domenica 21 dicembre 2008

Piazza: Formaggio, il filosofo operaio e partigiano

dal sito radicalsocialismo

Dino Formaggio: il filosofo operaio e partigiano
Scritto da Gianguido Piazza
sabato 20 dicembre 2008
Il 6 dicembre è scomparso Dino Formaggio (1924-2008), una delle più interessanti figure della filosofia italiana del dopoguerra. Purtroppo pochi giornali sono andati oltre le scarne notizie di agenzia. Sulla rete, di sito in sito, rimbalzano gli stessi cenni biografici. Ma la sua stessa vita – operaio socialista in una fabbrica di Milano, maestro di scuola elementare a Motta Visconti, docente di Liceo a Milano, poi di estetica all’Università di Padova... – dovrebbe da sola attrarre ben altra attenzione dal pubblico, anche indipendentemente dalla solidità e dall’apertura del suo pensiero, cui tanto dovette l’estetica postcrociana. Un libro davvero interessante per conoscere la sua vita e le sue riflessioni sull’arte e sulla società è la sua ultima opera, una raccolta di saggi dal titolo Riflessioni strada facendo. Un cammino verso il sociale , apparso presso Mimesis di Milano nel 2003. Per accostarci alla figura di questo maestro della fenomenologia italiana può essere utile l’introduzione al libro scritta dal suo allievo Elio Franzini, docente di estetica alla Statale di Milano. «Formaggio – vi si legge – è Maestro perché insegna la “serietà” della filosofia, pur sapendo, e forse proprio perché sa, che questa stessa serietà meglio si nutre con il sorriso, evitando tormenti di autoreferenziali intelletti, sempre in lotta con se stessi o, peggio, con il proprio intestino».
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Non è questo il luogo per soffermarsi sulle novità metodologiche e tematiche acquisite da Formaggio e sui contributi originali da lui apportati alla fenomenologia. Più interessante è sottolineare con Franzini che il filo che unisce i saggi raccolti nel volume del 2003, «per nulla casuale, anzi ben robusto ed evidente, è quello dell’“impegno sociale” o, meglio, di un “cammino verso il sociale” (...) Le riflessioni che Formaggio opera – ed è una caratteristica dell’intera sua esistenza, non solo filosofica – non sono “statiche”, bloccate in un’irreale fissità, bensì “strada facendo”, cioè sempre in fieri, in dialogo, in tensione con se stesse e con il mondo. Un mondo che Formaggio sa non essere fatto di sole parole, come credono i cattivi filosofi, ma della nostra stessa carne, che vive nelle nostre comunità intersoggettive, nei conflitti che attraversano la società, la cultura, lo spirito».

L’impegno sociale è il motivo ispiratore della raccolta di saggi, che è perciò fondamentalmente unitaria: «Una filosofia che si imposta come “cammino” è già di per sé “sociale”, perché ha compreso che il suo destino, il suo stesso dovere gnoseologico, il suo fine epistemologico, non si riducono a una sterile autoreferenzialità, bensì si esaltano nella capacità di confrontarsi con il mondo, con la vita pulsante, con l'infinità mutevole delle sue manifestazioni qualitative, assiologiche, culturali. In questo contesto il discorso sociale di Formaggio si pone su vari piani, certo tra loro inseparabili, e che solo per cercare di comprenderne la complessità e il fascino si potranno scorgere in modo distinto».

Il primo piano, quello per noi più interessante, è costituito dalla riflessione sulla società contemporanea: «In primo luogo Formaggio lucidamente osserva come la “socialità” contemporanea va letta in chiave filosofica attraverso le categorie di “separatezza” e “dominio”, mutuate da Hegel ma rivissute di fronte all’attualità drammatica della storia: questi principi lavorano oggi come “appropriazione usurpativa del bene comune, dei diritti delle persone, delle proprietà e delle ricchezze, infiltrando l’ingiustizia nella giustizia, l’arbitrio nella legge, la tirannia nella libertà”. Comprendere questa “usurpazione”, e descriverla con sguardo filosofico, significa per Formaggio, in queste pagine, non distaccarsi da essa con indifferenza teorica, bensì fare agire la comprensione come azione, per abbattere i muri di indifferenza, spingendo verso un’interrogazione che è volontà di superamento, anche conflittuale, di quella separatezza che opera oggi come dominio incontrollato dell’uomo sull’uomo.

Formaggio non si limita dunque a “teorizzare” o, meglio, sa che la teoria ha un suo essenziale radicamento sensibile ed esperienziale, senza la quale è nulla, solo banale gioco linguistico. Per questo motivo lo spirito di separatezza e dominio è, in queste pagine, visto agire attraverso gli eventi più sconvolgenti che hanno attraversato gli ultimi brandelli del Novecento: dalla perdita della politica come vita della “polis” agli sconvolgimenti, non ancora conclusi, dei nostri italici “anni di fango”, sino alla sconvolgente guerra civile nella ex-Jugoslavia e al frantumarsi dell’impero sovietico. Formaggio insegna che la risposta alla separatezza è il dialogo, vera strada da percorrere insieme per ridonare il suo senso pieno alla nostra “socialità”».

Un secondo piano è costituito dalla riflessione sul senso della filosofia oggi: «Su questo orizzonte dialogico si staglia un secondo punto prospettico, particolarmente evidente là dove Formaggio affronta grandi temi filosofici. Qui, infatti, anche quando al centro dell’analisi vi sono singoli autori, ben si comprende che le prospettive di Formaggio non sono mai parziali, bensì si indirizzano sempre verso un disegno che è interpretazione generale della funzione della filosofia nel nostro tempo. Interpretazione generale che non è tuttavia “generalista”, dal momento che segue alcuni “fili rossi”, i quali, sulla scia dell’insegnamento metodologico di Simmel e Banfi, mettono in evidenza i conflitti tra vita e cultura, conducendo verso la rivelazione di una crisi che è compito del filosofo non ritenere ineluttabile baratro nichilista, bensì germe per ripensare il concetto di possibilità, e la nostra vita in esso. Possibilità che è dunque “reale”, che affronta la concretezza naturale del mondo e delle cose: e che permette di leggere i filosofi non solo come filosofi - morte pagine di un tempo passato - ma in quanto prospettive di futuro, interlocutori dialogici, “nostro” possesso, e nostro sguardo sul presente».

Uno degli scritti più interessanti del libro è l’autobiografia di Formaggio, di cui Franzini mette bene in luce il senso: «L’autobiografia che apre il volume non è soltanto la storia di una vita, ma l’intrecciarsi in essa di una rete di relazioni formative capaci di costruire una “tradizione” che è fondazione di un concetto di storia ampio, autentico, davvero “vitale”. Non dimentichiamo infatti che tradizione significa capacità di tramandare: e appunto, con la sua autobiografia, Formaggio inaugura quella che si potrebbe chiamare una “estetica della memoria” o, meglio, della necessità vitale, culturale, teorica, ma anche “politica” (nel senso, prima accennato, di polis) della memoria. Qui la memoria non è, infatti, sterile sentimentalismo o mistica del ricordo, non è il conservatorismo immobilizzante, normativo e ontologico. È la capacità di dare al tempo un’oggettività che non sia astratta e tecnicizzata, ma possa invece, sempre e comunque, e in primo luogo attraverso il nostro vivere e operare nel mondo, attraverso la nostra vita che sempre di nuovo esperisce il mondo, riconoscere in sé forze che si rinnovano, anche quando si affacciano, nella loro potenza distruttrice e drammatica, le dinamiche della separatezza».

L’autobiografia significa allora pensare se stessi come nodo di relazioni, di incontri che si dipanano attraverso il tempo: «Formaggio ci mette di fronte a uno specchio, e i volti che descrive fanno comprendere l’importanza che per noi ha sempre, e sempre deve avere, lo sguardo verso l’altro, la capacità di guardare in profondità i volti degli altri, cercandoli a volte, quando sono ormai scomparsi, nella nostra memoria, indissolubili dai sentimenti che hanno suscitato e che ancora vivono. Perché, come insegna T.S. Eliot, il tempo che distrugge è il medesimo che conserva».

Pensare se stessi è allora anche pensare la società: Formaggio ci insegna a cercare «la polis che è in noi, e che noi siamo, cioè i motivi più profondi e autentici che giustificano, prima di ogni astratto giudizio, il nostro stesso essere al mondo».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie all'autore di questo articolo per aver ricordato un grande maestro alieno di cui ho potuto seguire a Milano un corso universitario fondamentale per la formazione di chi vi ha assistito, un corso nel quale scoprimmo che la ragione greca non era stata solo logos ma anche metis; un corso nel quale imparammo i rudimenti del metodo fenomenologico e, come dice Piazza, imparammo anche a sorridere di noi, della filosofia e della vita, cui il prof. Formaggio si rivolgeva con coinvolgente e piacevole energia.