lunedì 25 maggio 2009

Marco Vitale: Supercapitalismo

Marco Vitale
DAL SUPERCAPITALISMO ALL’ECONOMIA IMPRENDITORIALE


“Bellum cano perenne
between usura and the man
who wants to do a good job”
Ezra Pound


Mi ha felicemente sorpreso e molto favorevolmente colpito il Summit dei responsabili delle politiche sociali dei paesi del G8 promosso e realizzato a Roma dal Governo italiano e, in particolare, dal Ministro del Welfare Sacconi.
Si è trattato, infatti, di un primo tentativo di correggere il devastante paradigma etico-politico dominante negli ultimi decenni e che è alla base dello tsunami finanziario che sta infliggendo tante sofferenze a milioni di persone. Il tentativo è ben sintetizzato nel felice motto che ha caratterizzato il Summit: “people first”. Questo primo tentativo va compreso, sostenuto e incoraggiato perché indica una direzione di marcia molto promettente. Per la prima volta, in forma pubblica e solenne, si cerca di fare uno sforzo di pensiero verso una nuova strategia, superando le contingenze della crisi. La nuova strategia del “people first”, in realtà, ricupera e attualizza paradigmi molto antichi.
L’economia di mercato e imprenditoriale (nonostante quanto sostiene quella che Braudel definì la “favola” weberiana) nasce nei comuni italiani ed in tre secoli, dal 1200 al 1500, fece dell’Italia il centro della vita economica del mondo occidentale. Quando l’Italia si ripiega su se stessa nel corso del 1500, il testimone passa ai paesi anglosassoni e soprattutto al paese emergente, l’America di Franklin. Il paradigma etico di questa grande epopea che accomuna Franklin, con Alberti, Cotruglio, Albertano da Brescia, è quello di combinare un’economia di mercato imprenditoriale e competitiva con una visione umana e umanistica dell’attività economica. Il principio dominante resta: “Omnium rerum mensura homo”, l’uomo è la misura di tutte le cose.
Con il processo di industrializzazione sempre più spinto si inserisce nel panorama un nuovo paradigma etico-politico: “fiat productio et pereat homo” che caratterizza l’attuale cultura economica che eleva il mezzo a fine e si interessa solo dei processi, in una totale mancanza di interesse per il destino umano.
Con l’esplosione della finanza e la finanziarizzazione dell’economia si inserisce, infine, e diventa dominante anche sull’industria, un nuovo paradigma: “fiat capital gain et pereat omnia”. Questi paradigmi convivono e spesso si scontrano tra loro, ed è questa convivenza che rende la lettura della vita economica così complicata. Negli ultimi venti anni il dominio del paradigma “fiat capital gain et pereat omnia” era diventato schiacciante. La crisi che stiamo vivendo può anche essere letta come un grande urlo contro il dominio di questo paradigma, come un rumoroso crollo di un nuovo muro di Berlino. Se leggiamo la crisi in questi termini lo scoraggiamento scompare e ci appare nitida la via naturale da intraprendere verso la vetta. Dobbiamo ricostruire un mondo dove l’economia decentrata si muova attraverso i meccanismi del mercato e dell’impresa; ma dove ritorni con forza a prevalere il paradigma etico-politico: “Omnium rerum mensura homo”.
Nel “people first” io ho letto un segnale di pensiero in questa direzione. E’ uno sforzo che merita ogni appoggio perché è l’unica prospettiva positiva che emerge dalla polvere delle macerie, l’unica che inizia una ricostruzione. Si tratta di uno sforzo molto impegnativo perché il paradigma: “Fiat capital gain et pereat omnia” è molto radicato nella cultura e nella prassi economica. Le legioni di quelli che aspettano solo che passi la piena per ritornare a fare tutto come prima sono enormi e potenti e ancora dominanti soprattutto in America. La crisi li ha disturbati ma non sconfitti: siedono a fianco di Obama, imperversano sui grandi giornali; continuano a teorizzare astrattamente come talebani del mercato, continuano a distribuire ed a distribuirsi stipendi e bonus osceni e nessuno (salvo le ribellioni sociali che non sono, come si dice, populismo, ma una manifestazione semplice e rozza ma profonda di più che legittimi risentimenti sociali) li chiama a rendere conto, anche sul piano del pensiero, dei disastri da loro combinati, delle concezioni perverse che hanno diffuso ed alimentato.
Quello che stiamo vivendo è un tentativo di passaggio da un’economia dominata dal capitale, anzi dall’ultracapitalismo ad un’economia di mercato e imprenditoriale. Lo sforzo da fare è impegnativo, anche ed in primo luogo sul piano del pensiero, smantellando alcuni idoli che hanno dominato il pensiero economico negli ultimi venti anni e che la crisi ci dimostra, con la durezza delle sofferenze di milioni di persone, che si trattava di idoli falsi. Ma le basi per questo sforzo non mancano. In primo luogo la crisi stessa, la corretta analisi delle sue ragioni, della sua natura, delle sue conseguenze. E poi il grande pensiero economico di stampo liberale che non ha mai dubitato della possibilità anzi della necessità, di conciliare economia di mercato e imprenditoriale ed economia umana e umanistica. Parlo degli Einaudi, dei Röpke, degli Erhard, degli Eucken, di tutta la scuola di Friburgo e del grande filone dell’economia sociale di mercato, che ha vinto in Germania e che è, oggi, una delle poche concezioni economiche che hanno passato, con successo, tutte le prove, rimanendo salde e convincenti. E poi vi è il grande pensiero social – liberale così attento al “people first”. E infine vi è la Dottrina sociale della Chiesa che da sempre impegnata sul tema “omnium rerum mensura homo” ha, con la Centesimus Annus, raggiunto un vertice di grande profondità anche come pensiero economico (e prego con trepidazione che la nuova preannunciata enciclica sociale di Benedetto XVI non riporti indietro le lancette del pensiero della Chiesa anche in campo economico) ed ha chiaramente visto il passaggio dall’economia supercapitalista all’economia di mercato e dell’impresa:
“La risposta è ovviamente complessa. Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia d’impresa” di “economia di mercato” e, semplicemente, di “economia libera”.
In questa prospettiva io pongo anche una rilettura evolutiva dell’art.1 della Costituzione: “l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. I lavoro dell’Assemblea Costituente evidenziano, con chiarezza, che questo articolo ebbe una precisa origine marxista, sia pure addolcita (rispetto alla prima versione inizialmente proposta) dal popolarismo democristiano. Ma se oggi leggiamo la parola lavoro non più riferita, come allora si pensava, solo ai lavoratori dipendenti e più particolarmente agli operai, ma, come oggi si conviene, a tutti i soggetti per i quali il motore principale della loro attività è nel loro lavoro, allora la lettura dell’art.1 può evolvere in direzione molto interessante. Allora l’attività imprenditoriale può rientrare appieno nel concetto allargato di lavoro e contrapporsi ad una visione dove il dominio è del capitale. Dunque “people first” e non “Roe first”. Questo cambio segna il passaggio dal capitalismo puro o supercapitalismo (che ha al centro il ROE) all’economia imprenditoriale che ha al centro l’uomo e il lavoro dell’uomo. Allora l’articolo 1 della Costituzione può leggersi, in modo più ampio ed attuale, più o meno così: “L’Italia è una Repubblica organizzata secondo il principio di legalità, il cui sistema economico è basato sul lavoro imprenditoriale, direttivo e dipendente svolto attraverso un sistema di imprese e di libero mercato con il rispetto della sicurezza del lavoro e della dignità umana. Il capitale finanziario è al servizio del sistema di impresa così definito”.
Questa è esattamente la direzione di marcia che la crisi e le ribellioni sociali contro gli avvoltoi del supercapitalismo ci indicano. In questa direzione metto anche il “people first” del recente Summit di Roma. Lavorare in questa direzione è un compito che spetta soprattutto all’Europa, perché Obama, è ormai chiaro, è irretito dagli gnomi di Wall Street, dai superstiti del “first capital gain et pereat omnia”.

Marco Vitale
www.marcovitale.it

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