giovedì 3 settembre 2009

Michele Ainis: Se si rovescia la grammatica della politica

Da La Stampa

3/9/2009

Se si rovescia la grammatica
della politica





MICHELE AINIS

Passi quando i politici si querelano a vicenda. Negli ultimi tempi è successo per esempio tra Vendola e Gasparri, così come succede a giorni alterni tra Di Pietro e Berlusconi, ora perché il primo accusa il secondo di riempirsi le tasche attraverso gli accordi commerciali con la Libia, ora perché il secondo accusa il primo d’aver scroccato la laurea grazie all’aiuto dei servizi segreti.
In tutti questi casi la querela non è che uno strepito di carte bollate, è un urlo scritto, nemmeno il più assordante nel gran baccanale cui ci ha reso avvezzi la politica. E oltretutto si risolve quasi sempre in una bolla di sapone, tanto parlamentari e consiglieri regionali sono insindacabili per le opinioni espresse, come peraltro sanno fin troppo bene gli stessi interessati.

Ma quando il politico di turno cita in giudizio un organo di stampa, allora no: qui s’apre un fronte di tutt’altro genere. È il fronte su cui si è acquartierato il presidente del Consiglio, sparando le sue cartucce giudiziarie contro Repubblica, El País, Nouvel Observateur, infine l’Unità. Sia detto per chiarezza: Berlusconi non è il primo, e di questi tempi non è neppure il solo. Nel marzo 2008 un altro presidente del Consiglio - Romano Prodi - querelò Il Giornale per diffamazione. Nell’ottobre 1999 Massimo D’Alema - anche lui in quell’epoca al timone del governo - chiese 3 miliardi di lire a Forattini per una vignetta troppo aspra. Marco Travaglio ha incassato querele dal medesimo D’Alema, oltre che da Schifani e vari altri. Ma la querela viaggia ormai sulle rotte periferiche, oltre che su quelle nazionali.

Esposti alla critica, ma pure all’invettiva
Durante l’ultima campagna elettorale per il sindaco di Firenze, il futuro vincitore - Matteo Renzi - l’ha brandita contro due giornalisti dell’Espresso. Il sindaco della Spezia ha appena querelato un giornalista e l’ex direttore del Giornale. Quello di Parma ha sporto denunzia contro tre giovani che lo sbeffeggiavano su Facebook. E via via, l’elenco potrebbe continuare per un libro intero.
Si dirà: forse che i politici non hanno diritto a tutelare la propria onorabilità ferita? Certo che sì, anche se spesso ne inalberano una concezione un po’ eccessiva, un po’ troppo narcisa. Dimenticando per un verso che il loro ruolo pubblico li espone alla critica ma talvolta pure all’invettiva; e d’altronde se un arbitro di calcio dovesse denunziare tutti coloro che gli gridano insulti dagli spalti, non basterebbero le patrie galere. Dimenticando per un altro verso che la reazione giudiziaria contro la carta stampata suona sempre come un’intimidazione, come un altolà dei governanti ai governati, se è vero che la stampa è il cane da guardia della pubblica opinione. Tanto più quando l’istanza di risarcimento colpisce non solo chi rappresenta una testata, bensì singoli giornalisti, scrittori, opinionisti: precisamente come ha fatto Berlusconi verso l’Unità, nomi e cognomi da infilzare in uno spiedo giudiziario.

Un effetto paradossale
E c’è infine, a mo’ di corollario in questa e altre vicende, un effetto paradossale che forse gli stessi protagonisti eviterebbero, se almeno ci riflettessero un po’ sopra. Perché sta di fatto che la politica è potere, ma lo è pure l’informazione, il Quarto potere cui Orson Welles dedicò il suo film più memorabile. Se le loro baruffe sbucano in un’aula di giustizia, significa che volenti o nolenti questi due poteri s’assoggettano al potere giudiziario, ne accettano il primato. Sarà pertanto un giudice a stabilire chi ha torto e chi ha ragione.
Ma qual è mai l’oggetto del contendere? Non il rispetto d’un contratto, non l’imputazione di un crimine violento, non un fatto certo e inoppugnabile. Si tratta di parole, o meglio del tono con cui risuonano le polemiche politiche, del loro timbro generale. Dopotutto è la grammatica del nostro discorso collettivo che così finisce in tribunale, e il tribunale giudica in conclusione sul vocabolario che gli italiani dovranno recitare in pubblico. Sarebbe meglio rivolgersi all’Accademia della Crusca.

michele.ainis@uniroma3.

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