domenica 15 novembre 2009

Giacomo Marossi: Partito sì, partito no...

Dal sito www.leragioni.it
Partito sì, partito no…meglio guardare al futuro
Ieri 14 novembre 2009, 5.30.59 | Redazione
di Giacomo Marossi


Partiamo dai luoghi comuni: i partiti oggi sono in crisi, sono deboli e distaccati dalla società; sguazzano in una sorta di acquario a temperatura e salinità dell’acqua artificiali che li tiene in vita, mentre fuori il mondo se ne va per gli affari suoi.

Sarebbe stupido lasciarsi ingannare dalla partecipazione una tantum com’è quella delle primarie o di altre forme “smart” di partecipazione politica quali i blog di internet o le manifestazioni di piazza e sentenziare una buona salute del modello di partito attuale.

La politica è oggi più che mai debole, soggetta agli sbalzi di umore più che mai, più che mai sottoposta a pressioni da parte di tutti i poteri forti, medi e light di questo paese e da essi indifesa come mai prima d’ora.




Una politica debole significa una politica incentrata soltanto sulla legittimazione e distribuzione del potere e sempre meno “militante”; per militante intendo una politica sempre meno intenta in quelle attività che per meno di un secolo l’hanno caratterizzata: occuparsi di creare un popolo che attivamente si faccia promotore e protagonista dell’azione politica, dell’elaborazione di idee, della militanza quotidiana e che in fondo si uniformi in una vera e propria “massa partito” grazie ad una lunga serie di rituali comuni; non ha caso per molti teorici marxisti il partito incarnava lo “spirito” del proletariato.


Chi bolla il sistema “debole” odierno come americano dimentica un dato: in occasione delle elezioni presidenziali americane i democrats mobilitano migliaia di volontari mettendo in campo una macchina elettorale imponente, i democratici nostrani alle scorse elezioni hanno fatto fatica, e tanta, a garantire una minimale presenza sul territorio e sono stati costretti a ricorrere all’aiuto della CGIL (non parliamo del PDL che paga tutti i suoi promoters). A dire la verità ne dimentica anche un altro: in America il partito è affiancato da tutta una seria di gruppi e associazioni (lobbies, think tank, PAC,…) che si occupano di creare una sorta di cinghia di raccordo tra i governanti e le istanze dei governati.




Quando parliamo di questo fenomeno di crisi del partito novecentesco tendiamo sempre a dare, non si sa perché, un giudizio di valore intrinseco alle parole “partito novecentesco”: chi lo addita come il male massimo volendo sostituirgli un non ben definito partito leggero, chi lo guarda con quell’amore che solo un poeta crepuscolare saprebbe dare ad una vecchia villa. Sempre si tende a vederlo come un qualcosa che da sempre c’era stato e che la modernità sta mettendo in crisi, quasi una visione decadentista: in realtà il “partito” è soltanto una modalità di espressione e gestione del consenso e del potere politici contingente ad un epoca ben precisa. È probabile che quel mezzo di condivisione di idee e di elaborazione che era quel peculiare tipo di partito sia totalmente inadatto al periodo presente, come è stato perfettamente adatto invece al periodo passato e, forse, chi può dirlo, come sarà adatto al periodo futuro. Questo non significa contestare la legittimità dei partiti ma ragionare sinceramente sul ruolo e sulle potenzialità che essi possono e devono avere oggi.


I partiti odierni dal canto loro, (e in quei partiti e gruppi i giovani sono spesso i più fuori dal mondo e dal tempo in questo senso) nonostante cerchino di cambiare la pelle, di trasmutarsi in “movimenti”, “partiti liquidi”, “associazioni di cittadini”, rimangono nel migliore dei casi, delle Costantinopoli della decadenza in cui le vecchie gerarchie si scoloriscono pian piano fino ad estinguersi e, nel caso peggiore, vere e proprie cricche di clientele degne del peggior patriziato romano volte soltanto a supportare Cesare o Crasso, dotate del loro Clodio e del loro Milone.


In media i partiti della seconda repubblica hanno cambiato nome almeno 2-3 volte ciascuno, nascono spesso per iniziativa di un leader e si modellano, più che su un orizzonte comune o su una serie di istanze che si fanno movimento, sulla capacità carismatica del leader di intercettare qualcuna di quelle istanze, grazie ad operazioni di vero e proprio marketing, e di sfruttarle come “ascensore politico”. Questo è secondo il grande sociologo polacco Zygmund Bauman tipico della condizione postmoderna che tende a stabilire identità comuni prefabbricate e precarie che non permettono l’adattamento a chi vi alloggia poiché crollano spesso appena dopo la loro costruzione.




Un dato interessante è il crescente, sempre crescente, associazionismo spontaneo. Questo è dovuto non solo ad una sistemica mancanza di fiducia che ci fa dubitare di qualsiasi tipo di delega indiretta a terzi e non è solo figlio delle grandi possibilità di comunicazione-scambio che ci ha regalato l’internet 2.0: è chiaro che l’individualizzazione e la monadizzazione delle nostre società portano insieme alla classica voglia di protagonismo personale anche una forte tendenza al frammentarsi per “interessi” particolari, spesso fra loro incommensurabili. Forse la cifra più chiara della seconda modernità è, contrariamente a tutti i pronostici leviatanici da quattro soldi, una sistematizzazione delle diversità, una tale diversificazione che ci rende come pezzi di diversi puzzle mischiati insieme.


Oggi come oggi credo che per molti aspetti la situazione politica italiana vada sempre più assomigliando a quella prenovecentesca formata da grandi partiti nazionali parlamentari e da piccole ma attivissime associazioni territoriali settoriali in attesa che qualcuno le aiutasse ad emergere. Credo che oggi più che mai sarebbe utile ragionare sinceramente sulla possibilità di creare dei network tra le tantissime associazioni già esistenti per portare all’attenzione dei grandi partiti nazionali temi condivisi agendo in un certo senso da “lobby culturali”. Per supplire insomma alla carenza di iniziativa teorica e contenutistica dei partiti credo sia necessario cominciare a strutturare delle formazioni parallele che siano capaci di ottimizzare le tante energie che l’entropia di questa società disperde. Non si tratta di calare dall’alto l’ennesima rete di club o circoli alla Montezemolo o alla Grillo, ma semplicemente di creare piano piano una rete di contatti tra gruppi, circoli ed associazioni già esistenti che si trovino nell’intorno di aree tematiche comuni e quindi di obiettivi politici assimilabili.


Non è un’idea quella che propongo ma una direzione di ragionamento aperta; non è del tutto campata per aria però, c’è a darmi ragione un grande precedente Italiano: esattamente 127 anni fa la necessità graduale di creare un grande network tra le tantissime società contadine ed operaie per aiutarsi mutualmente nelle situazioni di bisogno (il mutuo soccorso tra singoli operai diventa mutuo soccorso tra società operaie durante gli scioperi) da vita al Partito Socialista Italiano. La prima camera del lavoro di Milano aveva sede nel castello sforzesco all’epoca ridotto ad un cumulo di macerie. Le cose sembrano apparentemente totalmente cambiate, ma ancora una volta, non lasciamoci ingannare dall’apparenza, il cambiamento possibile che la nostra società ci chiede si può e si deve fare…

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