domenica 22 novembre 2009

Il cuore di un padre. Intervista a Benedetta Tobagi

Da www.ilrecensore.com
Il cuore di un padre, una storia. Intervista a Benedetta Tobagidi Alessandra Stoppini il 21 novembre 2009

Il cuore di un padre che batte nel cuore e nell’anima della propria figlia, un legame che la morte non può spezzare. In “Come mi batte forte il tuo cuore“ (Einaudi, 2009) Benedetta Tobagi , ricorda il padre Walter.
Giornalista del Corriere della Sera assassinato a soli 33 anni il 28 Maggio 1980 da un gruppo terroristico di estrema sinistra denominatosi Brigata XXVIII Marzo. Tobagi di origini umbre, trasferitosi con la famiglia in Lombardia prima a Bresso poi a Cusano Milanino, aveva iniziato la propria carriera giornalistica al Liceo Parini dal ‘62 al ‘66 come redattore del celebre giornale La zanzara al fianco del redattore anziano, un diciottenne, Vittorio Zucconi. Gli anni trascorsi presso i quotidiani l‘Avanti! e l’Avvenire furono anni di iniziazione, di pratica, cronista sul campo che l’avrebbero portato al Corriere della Sera nel 1976 dove sarebbe diventato inviato speciale sul fronte del terrorismo e cronista politico e sindacale. Il suo rigoroso e scrupoloso metodo di lavoro nell’analizzare senza enfasi i fatti, “in una professione in cui tutti urlano, papà parlava piano”, il suo voler capire lo fecero entrare nel mirino dei terroristi. In quel periodo storico in Italia il loro cieco fanatismo colpiva indiscriminatamente giornalisti, magistrati, dirigenti d’azienda, politici e sindacalisti, aventi tutti una matrice in comune: l’essere democratici e riformisti.

In quella fredda mattina del 28 maggio di quasi trent’anni fa, quando un commando di terroristi uccise suo padre sotto casa Benedetta aveva tre anni e mezzo; oggi la figlia di una delle firme più prestigiose del Corsera presidente dell’Associazione Lombarda Giornalisti, anche lei come il padre desidera capire, ricostruendo la figura pubblica e privata di Tobagi, analizzando lucidamente da storica quale è, cosa furono gli anni settanta e i primi ottanta, in quale clima politico maturò l’assassinio del padre ad opera di una banda di sei giovanissimi, studenti o disoccupati quasi tutti figli della borghesia milanese. Consultando le carte professionali e private del padre, leggendo i suoi articoli, gli appunti, le lettere “Mi piace scrivere lettere. Due cose io prediligo: leggere tanti giornali e ricevere tanta posta», il diario e ascoltando i racconti di chi lo conobbe, studiando gli atti processuali, Benedetta dipinge il ritratto di un uomo visto non come un eroe ma semplicemente come un individuo amante della verità, storico «da buon storico, sapeva bene che l’obiettività pura è una chimera” che quotidianamente svolgeva un lavoro che amava, cercando in tal modo di colmare quel vuoto che dura dal giorno della sua scomparsa. “Paradossale: non poter dimenticare neanche un momento un padre che non c’è e non potrai mai avere vicino. Un nome onnipresente e un vuoto abissale”. Da sottolineare le foto accuratamente scelte che rendono ancora più emozionante il volume.

Abbiamo parlato di tutto questo con l’autrice.

“Scrivere chiaro è difficile“ diceva Walter Tobagi. Signora Benedetta, chi era Suo padre e qual’era il contesto storico nel quale lavorava?
“Mio padre era soprattutto tre cose: un giornalista inviato speciale del Corriere della Sera, una figura importante del sindacato dei giornalisti, nel 1978 era diventato presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, la più numerosa della categoria, è stato uno storico e come ricercatore si è occupato della storia del sindacato, scrivendo vari saggi e articoli. Come giornalista aveva una cifra particolare, che gli veniva proprio dalla sua formazione storica, era per così dire uno storico del presente, che ha raccontato tanti aspetti della società e della politica italiana dal 1968 all’80. Ha attraversato e raccontato quegli anni cruciali. Ed ha vissuto all’interno del Corriere negli anni più difficili della sua storia. Papà vi entra alla fine del ’76, e dal 1977 all’81 il quotidiano si trovò nella sfera d’influenza e controllo della loggia massonica P2. E nelle annotazioni di mio padre ritroviamo anche i segni delle interferenze dei poteri occulti sulla linea del giornale.”


Il 9 Maggio è stato istituito come il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Perché nel nostro Paese il tema della violenza politica, del terrorismo rimane ancora un nodo irrisolto?
“Come data per il giorno della memoria è stato scelto il 9 Maggio, anniversario dell’omicidio di Aldo Moro. C’è stato un vivace dibattito perché molti ritenevano più opportuna la data del 12 Dicembre, anniversario della strage di Piazza Fontana, quest’anno saranno quarant’anni. Qui c’è un primo punto. Ritengo che sia rimasto un nodo irrisolto perché la pagina dello stragismo, in particolare delle grandi stragi dal ‘69 al ‘74 resta un tasto dolente della nostra storia perché per queste stragi non si è arrivati all’assunzione dei colpevoli per via giudiziaria, si sono individuati dei coinvolgimenti di parti degli apparati di sicurezza dello Stato. Nonostante il Presidente Napolitano in entrambe le cerimonie del 9 Maggio abbia detto parole molto forti c’è ancora una lunga strada da fare. Rispetto al terrorismo di sinistra è un fatto più legato al difficilissimo nesso tra violenza politica e terrorismo, che sono state due cose diverse, ma con nessi, collegamenti e influenze reciproche. Moltissimi gruppi dell’estrema sinistra di allora agirono con violenza magari senza arrivare al terrorismo. Questo ha reso molto difficile rielaborare la memoria di quel periodo. C’è poi un problema oggettivo, che ritarda il lavoro degli storici, specialmente quelli giovani, meno condizionati dal vissuto personale: i problemi d’accesso alle fonti, dovuti ai gravi limiti della politica archivistica italiana, a una legislazione sul segreto di stato ancora non sufficientemente chiara, al fatto che l’accesso ai documenti raccolti da alcune commissioni d’inchiesta parlamentari è ancora difficile, se non impossibile.”


Cosa ha significato per Lei rileggere gli articoli, gli scritti di Suo padre, ascoltare le registrazioni dove si sente la Sua voce? Ha scoperto un Walter Tobagi inedito, sotto una nuova luce?
“Scrivere il libro per me ha significato passare del tempo bellissimo con mio padre. Questa per me resta la cosa più importante. Inedito? Non lo so. Sicuramente lavorando su tutto il corpo dei suoi scritti mi ha permesso di fare luce su aspetti poco noti o dimenticati. Le persone che lo hanno conosciuto e che hanno letto il libro finora mi hanno detto che sono riuscita a centrare esattamente la personalità di mio padre com’era esattamente nella realtà, e questo devo dire rappresenta per me il riconoscimento più grande per il mio lavoro non solo come figlia ma come storica.”


Nel libro spesso chiama Suo padre Walter, quasi dialogando con lui. Si avverte nel volume la Sua necessità di non fare di Tobagi un eroe, “un martire della libertà di stampa impostogli dalla retorica postuma“. Desidera spiegarci il motivo?
“Definire una persona che non c’è più un martire o un eroe è solo apparentemente lusinghiero: credo che restituirne appieno l’umanità, luci e ombre, renda maggior onore alla memoria di un uomo: le virtù e la qualità del lavoro svolto si esaltano, in una rappresentazione a tutto tondo, pienamente umana, anziché risultare sminuite. Inoltre, l’esempio di un uomo possiamo sentirlo vicino, prenderlo come modello e fonte d’ispirazione, magari sentirlo anche vicino e familiare, come una mano appoggiata sulla spalla. La figura dell’eroe rischia di restare qualcosa di più asettico, lontano dalla nostra esperienza quotidiana. Quindi più sterile.”


Signora Benedetta, desidera raccontarci l’emblematica storia di Caterina Rosenzweig?
“All’epoca dell’omicidio di mio padre questa donna era fidanzata con uno dei due esecutori materiali dell’omicidio Tobagi. È stata al centro di moltissime polemiche per anni, però dal punto di vista giudiziario non sono emerse prove del suo coinvolgimento. Rileggendo gli atti ho trovato una storia che mi sembrava emblematica di una certa parte della società che irresponsabilmente ha flirtato con il terrorismo. Caterina Rosenzweig entrò nell’Autonomia Operaia Organizzata, una realtà multiforme, in cui militarono molti giovani che poi compirono il salto verso le organizzazioni terroristiche. Appartenente ad una famiglia della buona borghesia milanese: la madre preside della scuola ebraica, il padre ricco e potente uomo d’affari con ampi interessi in Brasile. Un ambiente quindi colto, privilegiato. Ma coltivava velleità rivoluzionarie. Caterina vive insieme all’assassino di mio padre in un appartamento in Via Solferino, vicino alla sede del Corriere della Sera. Nonostante Caterina sia condannata in primo grado per un attentato incendiario (firmato da una sigla terroristica pericolosa come le FCC) nel marzo ‘80, il suo fidanzato e convivente Marco Barbone continua con i suoi piani, gambizza il giornalista Passalacqua e uccide Tobagi. Colpiscono l’arroganza e la presunzione di impunità: da gelare il sangue. Ho raccontato questa storia anche per dare il senso della complessità spesso sconcertante del fenomeno: nel terrorismo, nella lotta armata sono confluiti moltissimi giovani che provenivano da situazioni sociali estremamente disagiate, ma ci sono state anche non poche figure come quella di Marco Barbone e di Caterina Rosenzweig.”


“È un libro che andrebbe letto anche a scuola” ha scritto il Direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, che Tobagi considerava come un suo allievo, sulla prima pagina del quotidiano lo scorso 2 Novembre. Che tipo di messaggio desidera dare ad un adolescente che legge il Suo libro?
“Mi auguro che un adolescente che non conosce la storia di Walter Tobagi riesca a farsi un’idea riguardo agli anni Settanta, sia negli aspetti negativi che in quelli positivi e che senta il desiderio di approfondire lo studio della nostra storia recente. E poi magari desiderare di ispirarsi al rigore, al metodo di mio padre, negli studi, nel lavoro che sceglierà. Io vorrei che i lettori, soprattutto i più giovani, potessero sentire di incontrare mio padre, e pensare a lui e al suo esempio nella vita di ogni giorno.”


Parafrasando il titolo del volume, tratto da un verso della poesia Ogni caso della poetessa polacca Wislawa Szymborska, possiamo dire che il cuore di Walter Tobagi, il suo impegno civile e morale che traspare dagli scritti che rappresentano il suo testamento spirituale, batte nel cuore della società civile italiana?
“In parte si. Credo che questo cuore ancora batta in tante persone. Magari disperse, magari poco visibili. Ma c’è tanta passione civile che stenta ad essere rappresentata e a trovare spazi per farsi sentire ed emergere! … Spero che passare un po’ di tempo con mio padre attraverso le sue parole e la sua storia dia un po’ di coraggio a qualcuno…”


“Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?

La rete aveva solo un buco e tu proprio da li? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.

Ascolta

come mi batte forte il tuo cuore.

Wislawa Szymborska da Ogni caso

Benedetta Tobagi è nata a Milano nel 1977. Laureata in filosofia, ha lavorato nella produzione audiovisiva, collabora con giornali e case editrici e si dedica a studi storici. Sviluppa iniziative culturali e progetti didattici insieme a centri di documentazione e associazioni per la memoria del terrorismo.

Autore: Benedetta Tobagi
Titolo: Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 19 euro
Pagine: 308

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