mercoledì 16 settembre 2009

Gianfranco Pagliarulo: Italopopulismo e nuovo centrosinistra

Da Aprile

Italopopulismo e nuovo centrosinistra
Gianfranco Pagliarulo, 14 settembre 2009, 16:02

Dibattito L'italopopulismo sta mettendo alle corde gli elementi essenziali che hanno garantito dal dopoguerra la coesione sociale. E' una psicopatologia che nel caso di Berlusconi manifesta una strumentalità rispetto ai suoi interessi ed alla sua storia personale, nel caso della Lega rappresenta la risposta territoriale e localistica alle grandi paure globali



Gli elementi di inquietudine nel quadro democratico sono stranoti: le vicende legate alla libertà di stampa non riguardano arcaici impedimenti illiberali, né provvedimenti di polizia. E' l'uso della combinazione fra potere politico, mediatico ed economico per conculcare i diritti d'informazione, oltre che per condizionare la magistratura, proprio perché costituisce "un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere", come recita l'art. 104 della Costituzione.

D'altra parte sono palesi le convulsioni del centrodestra, rese evidenti dalle polemiche di questi giorni, ultime le dichiarazioni di Bossi contro Fini e l'imbarazzato ma pronto allineamento di Schifani sulle posizioni di Berlusconi. Nonostante la grande differenza numerica di seggi in Parlamento fra maggioranza e opposizione causata dal sistema elettorale, il governo Berlusconi appare perciò molto indebolito e a trazione leghista. Ecco la ragione della violenza ai limiti dell'isteria delle dichiarazioni degli ultimi giorni del Presidente del Consiglio, dove gli attacchi alla sinistra e ai "cattocomunismi" sembrano in realtà rivolti a una parte dei "suoi".

Più vanno avanti tali contraddizioni, più le reazioni del Presidente del Consiglio (e della Lega) appaiono "border line" rispetto alla tenuta democratica (oltre che a qualsiasi bon ton nei rapporti internazionali), e manifestano il tutta la sua pericolosità l'italopopulismo.

Da che cosa è caratterizzato? In particolare da due elementi. Il primo è l'idea di un sistema in cui scompare qualsiasi intermediazione fra popolo e leader: questi risponde al popolo e solo a lui, e qualsiasi interferenza viene stigmatizzata come "atto eversivo" (sic!). E' ovvio che questo punto di vista contrasta con la visione liberaldemocratica dello Stato, che si fonda invece su di un sistema di pesi e contrappesi, e su di una forma di esercizio del "potere popolare" rigorosamente disciplinata ("La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", art. 1).

Il secondo è una concezione del popolo indifferenziata e identitaria. Non esistono più operai e finanzieri, donne e uomini, anziani e giovani, e così via. Esiste solo il "popolo" definito in base al suo territorio e alle sue tradizioni (vere o presunte; da ciò il ritorno del mito come tessuto connettivo), in nome e per conto del quale il leader fa e disfa, ed il suo contrario, quello che alcuni studiosi hanno definito il "non popolo". Chi è il "non popolo"? Chiunque neghi l'identità del "popolo" (per esempio gli stranieri) e chiunque metta in discussione ciò che fa o dice il leader in quanto rappresentante del "popolo" dal punto di vista politico, dei comportamenti, dello stile di vita, dei sogni e delle tradizioni. Non è una "ideologia", cioè una visione del mondo dalla quale emerga una teoria. E' una psicopatologia che nel caso di Berlusconi manifesta una strumentalità rispetto ai suoi interessi ed alla sua storia personale, nel caso della Lega rappresenta la risposta territoriale e localistica alle grandi paure globali. L'italopopulismo sta mettendo alle corde gli elementi essenziali che hanno garantito dal dopoguerra la coesione sociale. Non si tratta solo di rotture territoriali, religiose o di censo. Si tratta della circolazione nella società italiana del virus dell'individualismo sfrenato e del modello sociale negativo. Questo è, nella sua sostanza, il berlusconismo. Da ciò, fra l'altro, il declino etico e culturale del Paese.

Questo virus circola in modo trasversale alla società italiana ed anche alle idee politiche. Ed ha una lunga incubazione che nasce in alcuni passaggi fondamentali degli ultimi decenni quando, in nome di un'efficienza vista più come un servizio al mercato che si autoregola che come una sana opportunità per governare meglio, si è trasformata l'intera impalcatura istituzionale del Paese a colpi di maggioritario e di poteri ai Sindaci e ai Governatori, senza equilibri e senza una seria riflessione sulle conseguenze culturali e istituzionali di tali scelte.

La situazione economico sociale e la vicenda democratica italiana sono oramai arrivate ad un punto che richiede una chiara scelta di campo. Per questo urge l'antivirus. Il terreno democratico è l'unico che consente di rafforzare l'unità nazionale. Esso oggi è a rischio nel nostro Paese, figlio di un'unità nazionale mai pienamente metabolizzata anche e proprio per i limiti democratici della storia nazionale. Non è un caso che tale unità si rafforzi con la Resistenza e la Lotta di Liberazione, cioè con le premesse fattuali della democrazia, né è un caso che le Legge che incarna unità nazionale e sistema democratico, cioè la Costituzione, sia stata così contrastata dal dopoguerra ad oggi ed in particolare negli ultimi quindici anni. Non è un caso l'esistenza di sacche di corporativismi e privilegi che hanno potuto conservarsi proprio a causa della difficoltà di dare pieno sviluppo ai principi democratici ed economico sociali della Costituzione. Non è un caso infine che le grandi trasformazioni economiche promesse dalla destra al governo oramai dal 1994, condivisibili o meno, in realtà non siano mai avvenute oppure siano avvenute esclusivamente in una logica di ritorno all'indietro, rivelando così appieno la natura profonda di questa destra populista, che è quella di conservare rendite e privilegi. Oggi, davanti a una crisi mondiale che ha fatto crollare i fondamenti dell'ideologia neoliberista sostenuta dai neopopulisti italiani, colpisce la mancanza di reazione, a differenza da ciò che avviene in tanti Paesi. Si trascura la cosa pubblica, l'interesse generale, e ciò può incrinare pesantemente il blocco sociale che sostiene la maggioranza.

Di qua si può ripartire; dall'idea una nuova tappa della rivoluzione democratica per modernizzare, rimettere al centro il lavoro, promuovere le libertà e la lotta contro le diseguaglianze. Una moderna rivoluzione repubblicana, che rilanci, cioè, l'elemento della cura della cosa pubblica, della funzione sociale delle istituzioni, della politica come palazzo di vetro. E proponga un'alternativa economico sociale. Da ciò occorre costruire una rinnovata idea di centrosinistra, che faccia giustizia di minoritarismi perdenti e di vocazioni maggioritarie che nella loro incarnazione si sono dimostrate controproducenti e che rilanci invece quella vocazione unitaria di cui tutta la sinistra sente l'urgenza, il bisogno e specialmente il sogno. Anche così si ritrova "un senso a questa storia", in quanto Partito democratico.

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