domenica 8 novembre 2009

Tomaso Greco: Bersani, Fazio e le parole antiche

dal sito www.leragioni.it
Bersani, Fazio e le parole antiche: ne manca una
lunedì 2 novembre 2009, 12.32.01 | Tomaso Greco
Al battesimo di “Che tempo che fa” il neosegretario del Pd se la cava bene. Si dimostra deciso nella proposta e con le idee chiare sul partito che è chiamato a condurre. Fazio lo incalza anche su argomenti non semplicissimi (come la permanenza della Binetti, le questioni etiche ecc..) e il piacentino non si scompone, dispensando risposte equilibrate e sorrisi. Dopo Veltroni e Franceschini finalmente si può ascoltare un’intervista televisiva senza la tentazione di cambiare canale.

Bersani è a tutto campo e si trova quasi stretto nelle domande del bravissimo Fazio. Racconta di come vuole costruire un percorso nuovo partendo da storie antiche e intercettando esperienze recenti, dedica qualche parola alla differenza tra opposizione e alternativa (la seconda parola contiene la prima, la prima non contiene la seconda) e delinea le priorità programmatiche della sua segreteria. Bene.

Senz’altro è una scelta importante e a prima vista molto complessa quella di tradurre in una nuova soggettività politica le esperienze antiche della sinistra. La storia della sinistra italiana è lastricata di lacerazioni profonde, di scissioni, di fischi reciproci, di grandi conquiste e di dolorose sconfitte. Si possono mettere insieme con una grande fatica, uno slancio progettuale condiviso e, soprattutto, con una profonda revisione delle ragioni storiche e culturali di appartenenza.

Bersani richiama tre parole che definisce “antiche”: popolare, sinistra, laicità. Passate le Alpi, queste parole si chiamano Socialismo. Altra parola “antica”, gloriosa, che contraddistingue le formazioni della sinistra di governo. In Italia e in particolare nei partiti post-comunisti questa parola è sempre stata usata con il contagocce, per riferirsi all’Europa, al Mondo e mai al bel Paese.

Eppure il socialismo italiano ha scritto pagine fondamentali della politica e della storia civile del Paese e oggi ci onoriamo di partecipare allo sforzo per individuarne “le nuove ragioni”.

Il rischio è che unire le storie antiche significhi solo trovare una nuova sintesi tra ex-comunisti e ex-democristiani di sinistra, due culture importanti nella sinistra italiana, ma che non risolvono la grande frattura, avvenuta com’è noto a Livorno nel 1921, tra comunisti e socialisti e mai davvero sanata.

Non lo dico per amore di bandiera o per appartenenza culturale. Come dice Fazio, per andare al governo la sinistra deve convincere un certo numero di elettori che oggi votano l’altro schieramento. In altre parole recuperare dei voti finiti, da ormai un quindicennio, alla corte di Berlusconi. Una parte consistente di quei voti proviene dalla storia della sinistra riformista e socialista.

Se Bersani non affronta la questione socialista (e l’antisocialismo ancora presente in parte del partito che lo ha eletto) difficilmente potrà realizzare le priorità che ha delineato l’altra sera: dare un senso e un futuro alle storie della sinistra italiana e battere Berlusconi.

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