mercoledì 4 novembre 2009

Peppe Giudice: E' nel socialismo di sinistra il nostro futuro

E' nel socialismo di sinistra
Il nostro futuro



In altri interventi ho messo in evidenza come, negli ultimi venti anni, vi
siano stati due punti di frattura storica non ricomponibili. Il primo, nel
1989, il crollo del comunismo che ha segnato per la sinistra la
impossibilità di riproporre quello specifico progetto politico. Il secondo,
recentissimo, nel 2008 lo scoppio della crisi strutturale e sistemica del
capitalismo liberista, modello economico dominante negli ultimi 25 anni che
ha dimostrato, sempre a sinistra, il fallimento politico di quelle derive
moderate e liberiste di un pezzo della socialdemocrazia (Blair, Schroeder).
Non voglio tornare (l'ho affrontato altrove) sul fallimento del comunismo.
Mi interessa piuttosto analizzare quello che è stato l'elemento strutturale
portante della politica socialdemocratica nella II metà del 900.
Gran parte della socialdemocrazia europea, a partire dai primi anni 50 del
secolo scorso, abbandona l'idea, fino ad allora dominante entro di essa, di
un superamento graduale del capitalismo, tramite un progressivo processo di
socializzazione dell'economia nel pieno rispetto e sviluppo della democrazia
politica, per puntare invece su un compromesso di lunga durata con il
capitalismo stesso. Schematizzando, tale compromesso dava al capitalismo ed
al mercato la gestione dei processi di accumulazione e di sviluppo ed alla
politica ed allo stato la funzione di redistribuire la ricchezza forti della
presenza di un robusto movimento socialista e sindacale, che garantiva il
welfare (sanità, istruzione, previdenza pubbliche) a livelli qualitativi e
quantitativi mai raggiunti prima, una forte crescita dei salari quale fonte
di una domanda sostenuta e stabile, elementi di democrazia economica quale
la co-determinazione dei lavoratori nelle grandi imprese. Il modello qui
schematizzato è quello dei paesi del centro-nord Europa dove l'influenza
politica della socialdemocrazia è stata più forte e stabile.
Tale compromesso sociale è il frutto della necessità di uscire dalla
profonda crisi (che termina con la II Guerra Mondiale) del primo modello del
capitalismo liberista, avviata nel 1929. Il capitalismo per sopravvivere ha
bisogno di riformarsi profondamente. La crisi del 29 non è il crollo del
capitalismo immaginato dai comunisti ma è la crisi del capitalismo
finanziario dell'epoca dell'imperialismo che aveva provocato la prima Guerra
Mondiale.
Le politiche keynesiane di stimolo della domanda e di rilancio della spesa
pubblica trovano nel "compromesso socialdemocratico" il miglior quadro in
cui si possono sviluppare ed impedire una crisi catastrofica del sistema.
Tale compromesso produce in Europa il modello sociale più avanzato e va
avanti sostanzialmente stabile per 30 anni con tassi di crescita economica
elevati che garantiscono, al tempo stesso, buoni margini di profitto e
distribuzione del reddito equilibrata socialmente. Una fase storica
progressiva che consolida la civiltà democratica.
Ma, negli anni 70, intervengono diversi fattori, che interrompono quel
meccanismo virtuoso di crescita stabile e sostenuta.
In primo luogo gli shock petroliferi ed i meccanismi inflazionistici che
essi innescano, seguiti da un aumento generalizzato dei prezzi delle materie
prime.
La crescita economica del capitalismo del dopoguerra si era fondata sul
basso prezzo delle materie prime, derivanti dal meccanismo dello "scambio
ineguale" tra paesi industrializzati e Terzo Mondo.
Ma c'è un altro elemento più profondo che investe il cuore stesso del
meccanismo di accumulazione capitalistica. Dagli anni 60 si avvera, con
grande ritardo, una vecchia profezia marxiana: la tendenza alla caduta del
saggio di profitto.
Per Marx nel processo di accumulazione capitalistico vi è una tendenza del
saggio del profitto a ridursi progressivamente fino a provocare una crisi
fatale per il sistema.
Il saggio del profitto è il rapporto tra profitto e costi di produzione
(impianti produttivi, materie prime, salari). Per Marx l'aumento del valore
del capitale fisso dovuto a costosi investimenti per nuovi macchinari e
nuove tecniche produttive, porta tendenzialmente a far scendere il saggio.
Ma egli stesso la interpreta come legge "tendenziale".
In realtà è vero che con nuovi investimenti aumenta il valore del capitale
immobilizzato, ma è anche vero che gli investimenti in nuove macchine ed in
nuove tecnologie aumenta di molto la produttività del lavoro che compensa
ampliamente l'accresciuto costo del capitale fisso e neutralizza la caduta
del saggio del profitto, ed anzi, per un lungo periodo ne provoca una
crescita.
Ma questo fino a che il tasso di crescita della produttività del lavoro non
sopravanza il tasso di crescita della domanda di merci.
Le grandi innovazioni tecnologiche del dopoguerra producono in realtà una
crescita fortissima e costantemente progressiva della produttività a cui la
domanda dei beni prodotti non riesce a stare dietro. Secondo studiosi come
Gallino, è negli anni 60 che interviene tale inversione di rotta e si
riaffaccia la caduta tendenziale del saggio di profitto.
Per cui la grande impresa capitalista cerca sempre di più di sganciare il
profitto dalla produzione e lo scambio dei beni ed a farlo derivare da
operazioni di natura finanziaria (nonché cercare settori nuovi da sottoporre
alla valorizzazione del capitale), preannunciando quello che sarà il nuovo
capitalismo degli ultimi 25 anni fondato sulla dominanza del capitalismo
finanziario quale dato strutturale del nuovo modello economico.
Infine le innovazioni tecnologiche tendono sempre di più a modificare gli
assetti della fabbrica tradizionale in cui in un solo stabilimento
lavoravano anche più di centomila lavoratori. Il lavoro operaio non scompare
ma si frantumano i luoghi della produzione.
In tal modo il compromesso socialdemocratico entra in crisi e tale crisi si
ripercuote anche su quei partiti comunisti occidentali che avevano fatto
propria la prassi socialdemocratica (senza mai ammetterlo).
Riccardo Lombardi è in Italia ed in Europa (insieme ad alcuni esponenti
della sinistra francese che si ispirano a lui - Martinet e Gorz) il primo ad
avvertire la crisi della socialdemocrazia tradizionale e la necessità per il
socialismo democratico di esplorare nuovi orizzonti.
Egli vede bene come la crisi del meccanismo di crescita economica, l'avvio
del processo di finanziarizzazione, le conseguenze dell'innovazione
tecnologica nel campo cibernetico ed informatico che modificano la fabbrica
tradizionale, il capitalismo che per sfuggire alla caduta del saggio del
profitto tende a mercificare beni esistenziali (tempo libero,
intrattenimento, sport fino alla stessa sessualità umana), ed infine i
limiti naturali e fisica alla stessa crescita economica (emergere della
centralità del problema ecologico): tutto ciò per lui evidenzia
l'impossibilità di portare avanti il vecchio programma socialdemocratico.
In un intervento del 1981 a Piacenza Riccardo Lombardi afferma: "l'offensiva
della
destra esiste perché a sinistra sta mancando la base economica per
proseguire questa
politica, e questo spiega la crisi verso sinistra che in questo momento
pervade tutti i
partiti socialdemocratici in Europa, cioè se questa politica di assistenza ,
questa
politica di welfare state alimentata dalla politica Keynesista, va avanti
essa non
riesce più ad alimentarsi".." E' chiaro che una società non può vivere di
sola assistenza è chiaro che ci sono problemi che si aggravano, quello che
gli economisti britannici chiamano la crisi
fiscale, esiste, l'insufficienza delle risorse una volta che siano
concomitanti tre
fenomeni, uno, una crisi produttiva e di produzione che non è affatto
provvisoria e
che continuerà, due, il fatto che i metodi tecnologici e di informatica che
si estendono
nell'industria tendono ad espellere dalla produzione una buona parte di
uomini e
donne e quindi riducono la forza lavoratrice, terzo, che la sanità,
l'assistenza,
aumenta il numero dei vecchi, rispetto a quello dei giovani, e la stessa
crisi della
natalità fa sì che la popolazione invecchia quindi ci troviamo già in questi
anni in una
situazione in cui grande parte della popolazione che tende ad essere
maggioranza
(oggi i più che sessantenni sono quasi la maggioranza nel nostro paese, lo
diverranno
fra poco) dovranno essere mantenuti da una massa di giovani in gran parte
tenuti
lontani dalla produzione o perché mantenuti nell'ambiente scolastico o
perché non
trovano lavoro, e questo in un periodo di mancata crescita della produzione,
è chiaro
che una società non può reggere, deve ad un certo punto abbandonare
l'assistenza o
mutare sistema compagni ecco la crisi della società socialdemocratica"
".nella sua eccezione classica e capitalistica il compito di
produrre, e al governo il compito di distribuire il reddito non regge più,
le basi
economiche mancano, e allora bisogna cambiare sistema e allora bisogna
intervenire
nella produzione stabilire che cosa come e per chi si produce con quali
intendimenti
con quali rapporti, e allora si muta il processo cumulativo in modo da
rendere
possibile il proseguimento dell'opera assistenziale con una società più
sobria con una
società che consumi di meno beni necessitanti energie e consumi di più
servizi beni
culturali, tempo libero musica scolasticità, attività artistiche ed
estetiche. Oggi il
paradosso qual è, che le risorse produttive di beni necessari per i bisogni
non soltanto
minimi ma anche per i bisogni superflui degli uomini e delle donne sono più
che
perfettamente acquisibili con l'attuale apparato produttivo. Eppure non
riusciamo
appunto perché non interveniamo nell'apparato produttivo, a regolarlo in
modo che
esso produca quello che è necessario, e lasci le risorse necessarie per
migliorare
quello che si dice modo di vita.
Lo stile di vita della popolazione, è qui la grande svolta è qui che la
politica
socialdemocratica finisce e finisce nobilmente anche, finisce per
l'esaurirsi delle
condizioni che l'hanno resa possibile. E' qui che la grande ipotesi
socialista nasce.
Interveniamo nella produzione non con forme statizzate ma con forme anche in
parte
statizzate in parte autogestionali."..." La politica che proponiamo è una
politica realista
difficile dura, scelte.. piena di rischi anche, e forse che la politica che
facciamo
oggi non ha rischi compagni, ma c'è qualcuno che può supporre sul serio che
il
mondo anche se ricominciasse (molti si augurano che la crisi finisca) che si
ricominci
a produrre a gettito frenetico compagni questo è impossibile, guardate dalla
fine della
guerra, e nei primi trent'anni il reddito e la produzione di beni dei paesi
sviluppati nel
complesso è stato a tale ritmo che ogni 15 anni la produzione veniva
raddoppiata ora
pensate se si riprendesse (una cosa inaudita nella storia dell'umanità)
..per una politica in cui in 50 anni poi il reddito sarebbe moltiplicato mi
pare 150 volte o qualche cosa del genere, una volta ho fatto il calcolo
adesso non lo
ricordo, una moltiplicazione senza fine delle risorse energetiche delle
risorse di
materie prime, nelle risorse di territorio nelle risorse di acqua nelle
risorse di aria, ma
voi pensate sul serio che questo sia possibile, disseccare completamente le
risorse del
mondo per una produzione di beni per . superflui o eccedentari, o che
lasciano nella
fame lo stesso il terzo mondo,"
Chiedo scusa per la lunga citazione, ma Lombardi con molta lungimiranza, nel
1981, aveva delineato l'impossibilità di poter continuare con un compromesso
sociale in cui al capitalismo è affidato l'intero meccanismo di
accumulazione e sviluppo ed alla politica socialdemocratica la
redistribuzione ed il welfare.
Del resto il problema inizia a porselo il partito socialdemocratico che
aveva realizzato la forma più avanzata di modello sociale, il socialismo
svedese di Olof Palme, che con il piano Meidner immagina di allargare di
molto il compromesso sociale, attraverso un intervento diretto delle forze
sociali e dei lavoratori nel processo di accumulazione per una diversa della
qualità dello sviluppo.
Lo stesso programma di Bad Godesberg della SPD che di solito viene
interpretato come il manifesto della socialdemocrazia classica del
dopoguerra (e per certi aspetti lo è ) non limita certo l'azione socialista
a quella redistributiva. Il programma ad una lettura più attenta ed
approfondita, dice cose interessanti. Ne cito alcune: " La concorrenza
condotta mediante imprese pubbliche è un mezzo decisivo per prevenire un
predominio privato sul mercato. Attraverso tali imprese debbono prevalere
gli interessi della collettività. Esse si rendono necessarie là dove, per
motivi naturali o tecnici, talune prestazioni indispensabili alla
collettività possono essere fornite economicamente e razionalmente solo se
la concorrenza viene eliminata. Le imprese della libera economia
comunitaria, che si ispirano ai bisogni e non al lucro privato, esercitano
una funzione calmieratrice dei prezzi ed aiutano i consumatori. Esse
assolvono una funzione preziosa nella società democratica e meritano di
essere incoraggiate. Mediante un'ampia pubblicità l'opinione pubblica deve
poter conoscere la struttura della potenza economica e la gestione delle
grandi imprese, affinchè possa essere mobilitata contro gli abusi. Efficaci
controlli pubblici devono impedire gli abusi del potere economico. I mezzi
più efficaci sono il controllo degli investimenti e il controllo delle forze
che dominano il mercato. La proprietà collettiva è una forma legittima di
pubblico controllo a cui nessuno Stato moderno rinuncia. Essa serve a
preservare la libertà dallo strapotere delle grandi concentrazioni
economiche.
Il programma è del 1959: esso va inquadrato in quel contesto. Esso non si
pone il tema centrale (odierno) della qualità dello sviluppo. Ma, con i suoi
limiti il programma di bad Godesberg si interroga comunque su come
intervenire sul processo di accumulazione (il tema del controllo degli
investimenti). Su questi punti Oskar Lafontaine ha intrapreso una opera
interessante di lettura "da sinistra" del programma di Bad Godesberg.
Sulla rottura del vecchio compromesso sociale non mi dilungo. Sappiamo cosa
ha prodotto in termini di regressione sociale e civile. Dietro quella che
asetticamente (anche a sinistra) è stata definita "modernizzazione" c'è il
nuovo modello sociale ed economico del capitalismo liberista che ha operato
una redistribuzione del reddito alla rovescia (dal basso verso l'alto), ha
fatto del lavoro l'anello debole della catena sociale, ha creato precarietà,
insicurezze, alimentato modelli competitivi ed aggressivi di comportamento
individuale. Ha fatto del capitalismo e del mercato degli idoli da adorare.
Accresciuto il divario nella ripartizione della ricchezza tra le varie aree
del mondo ed all'interno delle singole aree. Lo sviluppo dei paesi emergenti
(Cina, India, Brasile, Messico) ha comunque portato un pezzo minoritario di
quelle società a standard di vita europei, ed un pezzo maggioritario a
standard africani. Il problema ambientale è stato fortemente aggravato da un
meccanismo di sviluppo che ha favorito la crescita irrazionale del consumo e
dello spreco privato.
La crisi di questo modello esplosa drammaticamente lo scorso anno, è la
conseguenza della centralità dell'elemento finanziario dell'economia che è
divenuto elemento regolatore dell'economia reale. La finanza non è stata più
considerata come un elemento accessorio ma come dato strutturale che
alimenta non solo e non tanto gli investimenti ma gli stessi consumi. Nel
momento in cui il lavoro, in tante parti perde diritti e tutele e di
conseguenza si riduce il potere di acquisto dei redditi da lavoro; nel
momento in cui si tende a ridurre il welfare o privatizzarlo, la domanda per
i consumi ,prima garantita dalla pressione salariale e dalle spese sociali,
nel nuovo modello è fornita dalle bolle speculative e dall'indebitamento
privato. Questo accade soprattutto nei paesi anglosassoni dove la
finanziarizzazione ha raggiunto il suo apice. Gli investitori istituzionali
considerano il lavoro merce usa e getta (di qui la flessibilità) - spesso si
è licenziato personale solo per far schizzare in alto gli indici azionari. I
processi di privatizzazione della previdenza sociale, dell'istruzione e
della salute sono campi aperti per la speculazione. Come rileva Gallino, nel
capitalismo azionario di oggi è il valore dei profitti che dipende dal
valore delle azioni e non viceversa.
Questo sistema ha recato dentro di sé i germi di una profonda instabilità. A
differenza del capitalismo regolato degli anni 50 e 60 che garantiva una
crescita stabile e forte, la finanziarizzazione ha portato (come dice
Giorgio Ruffolo) l'economia sulle montagne russe, di una continua altalena
tra crescita drogata e stagnazione. I processi cumulativi della speculazione
sui titoli derivati hanno portato a continue crisi finanziarie di cui sono
stati costellati gli ultimi 16 anni. Messico, Brasile, la gravissima crisi
finanziaria del sud-est asiatico del 98, Argentina, Stati Uniti (nel 2001
con lo scoppio della bolla speculativa sui titoli tecnologici). Fino ad
arrivare al capolinea nel 2008.
Come dice l'appello di Volpedo oggi si ripresenta l'alternativa tra
socialismo e barbarie. Nel senso che da questa crisi o se ne esce con un
modello più avanzato di civiltà sociale e democratica o con un regredire
verso modelli autoritari, socialmente e culturalmente regressivi.
Il socialismo diventa dunque una alternativa praticabile. A patto che impari
dai suoi errori. Una netta soluzione di continuità va cercata verso quelle
forme di post-socialismo neoliberale che ha inquinato la socialdemocrazia
negli ultimi 15 anni (Blair, Schroeder, D'Alema) confondendo modernità e
liberismo.
Il comunismo è stato un fallimento epocale, punto di non ritorno. E' ormai
solo un tratto identitario inutile politicamente. La vecchia
socialdemocrazia appartiene, come abbiamo visto, al 900, anche se ha
realizzato il modello sociale più avanzato mai visto. Non prendo seriamente
in considerazione come socialismo le forme folcloristiche del neo-peronismo
alla Chavez.
Recuperare ed attualizzare il filone del socialismo di sinistra di Riccardo
Lombardi, di Gorz, Martinet, le suggestioni della socialdemocrazia più
avanzata come quella di Olof Palme, nonché considerare prezioso che sta
facendo Lafontaine per costruire il socialismo democratico del futuro:
queste mi paiono le direttrici per ricostruire e rifondare il socialismo
democratico e la sinistra in Italia ed in Europa. Una sinistra socialista
che si propone come forza di governo senza rinunciare alla radicalità dei
propri fini e valori. Né recinto minoritario, né circo subalterno.
Capace di proporre un socialismo che vede l'uscita dalla crisi con un
meccanismo alternativo di sviluppo che ponga come centrali la sua
compatibilità sociale ed ambientale combinando politiche redistributive e
nuovo modo di produrre e consumare. Che vede nella competizione economica un
vincolo di efficienza e non un valore assoluto. Che propone forme nuove di
intervento pubblico in economia e forme nuove di democrazia economica fino
ad immaginare delle modifiche allo stesso diritto di proprietà nelle grandi
imprese, affinchè possano essere sperimentate nuove forme di
codeterminazione che ridiano valore sociale al lavoro. Non si tratta certo
di abolire il mercato ed il capitale, ma non dare a loro più quel ruolo
centrale, ed a tratti totalizzante, che finora hanno avuto nella società. La
regolazione sociale del mercato (che è comunque uno strumento di garanzia
della libertà) ha questo senso. Così come ha senso immaginare (come fa
Giorgio Ruffolo) uno spazio non riducibile né allo stato, né al mercato. Una
economia sociale che possa trattare con pratiche partecipative ed
autogestite una importante quantità di beni sociali ed esistenziali che non
possono essere né mercatizzati, né sottoposti a gestione
amministrativa-burocratica.
Il nuovo socialismo richiede certo immaginazione, ma sono le nuove
tecnologie che richiedono un surplus di immaginazione progettuale da parte
degli uomini. Per un socialismo interamente umano.

PEPPE GIUDICE

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