domenica 10 maggio 2009

Leonardo Guzzo: L'ultima eresia di Montanelli fu la difesa del socialismo riformista

Dal blog L'occidentale

Testamento scomodo
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Inserisci uno o più indirizzi separati da virgole. di Leonardo Guzzo7 Maggio 2009 “Voi socialisti avete in mano una grande bandiera, che prima o poi un esercito lo ritroverà”. L’ultima “stanza” di Indro Montanelli si chiude con questo pensiero. E’ il luglio del 2001: il grande vecchio del giornalismo italiano manda in vacanza la sua rubrica sul Corriere della Sera e dà appuntamento a tutti i suoi lettori per il successivo mese di settembre. Non prima di aver rivolto, su imbeccata di un vecchio militante, un appassionato tributo alla fede politica dei Turati, dei Salvemini e dei Massarenti.

Tutti sappiamo cos’è successo dopo: di lì a qualche settimana Montanelli è venuto a mancare e per una strana coincidenza, un gioco bizzarro della sorte, quella pagina dedicata alla resurrezione socialista è rimasta la sua ultima fatica, in un certo senso il suo “testamento giornalistico”. Cosa ben strana per uno scomodo liberal-conservatore, come amava definirsi lui. Cosa pregevole, perché uscita dalla penna di un avversario leale ma apparentemente irriducibile del socialismo.

In realtà, al momento di fare i conti col passato, Montanelli si scopre ammiratore della tradizione socialista. Continua a nutrire scarsa simpatia per il “cretinume massimalista che ha sempre dominato nel partito” ma esalta il socialismo umanitario, al servizio dei deboli, quello delle lotte per la dignità dei lavoratori e l’alfabetizzazione, che tanto ha contribuito al progresso sociale e civile dell’Italia. Non è un’eresia, anche se la pronuncia un uomo “di destra”. In fondo Montanelli ha compreso che liberalismo e socialismo sono due facce della stessa medaglia. Nel perfetto umanesimo essi devono fondersi necessariamente, perché l’uomo è tanto singolo, “individuo”, quanto “essere sociale”.

Per conciliare gli opposti Montanelli ricorre a una formula “gattopardesca”, ma in un senso nuovo e ristretto rispetto all’originale. Invece di fingere che “tutto cambi perché tutto resti uguale”, più modestamente, cambiare qualcosa per conservare ciò che val la pena d’essere conservato. L’esempio classico resta quello di Bismarck, che da ottuso esponente della reazione, qual era dipinto dai detrattori, seppe battere in breccia la socialdemocrazia tedesca approvando la legislazione sociale più avanzata d’Europa. Riportato al presente, invece, il discorso riguarda soprattutto la “terza via” tra capitalismo ed economia di Stato. Lungo secoli di storia, dice Montanelli, il sistema capitalistico si è provato prospero e affidabile, ma il capitalismo senza un correttivo socialista diventa presto o tardi una giungla che porta dritto a Karl Marx. La crisi di questi mesi, nel mettere a nudo i limiti e le incongruenze del mercato, sta drammaticamente a dimostrarlo.

Così, se l’ultimo scorcio del XX secolo ha seppellito il marxismo, l’inizio del XXI – nelle spire delle sue contraddizioni – segna la rinascita del socialismo. Riformista e “borghese”, solidaristico e libertario. Solo per fare due esempi, gli Stati Uniti di Obama si accorgono finalmente che una moderna democrazia liberale non può prescindere dal welfare state e in Italia, mentre il Partito Democratico insegue con qualche affanno la prospettiva di una socialdemocrazia nostrana, il Popolo delle Libertà issa il vessillo dell’economia sociale di mercato. In generale, tutti gli indicatori fanno presagire che nei prossimi anni ci sarà più Stato e più controllo politico sull’economia, più attenzione alla solidarietà sociale e al sostegno dei soggetti deboli.

Dati alla mano, dunque, Montanelli è stato un illuminato profeta per quanto riguarda il rinnovato peso culturale del socialismo. Non sulla rinascita di un partito socialista. Ma un partito serve davvero? In un’epoca di aggregazioni politiche “operative”, un’ideologia distintiva non ha più senso. Piuttosto è necessario che il socialismo resti presente e vivo nella cultura e nella coscienza politica. Ed eserciti la sua influenza su tutti gli schieramenti in campo.

Lo stesso discorso si può applicare alle altre culture politiche tradizionali, purché compatibili col paradigma democratico: tutte meritevoli di sopravvivere, ma in nuove combinazioni e secondo nuove modalità, come riserve ideali, giacimenti di riflessioni e opportunità al servizio dei partiti moderni. A tal proposito, un dibattito intellettuale serio, di bilancio e aggiornamento dello “status quo”, vale assai più di tanto sconclusionato e molesto chiacchiericcio politico.

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