sabato 14 novembre 2009

Gianluca Scroccu: Benedetta Tobagi, ecco mio padre Walter

Da L'Unione Sarda
Benedetta Tobagi, ecco mio padre WalterSabato 14 novembre 2009
«Attenta a non farti troppo male». Così nonno Ulderico espresse le sue preoccupazioni quando Benedetta gli comunicò l'intenzione di studiare la vicenda di suo padre, Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera assassinato a Milano il 28 maggio 1980 da un commando della Brigata XXVIII marzo, una delle tante sigle che animavano il terrorismo rosso degli anni Settanta. Ora quel proposito si è concretizzato nel libro Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre (Einaudi, pp. 302, € 19). Un'opera, quella della Tobagi, che unisce la forza del saggio alla bellezza del romanzo, facendo trasudare da ogni pagina dignità e passione civile. C'è tutta la forza di una figlia che non vuole contribuire alla costruzione della retorica dell'eroe assassinato; il suo intento è quello di restituirci un uomo dalla vita normale che credeva nei valori del suo lavoro e che con un metodo rigoroso, quello che impiegava nelle sue inchieste giornalistiche o nei suoi libri, cercava di comprendere quel periodo terribile.
Tobagi era un uomo con una formazione cattolica e socialista, ma nella professione era un laico rigoroso. Né partito, né potere economico potevano condizionarlo. Esemplari in questo senso gli appunti in cui criticava la decisione del Corriere di pubblicare un'intervista anonima, di fatto concordata, a Bettino Craxi. Oppure le pagine dedicate al suo impegno nel sindacato dei giornalisti e le sue battaglie per la costruzione di una rappresentanza che sapesse tutelare prima di tutto la libertà d'informazione contro ogni condizionamento. Erano anni difficili, quelli del Corsera, perché l'infiltrazione di logge sovversive dell'ordine costituzionale come la P2 ne minacciava seriamente la libertà interna: provoca un brivido leggere che il foglio di rivendicazione dell'attentato che uccise Tobagi fu trovato nelle carte di Licio Gelli.
Walter era un giovane marito e padre di trentatré anni quando due killer, appartenenti a una banda che giocava a fare la rivoluzione, gli spararono senza pietà in una via di Milano. Molti di loro erano giovani borghesi benestanti che facevano la lotta proletaria mentre a casa la cameriera stirava i vestiti o la cuoca preparava la cena. Forse anche per questo non si fecero scrupoli nell'assassinare il figlio di un uomo del popolo, un "popularis" come scrive la figlia, esempio di una repubblica democratica che sulla base del dettato costituzionale stava costruendo la strada dell'emancipazione non con la follia delle P38 ma con la pazienza di chi vuole sviluppare il sistema pacificamente e con un metodo quotidiano per migliorare veramente le condizioni dei lavoratori. Così operavano uomini come Tobagi, Alessandrini, Rossa, Casalegno, Ambrosoli, Moro, Bachelet, D'Antona e Biagi e i tanti agenti delle forze dell'ordine e i semplici cittadini che pagarono con la vita l'impegno contro questi sovvertitori dell'ordine costituzionale.
I terroristi erano gente patetica e farneticante; ancora oggi molti di loro pontificano purtroppo sui media. L'autrice non li vuole perdonare, né riesce a vederli senza soffrire, come racconta nello struggente e duro capitolo dove descrive l'incontro fortuito con uno degli assassini del papà in una libreria milanese.
Arrivati all'ultima pagina del libro viene spontaneo pensare che Benedetta Tobagi, con il suo amore per il padre, la sua forza di narratrice e il suo rigore di ricercatrice, ci abbia regalato un'opera così lucida, commovente e ricca di coraggio civile destinata a diventare una lettura obbligata per chiunque voglia capire cosa sia stato un periodo ancora oscuro della nostra storia come quello degli anni Settanta.
GIANLUCA SCROCCU

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