Da Micromega
02.06.09 - Il Caimano furioso
Il presidente Napolitano, per il 2 giugno, fa la sua inevitabile predica agli italiani, con la solita moderatezza di toni, dietro la quale si percepisce tuttavia un qualche fastidio per gli sforzi di qualcuno (!?) volti a polverizzare la credibilità delle istituzioni: di tutte le istituzioni.
Questo qualcuno, l’altro presidente – quello del Consiglio –, sostenuto da un’accolita di cortigiani, ora in vesti di ministri e sottosegretari, ora come “autorevoli” commentatori “indipendenti”, ora infine come imprenditori e banchieri, con un sottobosco che congiunge finanza e malaffare, giunge all’appuntamento con il 63° della nascita della Repubblica palesando tutto il fastidio per non essere ancora riuscito a manomettere la sua Costituzione; per non aver potuto ancora passare alla Seconda o forse alla Terza rappresentazione di una Repubblica piduisticamente fondata; per dovere, insomma, ancora rendere conto, sia pure minimamente, di quel che dice e quel che fa. E quel che dice e quel che fa – ambiti di regola contradditori reciprocamente – egli ritiene siano cosa assolutamente sua, e dunque fa davvero fatica anche soltanto a pensare di doverne fornire giustificazione alle altre autorità dello Stato, ma anche all’opinione pubblica.
Una opinione non ancora del tutto ottusa, benché opportunamente, quotidianamente cloroformizzata da organi di “informazione”, in cui giornalisti direttamente o indirettamente assoldati dal Capo, a furia di mentire non hanno più neppure la cognizione della menzogna. Il loro mestiere è proteggerlo, despistando, deviando, sollevando cortine fumogene, creando confusione: “facimmo ammuina”, insomma, è il loro motto, speculare alla pratica del silenzio quando non si riesce a fare rumore a sufficienza per coprire le malefatte del datore di lavoro.
Sicché arriviamo alla sessantatreesima luna repubblicana in una condizione penosa: i commenti della stampa estera sono una spia tanto utile quanto deprimente per noi, oggi più che mai. L’arzillo e infoiato vecchietto che ci guida verso le (proprie) immancabili sorti e progressive, passa gran parte della sua operosa giornata lavorativa, al di là delle partite di football, e della selezione candidate alle cariche più “onorevoli”, in virtù di doti forse soltanto a lui note, in acquisti di ville padronali, in pranzi e feste, in viaggi, opportunamente e piacevolmente accompagnato, su aerei di Stato, mentre studia le più efficaci strategie per ammazzare quel poco che rimane di libera stampa, per bloccare ogni indagine giudiziaria che concerna lui, i suoi familiari (non la moglie, però, ora), gli amici e gli amici degli amici. E dire che uno dei grandi vecchi del costituzionalismo e del liberalismo, Montesquieu, oltre due secoli e mezzo fa, sosteneva che il principio della Repubblica è la frugalità…!
Ma poiché a dispetto dei suoi sforzi, v’è chi pretende che nello Stato le pubbliche autorità siano le prime a dare l’esempio di correttezza, trasparenza, rigore, egli, che ha in tutta evidenza una concezione proprietaria dello Stato stesso, si adopera per assestare il colpo finale all’indipendenza della magistratura, covo di quei cattivi soggetti che vorrebbero ridurre anche il Potere sotto l’imperio della Legge. La magistratura, vero assillo della estrema fase dell’esistenza del signor B. Quella in cui, finalmente, si voleva godere i frutti di una vita di onesto e indefesso lavoro, messa brutalmente a repentaglio da una categoria di cittadini, di professionisti della legge, che pretenderebbero che lui – lui! – la rispettasse, e ne subisse i rigori quando gli fosse occorso di violarla. E poiché malgrado prescrizioni e proscrizioni, cavilli e azzeccagarbugli di cui a dozzine egli si circonda, inviandoli pure in Parlamento o direttamente assumendoli come ministri ad personam, malgrado un sistema mediatico diciamo “benevolo”, per non dire completamente prono ai voleri di Sua Emittenza, qualche processo gli capita direttamente o indirettamente fra capo e collo, ecco allora che la Repubblica, la sua stessa dignità, viene offesa con il “lodo Alfano”. Con una norma di cui non si ha l’eguale nel mondo civile e neppure in quello incivile, ma forse soltanto in qualche testo della letteratura distopica, e sul quale aspettiamo fiduciosi la pronuncia della Suprema Corte, chiamata a discuterne la dubbia costituzionalità.
Avevo già segnalato su questo blog come la voluta commistione dei due piani, il pubblico e il privato, fosse uno dei segni che contraddistinguono la “postdemocrazia”, citando il nostro Berluskaz e il transalpino Sarkoz. Ora, la celebrazione della Repubblica cade in un momento in cui il privato ostentato diviene, di colpo, il privato da difendere, in quanto eticamente e politicamente indifendibile (tralascio il piano giuridico, su cui non mi pronuncio). E la Noemigate, si rivela, forse, l’ultima vasca in cui il Caimano si dibatte, mostrando non più la calma serena dei forti, ma l’agitata ansia dei deboli, dimenando la coda, spalancando le fauci, digrignando, minacciando, cercando di azzanare. Il clown ha gettato la maschera, ha scritto il londinese “Times”, e mostra la faccia feroce. Il suo disprezzo per l’opinione pubblica – sottolineato con preoccupazione dalla principale stampa libera europea – quando essa gli appaia non del tutto allineata, pronta a sorridere delle sue patetiche battute di spirito da Bar Sport anni Sessanta, e a perdonargli qualsiasi “sciocchezzuola” o “leggerezza”, è una spia del suo profondo disprezzo per la democrazia. E dunque della sua estraneità sostanziale, e sovente anche formale, allo spirito e all’identità della Repubblica nata dalla lotta di Liberazione nazionale. E poi, diciamolo, come potrebbe essere un autentico repubblicano chi pretende di farsi re?
Angelo d'Orsi
(2 giugno 2009)
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