venerdì 19 dicembre 2008

vittorio melandri: opacità e trasparenza

La saggezza popolare ricorda ai distratti che al buio tutti i gatti sono bigi. Oltre al proverbiale richiamo, in materia però soccorre il dato di fatto che il buio è di per sé visibile, non trae in inganno, anzi, spinge a cercare naturalmente un po’ di luce. Altra cosa è l’opacità, la mezza luce che confonde, che induce a credere di vedere, che fa credere di distinguere un soriano da un siamese, e “ci lascia lì” nella perfida illusione di aver visto un gatto mentre passava un cane. Il nostro vivere è purtroppo immerso nelle mezze luci, avvolto da una opacità che si rivela sempre più ingannevole, e tragica. Accade da troppo tempo ormai per continuare a sperare che sia frutto del caso. Credo proprio che l’opacità che ci avvolge sia voluta. Restando alla nostra comunità nazionale, destra e sinistra vi appaiono uguali, e non lo sono; comunisti e fascisti vi scompaiono insieme, ma solo i primi sono scomparsi; guardie e ladri si rincorrono in tondo e già dal secondo giro non è più chiaro chi rincorre chi, e la corsa continua; padroni che chiudono e lavoratori licenziati sembra che danzino tutti da precari, ma solo i primi danzano; politici onesti e politici disonesti si profilano tutti come ombre inamovibili, ma solo gli onesti non fanno ombra; cooptati dall’alto e sorgenti dal basso sono dichiarati meritevoli senza alcuna distinzione, e i secondi si perdono nei primi come gocce nel mare; credenti e cattolici cominciano tutti dalla terza lettera dell’alfabeto (che è pure quella di Cristo), ma i primi credono in Dio i secondi in Padre Pio; magistrati che indagano e magistrati indagati sono vestiti degli stessi ermellini, ma i secondi non arrivano mai a sentenza; mafiosi assolti e mafiosi condannati tutti lo restano a vita, alcuni anche senatori; giornalisti con la schiena diritta e giornalisti piegati a novanta gradi sono dispersi nella stessa marea di notizie, ma i messaggi in bottiglia dei primi non li raccoglie ormai più nessuno. Non credo ci sia stato un “grande vecchio” che un dì, abbia deciso si abbassare le luci, penso piuttosto ad una appiccicosa stupidità, diffusa dapprima fra le classi alte (ed impaurite di perdere i privilegi di sempre), e poi irrimediabilmente trasformatasi appunto nella “opacità” endemica che ci affligge. Ormai siamo tutti dimentichi del fatto che anche riservatezza e segretezza, quando necessari, richiedono “trasparenza”, anzi più trasparenza ancora, di tutto ciò che può essere noto da subito (perché riservatezza e segretezza per essere, possono solo essere a termine). È la trasparenza la materia prima di cui nel nostro paese si avverte maggiormente la carenza. La trasparenza è il solo antidoto esistente in natura per combattere quel veleno che si chiama opacità. La trasparenza rende correggibili gli errori ed esigibili i meriti. Evitando come fosse peste, l’assunzione di responsabilità, si alimenta invece quell’opacità in cui gli errori si fanno pagare a chi non li ha commessi (e quindi come logica conseguenza non si correggono mai), e i premi si incassano senza ricollegarli ai meriti (che quindi restano inutilizzati come fondi di magazzino). A chi spetta il compito di “riaccendere le luci”?, da dove cominciare?. Tutte le risposte a queste domande che mi vengono in mente, sfilano nella mia mente nella loro stracciata veste di risposte ripetute e perdenti. Occorrerebbe un nuovo “eccesso di democrazia”, come mi è capitato di leggere ultimamente; ed anche, citato dallo stesso autore, occorrerebbe il vecchio “coraggio di non contare ad anni ma a generazioni” come ammoniva Carlo Rosselli. Non è alle viste né l’un eccesso né l’altro coraggio, forse ha ragione chi incita i giovani (almeno per il futuro più vicino a noi) ad andarsene dall’Italia. Altrove non è che esistano paradisi, ma un poco più di trasparenza forse sì, qualche grande “prato verde dove nascono speranze”, altrove, è ancora rimasto. Non è questo il tempo degli auguri di maniera, melensi e ipocriti, ma quello, almeno, della trasparenza dei proprio pensieri e dei propri sentimenti.



Vittorio Melandri

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