domenica 22 novembre 2009

Messer Piero: Al Papa quel che è di Dio. A Cesare quel che resta

da www.leragioni.it
Al Papa quel che è di Dio. A Cesare quel che resta
Ieri 21 novembre 2009, 5.30.08 | Contributi
di Messer Piero

Francesco Peloso, commentando sul Riformista l’intervento alla Fao di Benedetto XVI, lo definisce “come un discorso di sinistra a tutti gli effetti…uno di quegli interventi che in Europa pochi leader progressisti sono in grado di esporre in pubblico, senza prima essersi ancorati a molti contrappesi “liberisti”. Il mondo in realtà “ è in cerca di un pensiero capace di leggere le connessioni fra i problemi secondo le categorie dell’amore e della giustizia…”

E in effetti nella fine delle ideologie- facciamola breve- le uniche ideologie legittime sono rimaste le religioni ed il liberalismo economico (quello politico perde parecchi colpi). Sapere che almeno una religione (non è scontato) sia di sinistra consola e chiude il cerchio. Se si pone mente ai reali poteri in campo, sembra tanto l’alleanza tra il trono e l’altare che si studiava ai vecchi tempi a scuola. Ma tant’è, tempi duri per i laici e la laicità.

Rosy Bindi, nel libro intervista “Quel che è di Cesare” uscito da Laterza a cura di Giovanna Casadio, si addentra in argomenti di tale profondità e complessità che non osiamo affrontare qui. Però siccome Bindi è una politica, e si misura con la laicità dell’essere politico, possiamo indagare proprio questo lato della faccenda.

Un’intervista a largo raggio tra politica quotidiana e visione prospettica, tra necessità di una “nuova evangelizzazione” e rispetto laico della libera scelta individuale.

E allora come muoversi nel ‘conflitto politico- che dovrebbe rimanere circoscritto alla valutazione di programmi e proposte” e invece “deraglia sempre più spesso sul terreno ideologico”, come succede inevitabilmente quando non si limiti all’ amministrazione possibile della mediazione.

E infatti “E’ inevitabile che nella politica irrompano i sentimenti, il dolore, le domande ultime e più radicali sul significato della vita”.

Da una parte “possiamo tutti riconoscere che una verità sull’uomo esiste e non va inventata. E’ una verità razionale che può essere scoperta e condivisa”.

La legge di Dio è superiore alle leggi umane, ma Bindi citando Leopoldo Elia riconosce che “nessuno può pretendere di trasformare la legge superiore che guida la propria coscienza (da intendersi qui diciamo noi come la coscienza del cattolico, e non ha niente a che fare con il cielo stellato e con Kant) …in una norma dello Stato…”

Le leggi giuste “ non impongono comportamenti ma consentono di fare scelte”. Bastava mettere il punto qui.

Ma si sa il mondo è complesso. “La nostra vita e la nostra morte chiamano sempre in causa le nostre relazioni”, “non siamo i padroni della vita, neppure della nostra”, affermazioni che in qualche modo limitano irrimediabilmente la scelta individuale prima affermata, e aprono ulteriori dilemmi.

Così argomentato, sulla legge quaranta, che ha votato tutta perché conteneva il no alla fecondazione eterologa, o sulla contraccezione, è libera di attestarsi invece, solidamente, nella tradizione del movimento operaio: non aderire, non sabotare.

Perché i cattolici non sono “passivi” esecutori “delle disposizioni emanate dalle gerarchie” ma “possono fare politica a partire dai valori non negoziabili solo se fanno buone mediazioni, se cercano le vie e i modi in cui è concretamente possibile realizzarli” Questo, non altro, il loro spazio di autonomia, sembrerebbe.

Qui si colloca la sottolineata equivalenza tra Costituzione e Concilio Vaticano II, nella ‘collaborazione’ tra Stato e Chiesa, cui la Costituzione predispone la cornice e che il Concordato del 1984 sancisce.

Infine Bindi sposa senza remissioni la dottrina economica e sociale della Chiesa (pensiamo noi con l’eccezione delle disavventure dello IOR) dalla Rerum novarum alla Caritas in Veritate, mentre con lieve slittamento semantico i diritti sociali universali della socialdemocrazia diventano “sistemi di solidarietà pubblica”.

Così schematicamente. A un laico viene spontaneo, ma forse sottilmente peccaminoso, chiedersi che spazio reale esiste in questo schema per l’espressione di posizioni autonome, per i cattolici, al loro interno, nel ventaglio di temi eterogeneo e disaggregato, dalla bioetica all’immigrazione. Temi su cui appunto si può fare resistenza al Vaticano o alla Conferenza Episcopale: la Lega celoduristicamente sull’immigrazione, i cattolici democratici con più garbo sulla bioetica. La Chiesa, si sa, è più o meno ascoltata, e la Bindi invita a considerare “il papa a portata di mano” un’opportunità e non una minaccia,

Si tratta indubbiamente di un impegno profondo, solido, ma che corre spesso il rischio del paternalismo, tutela responsabile che media per il bene dei rappresentati. Si pensi ad una legge sulla cittadinanza- giustissima- che culmini in una “festa della cittadinanza”, festa interculturale aperta anche ai nostri giovani, da celebrare al termine di un percorso di formazione per tutti.”

L’impressione s’insinua, forse ingannevole, per un lettore che non riesca a condividere il fervore derivato dalla fede, che l’impegno del credente sia un di più, che l’idea derivata dalla fede, entrata nell’arengo politico, sia comunque qualcosa di più di una semplice convinzione. E questo ci farebbe uscire inevitabilmente dalla laicità, per farci entrare nel recinto del sacro. “La laicità non è un sinonimo di secolarizzazione e non significa estromettere il sacro o azzerare i simboli e le tradizioni di altre culture”, e la giustizia sociale ha una “dimensione profetica”.

Un percorso stretto in continuo equilibrio tra sentimento di Dio, spiritualità, e i dogmi delle verità di fede. In complesso rapporto con la più generale città degli uomini.

Sul Corriere Panebianco paventa che il Prune, partito islamico pronto a candidarsi alle politiche spagnole, sia il primo di una lunga serie di organizzazioni con “rivendicazioni identitario-religiose da avanzare nei confronti della società europea”. Ha ragione, come non ne avessimo abbastanza. Spera che il maggioritario, impedendo che piccole formazioni possano affermarsi sul mercato elettorale, ne impedisca il successo. Può darsi che abbia ragione anche qui. Ma in questo caso sarebbe ancora più necessario avere uno spazio laico di confronto, in una società multietnica che non sottostia alla dinamica del confronto di religioni contrapposte, alcune magari in evidente posizione di minorità. O peggio, ai loro simmetrici o asimmetrici compromessi.

Dispiace che Bindi accusi i laici, o meglio “il nostro malinteso senso della laicità della politica”, che avrebbe dato, questo, la possibilità alla destra di manipolare il fatto religioso, e di porsi come rappresentanti della ‘vera fede’. Se esiste una concorrenza per il consenso del popolo italiano, che si suppone ampiamente sensibile alla cultura cattolica, è impegnativo ammettere che Berlusconi “ha conquistato e interpretato il comune sentire della maggior parte degli italiani”.

E’ vero occorre ripensare tutto in una situazione in movimento, ma di fronte ad un concetto di laicità tutto sommato ben definito e già a disposizione, il richiamo a una ‘nuova laicità’ che sia un ‘meticciato’, ‘una sfida della contaminazione delle culture’ nei termini posti da Rosy Bindi, secondo il “diritto mite” di una laicità ‘sostanziale’, rischia di essere un problema nel problema, più che uno strumento pronto. Una sfida. Appunto. Come andare oltre il novecento, in un partito, il Pd, che non sia di sinistra né identitario, ma che “interpreti l’interesse del paese nel suo complesso” “un nuovo partito popolare e nazionale, capace di riscoprire la laicità come cifra della democrazia…che rispetta la ricchezza della società” per piacere ai cattolici.

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