domenica 24 maggio 2009

Andrea Romano: Nicodemismo democratico

andrearomano
Oggi 24 maggio 2009, 3 ore fa

Nicodemismo democratico, l'ultima tentazione
Ieri 23 maggio 2009, 10.13.00
La novità di queste settimane è il nicodemismo democratico. Ovvero la tendenza di alcuni a non votare PD pur continuando a fare campagna elettorale per il PD. È cosa diversa dall’astensionismo dell’elettore democratico, dalla sua fuga verso Di Pietro o anche dal ritorno a casa di coloro che avevano optato per il PD nei giorni ormai lontani del “voto utile” e che ora si preparano a sostenere nuovamente i socialisti o i vari neocomunisti.

No, il nicodemista democratico è qualcosa di più che un semplice elettore. È un militante di lunga data o persino un dirigente, che questa volta non ce la fa proprio a votare PD. Ma lo confida solo ai familiari e agli amici più fidati, mentre in pubblico continua a far professione di fede per il Partito democratico. E quindi si impegna in campagna elettorale, ove necessario. E quindi recita con buon mestiere la parte di colui che convince altri a votare un partito che lui per primo non voterà. E quindi aggiorna al nostro tempo il modello che fu di Nicodemo, il fariseo che riconobbe in Gesù Cristo il Messia continuando a negare in pubblico la propria fede, e poi dei molti protestanti che finsero di osservare i precetti della Chiesa di Roma per sopravvivere alle persecuzioni o ancora dei moltissimi che in ogni tempo hanno dovuto conciliare convinzioni personali eterodosse con contesti storici che non permettevano alcuna deviazione.

Personalmente ne conosco almeno tre, che è già un buon numero considerando la mia scarsa frequentazione con la dirigenza del PD. Immagino dunque che ve ne siano molti di più. Tutte persone per bene, mai colpite dal vizio della pavidità. Al contrario, uomini e donne intelligenti e combattive. Che in anni meno paciosi di questi non hanno mai temuto di affrontare il dissenso interno in partiti dove non sempre il dissenso era ben tollerato. Persone che oggi, dinanzi ad un PD che avrà molti difetti ma certamente non può incutere alcun timore di rappresaglie, non riescono tuttavia ad esprimere pubblicamente il rifiuto di un partito nel quale non si riconoscono più.

La spiegazione più semplice sarebbe la mancanza di coraggio personale. Ma di questo non può trattarsi, almeno per quei casi che mi è capitato di osservare da vicino. È quindi possibile che la ragione sia più tortuosa ma non priva di senso politico. Ed è quella secondo la quale il nicodemista democratico è convinto che solo un risultato elettorale inequivocabilmente disastroso per questo PD e per questa leadership permetterebbe di salvare il progetto del Partito democratico, nel quale egli continua a credere con forte convinzione e a dispetto di ogni più recente delusione. È una spiegazione troppo nobile? Forse, ma merita di essere presa sul serio. Perché esiste effettivamente il rischio che un risultato mediano, se non mediocre, congeli il PD nella situazione in cui si trova in queste settimane. Privo di strategia politica diversa da quella del recupero di una parte dell’elettorato antiberlusconiano maggiormente tentato dal dipietrismo, privo di una leadership diversa da quella onestamente transeunte incarnata da Franceschini, privo di una prospettiva di investimento sul futuro diversa dal pieno ritorno in carica di quei capibastone che per ora si accontentano di governare da lontano il PD.

Il nicodemista democratico auspica dunque una botta che sia indiscutibile e risolutiva, dopo la quale nessuno potrebbe continuare a far finta di niente. In questo senso il suo comportamento fa il paio con quanto sta accadendo in molte competizioni amministrative del Lombardoveneto dove i candidati democratici hanno scelto il metodo “meno ti fai vedere in giro abbinato al logo PD e meglio è”, come ha raccontato ieri Marco Alfieri sul "Sole 24 Ore". Entrambi perseguono l’obiettivo del salasso a fin di bene, che costringa dirigenti e militanti a guardarsi bene in faccia per decidere da che parte andare senza poter star fermi dove si sono ritrovati impantanati.

È un’intenzione benevola, ma non è detto che si risolva nel risultato auspicato. Perché la capacità di questa leadership collettiva di far buon viso a cattiva sorte è stata ormai provata in cento occasioni, e niente impedirebbe anche questa volta di recitare la parte della “tenuta del partito dinanzi alle affrettate previsioni di tracollo”. Che sarebbe poi la premessa per una discussione preconfezionata sul dopo-elezioni, con un congresso da tenersi solo quando fosse già stata concordata una soluzione capace di rassicurare tutti coloro che hanno qualcosa da perdere da una vera ripartenza del progetto PD. Ma forse ci sarebbe un’altra strada per arrivare allo stesso obiettivo, lontana dal modello di Nicodemo ma più consona ai nostri tempi. Quella di dire la verità già ora, spiegando perché questo PD rischia di non meritare il voto persino di molti dei suoi dirigenti. Per quanto la campagna elettorale non aiuti la franchezza, soprattutto dinanzi ad un Berlusconi tornato ai massimi della boria, sarebbe un metodo ben più efficace di quella “dissimulazione onesta” che può essere ormai compresa solo da pochi e stanchi nostalgici del tempo che fu.

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