domenica 1 novembre 2009

Claudio Bellavita: Socialdemocrazia, terzo mondo, globalizzazione

Mentre noi celebriamo i 50 anni di Bad Godesberg, Berta scrive un libro sull'eclisse della socialdemocrazia. In effetti la socialdemocrazia intesa come variante politica interna ai paesi occidentali è più sul declino che sull'avanzata, ma l'idea di socialismo, indipendentemente dalle applicazioni pratiche che si sono vostre nel novecento, è tutt'altro che tramontata, ha però bisogno di una vigorosa reinterpretazione.
La socialdemocrazia europea ha retto male alla globalizzazione, fondamentalmente perché i margini per la costruzione del welfare nei paesi occidentali derivavano in parte dal protezionismo e dai rapporti ineguali coi paesi del terzo mondo.
L'enorme diffusione della comunicazione mediatica e la semplificazione della comunicazione fisica ha portato in tutto il mondo l'immagine della civiltà occidentale dei consumi e la possibilità di raggiungerla, con l'emigrazione o con la diffusione della delinquenza,e soprattutto del narcotraffico.
Mentre noi ci culliamo in dibattiti sulle nostre figure storiche, su chi ha avuto ragione e chi torto di fare così o cosà, se è meglio più welfare o più liberalizzazioni, come riusciamo a garantirci consumi energetici a basso costo e , eventualmente, senza far bollire il pianeta, i poveri del mondo si trasferiscono armi e bagagli (talvolta in egual misura) nelle nostre periferie, oppure si costituiscono in sempre più numerose gang giovanili nelle loro periferie (e, un po' anche nelle nostre) al grido di "voglio una vita esagerata", e non importa se è breve, tanto i vecchi sono brutti. E' il messaggio della civiltà dei consumi e dell'immagine, non servono scuole per capirlo.
I soldi ci sono per tutti quelli che sono abbastanza intraprendenti e prepotenti, si fanno col narcotraffico che lascia margini enormi a quasi tutti gli intermediari, e che continua a diffondersi per il bigottismo proibizionista. O, secondo una leggenda metropolitana da verificare, perche alcuni servizi segreti ci hanno i loro margini.
In questo contesto, cresce nelle spaventate classi inferiori dell'occidente il bisogno di legge e ordine, e anche l'esigenza di essere protetti dalla concorrenza dei lavoratori immigrati. I socialisti non sono attrezzati a rispondere a questi bisogni, i cattolici non riescono a capire che il flusso di immigrati va governato se non si vogliono delle esplosioni.
In Italia stiamo ancora peggio, perché la cultura dell'illegalità è molto diffusa, a partire da quella fiscale e previdenziale: si crea lo spazio per populismi, di destra ma anche di sinistra mentre noi continuiamo a balbettare, o a evadere la sostanza del problema occupandoci di diritti civili , di ambientalismo, di laicismo ma nessuno riesce a elaborare una politica di integrazione civile, politica e sindacale degli immigrati esistenti e i comuni di sinistra temono la rivolta se in base alle regole che sono state elaborate nel tempo per tutti le case popolari e i posti negli asili vanno prima di tutto agli immigrati.
La forza lavoro in Italia è ormai composta quasi per il 20% da immigrati: o diamo la priorità al problema di come rapportarci a questo dato di fatto, oppure perdiamo e facciamo perdere tempo.

3 commenti:

luigi fasce ha detto...

... e la morale ? ... liberismo o socialdemocfrazia mondiale ?
Luigi Fasce

dario allamano ha detto...

"la socialdemocrazia ha retto male alla globalizzazione"
così ci dice Claudio, in realtà la socialdemocrazia non ha compreso che la
globalizzazione "finanziaria" o la libertà totale ed assoluta dei capitali di
muoversi con un semplice click di mouse sarebbe stata esiziale per il socialismo,
perchè gli avrebbe tolto la sua vera base di consenso:
la redistribuzione della ricchezza.
Anche qui però dobbiamo essere onesti, se davvero vogliamo provare a ricostruire
un'idea socialista nel XXI secolo, dobbiamo essere consapevoli che le ricchezze che
il governi dei socialisti democratici redistribuivano fino a non molti anni fa erano
frutto di una ricchezza accumulata da un capitalismo di rapina: il capitalismo
colonialista (tanto per capirci lo schema era quello della Compagnia delle Indie).
Colonialismo europeo che è durato fino agli anni sessanta, e che successivamente è
stato sostituito da un "capitalismo coloniale di rapina" ancora più sofisticato: il
liberismo finanziario, che ha consentito una progressiva accumulazione di ricchezze
in mano a pochi.
Dagli anni settanta in poi le ricchezze non sono più state nella "disponibilità"
degli Stati, ma di imprese private sempre più grandi e pervasive (too big to fail
ricordate?), che hanno impedito ai Governi nazionali a matrice Socialista di poter
proseguire nella politica che fino ad allora aveva creato loro consenso:
redistribuire.
Oggi siamo ancora all'anno zero, abbiamo alle spalle una crisi devastante che è
stata tamponata con costi enormi per la "paura del fallimento delle grandi banche",
ma non si sono ancora poste le basi per un nuovo ordine mondiale, l'uscita dalla
crisi finanziaria favorita dalla politica dei bassi (o nulli come negli USA) tassi
di interesse, ha convinto di essersela cavate, avendo prestiti a tasso zero, o
quasi, hanno ripreso a fare quel che han sempre fatto: speculare.
La povertà, la migrazione di interi popoli, le guerre locali, il commercio delle
droghe sono tutte facce di una crisi sociale indotta dall'impossibilità di
redistribuire le ricchezze prodotte, sono tutte figlie della paura, la paura di non
poter sopravvivere in questo mondo malato.
Cosa dovrebbero fare i socialisti?
Innanzitutto far diventare l'Internazionale Socialista, dentro cui sono ormai
presenti quasi tutti i partiti progressisti del mondo, un luogo per la
rielaborazione di una nuova politica socialista, in cui si torni a porre l'umanità
al centro della politica.
Sarà un percorso lungo e difficile, purtroppo nei trent'anni passati i Partiti
socialisti e laburisti non hanno saputo porre le basi per una uscita a sinistra dal
liberismo, anzi in molti casi (il Blairismo nè è l'emblema) hanno acquisito in
pieno metodi e comportamenti tipici dei neo-liberisti.
Una cosa noi del Gruppo di Volpedo nel nostro piccolo l'abbiamo fatta, la scelta di
ricordare Riccardo Lombardi con il suo intervento del 1967 a Torino "per una
società diversamente ricca" è un primo piccolo contributo. Oggi Il Riformista ha
pubblicato una mia mail (che vi riporto in calce) e che riprende la frase detta da
Lombardi in quell'occasione, leggendola ci si può rendere conto di cosa occorre
fare per iniziare a ricostruire un socialismo nuovo.
Fraterni saluti
Dario Allamano

Dario Allamano ha detto...

--------------------------------------------------------------------------------------------------------
Caro direttore,
Vorrei ricordare Riccardo Lombardi con un passaggio della conversazione, come
lui la definì, che tenne a Torino il 1° maggio 1967 al salone Matteotti della
Federazione provinciale del PSI.
"I socialisti vogliono la società più ricca perchè diversamente ricca: è il
tipo di benessere, il tipo di consumi che noi vogliamo cambiare....
La scelta dei consumi non è più di pertinenza del consumatore, la società
moderna è dominata dal produttore; lo schema di Einaudi, di una democrazia
dei consumatori che ogni giorno con i loro acquisti depongono un bollettino
di voto e dicono alla società cosa deve produrre, non è più vero. Oggi sono i
produttori che stabiliscono quello che noi dobbiamo desiderare e quello che
dobbiamo consumare, e badate bene, compagni, questo è un problema che sta
diventando endemico."
(Riccardo Lombardi)
"Per una società diversamente ricca" è anche il titolo di un bel libro di ricordi
su Riccardo Lombardi curato da Giovanni Scirocco e Andrea Ricciardi (ed. Storia e
letteratura, Roma), ed è anche il titolo che noi socialisti del Gruppo di Volpedo
abbiamo dato al convegno che abbiamo tenuto il 17 ottobre scorso a Volpedo (AL).
più di quarantanni fa Lombardi, da buon presbite, vedeva già i limiti di un
capitalismo fondato sui consumi inutili e sugli sprechi delle risorse, limiti che ci
hanno portati alla crisi di oggi, che è non solo finanziaria, ma anche
determinata dalla sovracapacità produttiva indotta da un sistema malato di
consumismo.
Dario Allamano