domenica 10 maggio 2009

Michele Salvati: Il tramonto socialdemocratico

Prospettive In un saggio di Giuseppe Berta le riflessioni sulla fine della stagione neolaburista
Il tramonto socialdemocratico
Un ideale politico «domato» dal capitalismo. Nonostante la crisi attuale

Eclisse della socialdemocrazia, il breve saggio di Giuseppe Berta, è un ottimo spunto per riflettere sulle difficoltà odierne della sinistra europea. Ma come - viene spontaneo chiedersi - il capitalismo sta attraversando una crisi paragonabile solo a quella degli anni ' 30 del secolo scorso, le strategie economiche iper-liberiste degli ultimi vent' anni stanno mostrando tutti i loro limiti, e la parte politica che tradizionalmente è stata critica del capitalismo e del liberismo non riesce a capitalizzare questa sua rendita ideologica? Perché non riesce a trasformarla in consenso elettorale? Perché la socialdemocrazia è in crisi, come e più del capitalismo? Ci sono vari modi di affrontare questi interrogativi: sulla rivista della stessa casa editrice che ha pubblicato il libro di Berta, Il Mulino, ci sono due saggi importanti in proposito, un' intervista di Paolo Segatti a un grande vecchio della Scienza politica, Juan Linz, e un bell' articolo di uno dei più importanti sociologi francesi, Michel Wieviorka. E molti altri libri, saggi e articoli che si pongono gli stessi problemi sono freschi di pubblicazione. Ben vengano tutti, se si tratta di lavori seri, perché i problemi sono complicati e diversi punti di vista sono utili. Ed è molto utile il punto di vista adottato da Giuseppe Berta, uno dei più brillanti storici economici della giovane generazione, storico dei fatti e storico delle idee. Ripeto, un «punto di vista», un modo particolare di entrare nel problema, e un modo originale e idiosincratico. Con un respiro di sollievo il lettore si accorgerà che non si parla del centrosinistra italiano, di ulivi, querce, margherite e di altre piante e fiori. Giusto, perché noi italiani una vera socialdemocrazia non l' abbiamo mai avuta, soffocata dal conflitto tra comunisti e socialisti e dalla forte presenza del riformismo cattolico. Ma non si parla neppure di molti Paesi europei che solidi partiti socialisti li hanno avuti e li hanno, dalla Spagna ai Paesi nordici. E della patria della socialdemocrazia, della Germania, si parla solo in una decina di pagine, commentando il congresso di Amburgo della Spd dell' ottobre 2007: per dire che, al di là della retorica tradizionale, quando si passa alle politiche concrete, siamo sullo stesso terreno del Labour britannico. E che nel «modello sociale europeo», al di là del fumo, del vero arrosto socialdemocratico degli anni d' oro del dopoguerra - del welfare pesante, della piena occupazione, della riduzione delle disuguaglianze, della legislazione del lavoro garantista - è rimasto ben poco. Insomma, non è del continente che si parla, ma dell' isola, della Gran Bretagna; non sono Schroeder, Prodi, Zapatero e i leader nordici i protagonisti del racconto, ma Tony Blair e il suo ideologo Anthony Giddens, e poi e soprattutto Gordon Brown. E si parla di questi ultimi perché sono stati loro i veri innovatori, coloro che si sono resi conto che nelle società post-fordiste e nel clima economico internazionale degli ultimi vent' anni una strategia socialdemocratica tradizionale non funzionava più. Coloro che, con maggiore coerenza, hanno perseguito una strategia liberal-democratica e hanno convinto non pochi a seguirla, anche nel continente. Li hanno convinti perché hanno avuto successo, perché il Labour è al governo da tre legislature di seguito, fino ad oggi. Salvo trovarsi preso in contropiede dalla crisi del modello neoliberista, dal repentino mutamento di clima provocato dalla crisi. Il libretto, come si suol dire, si legge come un romanzo. Un romanzo impreziosito da riferimenti teorici e culturali maneggiati con maestria. Si parte dal dialogo con Schumpeter che, poco prima della morte, intravede la grande stagione socialdemocratica del governo Attlee, osserva l' azione di grandi ministri come Stafford Cripps, Aneurin Bevan, Ernest Bevin e conclude tristemente, da conservatore, che il capitalismo sta per essere domato, svirilizzato dalla socialdemocrazia. Si continua con la riflessione su socialismo e capitalismo di John Strachey e Anthony Crosland, per arrivare a concludere che la profezia di Schumpeter è stata falsificata dal New Labour. Non è la socialdemocrazia che ha domato il capitalismo, ma viceversa: l' obiettivo di vincere le elezioni e restare al governo nella fase neoliberale tra la fine del secolo scorso e l' inizio di questo ha prodotto l' effetto contrario ed è il capitalismo che ha domato la socialdemocrazia. Si tratta di una conclusione definitiva? Oggi le carte elettorali migliori sembra averle, in Europa almeno, il centrodestra. Ma in America le cose non sono andate così. E anche in Europa non si tratta di un esito necessario. Le ultime pagine sono dedicate a John Maynard Keynes, al saggio Am I a Liberal? e alle bellissime pagine finali della General Theory. La socialdemocrazia è stata una stagione, una grande stagione della sinistra, che non è destinata a ritornare: troppo è cambiato, nell' economia, nelle società, nella situazione internazionale rispetto al momento storico che ne consentì il trionfo. Ma le domande di giustizia sociale che essa ha imposto, e che Keynes accoglieva, restano nell' agenda e si combineranno in modi per ora imprevedibili con le domande di efficienza economica e di libertà individuale cui una società decente deve saper rispondere. L' autore «Eclisse della socialdemocrazia» di Giuseppe Berta è edito dal Mulino (pp. 135, 10). L' autore, nato nel 1952, insegna Storia contemporanea all' università Bocconi di Milano. Tra i suoi saggi più recenti: «L' Italia delle fabbriche» (Il Mulino), «Nord. Dal triangolo industriale alla metropoli padana» (Mondadori) e l' annuario sulla «Questione settentrionale» che ha curato per Feltrinelli. Nella foto sopra, Tony Blair

Salvati Michele


Pagina 51
(7 maggio 2009) - Corriere della Sera

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