domenica 10 maggio 2009

Nichi Vendola: E' tempo ormai di partito unico

Da Aprile

E' tempo ormai di partito unico
Frida Roy, 07 maggio 2009, 21:23

Politica In una intervista rilasciata a L'Espresso, oggi in edicola, il leader di Sinistra e libertà ripercorre le tappe e soprattutto gli errori compiuti dal Prc e dal governo Prodi. Parla dell'oggi berlusconiano e di una società alla deriva, della distanza fra i lavoratori e la loro tradizionale rappresentanza politica che li porta a sostenere la destra, in particolare leghista. Rispetto a questo quadro difficile, compreso il travaglio del Pd che afferma sia nocivo per tutti, l'unica ricetta è quella di creare una nuova e unitaria formazione della sinistra


Dopo 18 anni Rifondazione comunista, a pochi mesi dal divorzio andato in scena a via del Policlinico e che lo ha visto uscire non senza sbattere la porta, potendo ancora vantare il governo di una regione complessa come la Puglia ma sentendo sulle spalle ancora il peso di una sconfitta elettorale che ha portato la sinistra fuori dal Parlamento, il leader di Sinistra e Libertà Nichi Vendola avanza un bilancio su quanto avvenuto, guardando al futuro non solo elettorale. E senza mezzi termini e senza giri di parole, indica l'obiettivo in modo inequivocabile. "Serve una stagione di semina per far nascere il partito di una sinistra nuova", dice infatti a L'Espresso nella cornice di una intervista che sarà in edicola domani.
La parola è dunque pronunciata, per i tanti militanti forse in ritardo. Partito unico della sinistra, fine dell'attendismo quasi messianico che si è generato fino ad oggi dagli Stati generali di due anni fa, quando la prospettiva unitaria sembrava possibile e imminente all'interno della Fiera di Roma che ospitava la genesi della sinistra dell'iride. E se non era certezza quanto meno era speranza ancora alta e vigile. A motivare questa creatura unica il contesto anche attuale. "Siamo di fronte a un'ondata di piena della marea berlusconiana per ragioni di lungo periodo - spiega -. Il mondo del lavoro ha conosciuto un bombardamento sociale e culturale. Oggi resta la precarietà: la paura di non trovare lavoro, di perderlo, di perdere la vita per mantenerlo".

Sul tipo di voto andato in scena già nel tragico aprile scorso -fotografato pochi giorni fa dal sondaggio Ipsos commissionato dal Sole24ore in merito alle prossime elezioni e in cui si rimarcava la lontananza fra mondo del lavoro, soprattutto operaio, e sinistra-, Vendola non ha dubbi: i ceti più popolari votano in gran parte a destra "perchè la sinistra appare inefficace, l'olimpiade della divisione e della rissa. Mentre il berlusconismo ti prospetta un sogno. Noi volevamo la scuola e la sanità pubblica, il lavoro per tutti. Berlusconi propone un sogno individuale: fare la velina alla scuola di Brunetta".

Qualcosa comunque non ha funzionato, il tracollo elettorale arrivato dopo l'esperienza nel governo Prodi, comportando lo smarrimento di 3milioni di elettori, è qualcosa su cui ancora si riflette. Se ieri l'ex segretario Prc e presidente della Camera Fausto Bertinotti a La Repubblica -per altro confermandolo anche oggi su L'Unità- riconosceva a quell'esecutivo la colpa di una scarsa "permeabilità" alle istanze sociali e al suo partito l'incapacità di lottare per affermarla, arrivando a parlare dell'ultimo Prodi come "spregiudicato uomo di potere", Vendola non è così forte nel giudizio. Almeno nelle parole e negli aggettivi scelti per il linguaggio. "Prodi ha dato una lettura sbagliata di quello che stava succedendo nelle viscere del Paese: la perdita di sicurezza, l'impoverimento del ceto medio. Non avrebbe dovuto insistere con il risanamento, oggi lo ammette anche D'Alema". Insomma quella seconda fase, cosiddetta redistributiva verso i ceti meno abbienti, non è mai andata in scena: il governo è caduto prima di poterla attuare alimentando così la sfiducia dell'elettorato, che appunto ha scelto premiare la destra.

Ma anche in casa Pd non è andata meglio. Un partito a cui Vendola ha sempre guardato con attenzione, creando non pochi malumori fra i suoi alleati, come la Sinistra democratica che in quel partito non ha voluto entrarci scegliendo di andarsene al momento della sua nascita, ma che ha continuato a vedere questa "attenzione" sempre come fumo negli occhi (oggi lo stesso Vendola ha ribadito il suo "mai nel Pd"). Timori non troppo infondati visto che fra i democrats qualcuno ha sempre ricambiato lo sguardo attento, in particolare Massimo D'Alema. Sul tema il leader di SeL dice: "A me interessa il travaglio del Pd. Non sono felice che il Pd sia stato strangolato dal veltronismo e che oggi sia sottoposto a cure palliative, sbandato, senza ubi consistam. È una tragedia per tutti. In questo Paese ci sono troppi vuoti: il vuoto dell'opposizione, il vuoto della sinistra che non può essere colmato da Franceschini".

Naturalmente la distanza con gli ex compagni resta siderale, il divorzio è stato netto, lacerante, non privo di astio. E prima di arrivarci il clima interno non ha risparmiato il veleno, che certo non si confaceva allo spirito almeno ideologico che una comunità socialista-comunista dovrebbe avere. "Non si tratta di tornare - spiega il governatore pugliese -. Non ci sono operazioni di restauro da fare, anche se a sinistra sono in azione tanti restauratori delle vecchie glorie. Io mi auguro di mettere in piedi al più presto il cantiere di un nuovo partito. Tutte le sinistre sono state sconfitte, nessuna può vantare gli attrezzi giusti, ora serve meno spocchia: i riformisti si sono attribuiti le virtù del governo che si tramandavano di riformista in riformista, la sinistra radicale si è assegnata la virtù dell'innocenza che viene fatalmente ferita dalla prova del governo. È stato il trionfo della bandierina, ognuno ha alzato la sua. Ora basta".

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