giovedì 28 maggio 2009

Michele Ainis: La sicurezza, grandine di parole

La Stampa

28/5/2009

La sicurezza grandine di parole





MICHELE AINIS

Passi per il lodo Alfano, o lodo Mills, lodatelo un po’ come vi pare. Dopotutto, pazienza se 4 italiani su 60 milioni vengono posti dalla legge al di sopra della legge, se possono al limite stuprare le vecchiette, con un salvacondotto stampato a caratteri di piombo sulla Gazzetta Ufficiale. Però, a noialtri rei e reietti, qualche grammo di coerenza renderebbe più lieve la giornata. Se l’indulgenza è il nuovo indirizzo di governo, che almeno sia plenaria, Urbi et Orbi.

E invece no, due pesi e due misure. Negli stessi giorni in cui il tribunale di Milano sparava a salve contro il premier, Brunetta bastonava con 5 anni di galera i medici che rilasciano false attestazioni ai dipendenti, e gli stessi dipendenti se si fanno timbrare il cartellino da un collega. Ossia se scimmiottano i pianisti, nome di battaglia di quei parlamentari che votano in luogo del compagno di partito assente, magari perché questo è in missione, così la diaria entra in busta paga. La settimana scorsa erano 47 i missionari della Camera, i pianisti al Senato chissà quanti, tanto non rischiano la galera, al massimo un rimbrotto. Sempre la Camera ha appena inasprito le pene detentive (fino a 3 anni) per il gioco online senza autorizzazione. E soprattutto ha licenziato il decreto sulla sicurezza, un diluvio di 29.150 parole scagliate come pietre sulla testa del popolo italiano.

Ecco, le parole. Poiché il diritto è intessuto di parole - diceva Adolf Merkl - la lingua rappresenta un po’ il portone attraverso cui la legge penetra le nostre esistenze collettive. E che lingua parla la nuova legge? Proviamo a farne un’analisi testuale. Il termine «pena» vi ricorre 44 volte, quasi sempre in compagnia di locuzioni come «la pena è aumentata», o altrimenti raddoppiata, triplicata. In altri 26 casi si contemplano «sanzioni», ora amministrative ora pecuniarie (vietate però quelle corporali). La parola «reclusione» rimbalza per 36 volte su e giù lungo quel testo. Le «aggravanti» vengono citate 9 volte, le «attenuanti» 4 (ma per escluderle). Per 5 volte risuonano «misure di sicurezza» del più vario conio. Infine tracima un lago di «delitti» (34) e di «reati» (89), come se non ne avessimo già abbastanza sul groppone.

Già, ma quante sono le fattispecie di reato sulle quali ogni italiano può inciampare? Qualche anno fa gli addetti ai lavori azzardavano una stima: 35 mila. Roba da stacanovisti del crimine: se dedichi un’ora a ciascun tipo di reato, ci metterai 4 anni prima di completare il giro. Eppure questa stima non è mai stata confutata, forse perché viziata per difetto. D’altronde il solo governo Berlusconi, nel primo anno della legislatura, è intervenuto 90 volte sul sistema penale. A propria volta i sindaci, con la benedizione del governo, hanno cucinato quasi 700 ordinanze per servirci un fritto misto di divieti. E tuttavia non basta, non basta mai. Il decreto sulla sicurezza menziona per 81 volte il codice penale, per 33 volte quello di procedura penale. Trasforma il disagio sociale in una questione d’ordine (non per nulla parla di «ordine» in 23 casi), istituendo per esempio il registro dei barboni presso il ministero dell’Interno. Infine dà libero sfogo alla fantasia punitiva dei signori della legge, introducendo - per fare un altro esempio - l’aggravante notturna per chi guida in stato d’ubriachezza dopo l’ora del tramonto. Domani sarà la volta dell’aggravante festiva per chi parcheggia in doppia fila di domenica, dell’aggravante anagrafica per chi sorpassa in curva sotto i quarant’anni. Anzi no, quella esiste già: l’ennesima invenzione del decreto-sicurezza.

Per ripararci dalla grandine, potremmo fare affidamento sulla proverbiale inefficienza dei controlli. Dopotutto questo rimane il Paese del «severamente vietato», dove però gli automobilisti hanno lo 0,1% di possibilità d’incontrare una volante, dove le verifiche sugli intermediari finanziari toccano lo 0,3% della categoria, dove chi affitta casa riceve la visita del Fisco nello 0,14% dei casi. Magra consolazione, tuttavia; anche perché la salvezza dipende unicamente dal capriccio della sorte. Chi invece si salva di sicuro sono i parlamentari. Hanno trasformato l’insindacabilità per le opinioni espresse nella licenza d’ingiuriare il prossimo: la Camera stoppa i giudici 92 volte su 100, il Senato 95 su 100. Ed è questo doppio registro, questa schizofrenia legislativa, il più incommestibile boccone. Speriamo che ci salvi uno psichiatra.

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