fino ad oggi il tentativo italiano di uscire da sinistra dalla crisi del riformismo europeo non è riuscito e guardiamo e con molta invidia alle esperienze tedesche di "die Linke". Ma da qui alle prossime elezioni c'è ancora tempo (se non si punta tutto a far cadere Berlusconi) e il congresso della Cgil dove si sfideranno mozioni alternative darà molte indicazioni sul grado di combattività di una sinistra radicale in Italia



Se la crisi economica non sembra aver prodotto cambiamenti strutturali nel mondo dell'economia reale, fatto salvo un rafforzamento delle posizioni di banche e imprese e un accresciuto tasso di disoccupazione nel mondo industrializzato, essa sembra almeno aver prodotto un certo numero di sfoghi e autocritiche sul fronte del riformismo italiano.

Nel suo recente fondo su "il Corriere della Sera" uno dei più seri riformisti italiani, l'economista Michele Salvati, ammette che il socialismo europeo ha saputo solo adattarsi al sistema capitalistico senza offrire modelli alternativi: è questo ‘adattamento' degli ultimi vent'anni che ha reso i riformisti europei esposti all'attacco odierno del centro destra specie quando è impersonato da leader capaci e opportunisti come Sarkozy.

E non dimentichiamo che, il giorno prima di Ferragosto, Romano Prodi, simbolo del tentativo italiano di adattarsi al mercato e all'Europa e l'unico ad aver fatto vincere alle sinistre le elezioni, ha turbato le vacanze dei riformisti affermando che "La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour e l'ulivo mondiale erano una fucina di novità, nella prassi di governo di Tony Blair e i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio[...]
Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. Il messaggio lanciato all'elettore era il più delle volte dedicato a dimostrare che il modo di governare sarebbe stato migliore".

Che il miglior riformismo italiano ammetta la debolezza del suo pensiero e che critichi le disastrose esperienze delle socialdemocrazie europee negli anni Novanta è già un passo avanti. Certo il Partito democratico non ne ha saputo trarre le dovute conseguenze quando ha deciso di astenersi nel voto al Parlamento europeo sulla rielezione di Barroso, il peggior presidente nella storia Commissione europea e uno dei più compromessi con le logiche del mondo della finanza e dell'imprenditoria europea.
Fino ad oggi il tentativo italiano di uscire da sinistra dalla crisi del riformismo europeo non è riuscito e guardiamo e con molta invidia alle esperienze tedesche di "die Linke". Ma da qui alle prossime elezioni c'è ancora tempo (se non si punta tutto a far cadere Berlusconi) e il congresso della Cgil dove si sfideranno mozioni alternative darà molte indicazioni sul grado di combattività di una sinistra radicale in Italia.

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