domenica 14 dicembre 2008

vittorio melandri: oltre la democrazia ci sta solo il popolo

Ilvo Diamanti ed Eugenio Scalfari con i loro articoli di oggi (14 dicembre 2008) su la Repubblica credo ci diano una mano a capire cosa sta succedendo.



Diamanti argomentando di post democrazia, dati e rilevamenti alla mano propone una tristissima considerazione:



“…(si) sta insinuando ….nell’area di opposizione, un sentimento di sfiducia nella democrazia. (che) Riflette e moltiplica il senso di riprovazione verso quella parte di elettori, molto ampia, che, da quindici anni, continua a votare per Berlusconi. Nonostante i suoi stravizi o, forse, proprio per questo. Verso quegli elettori che nel Nord si ostinano - in gran numero - a premiare la Lega. Nonostante il suo linguaggio intollerante e le sue iniziative xenofobe o, forse, proprio per questo. Mentre nel Sud continuano a votare per oligarchie clientelari e corrotte. Senza porsi problemi. Da ciò, come osserva Emmanuel Todd, l’idea, latente e diffusa (a sinistra), che “il popolo è per natura cattivo giudice”. E il pensiero - inconfessato e represso - che occorra, per questo, “ritirargli il diritto di voto o, almeno, limitarne seriamente l’esercizio”.

Difendere la democrazia dal popolo e perfino dal voto popolare. Oppure usare il popolo e il voto per limitare le garanzie democratiche. Questa alternativa insidiosa racchiude tutto il malessere che oggi attraversa la nostra democrazia rappresentativa.”



Eugenio Scalfari in chiusura del suo domenicale ci rassicura….. a tenere a bada “l’ometto”, contro quello che il decano dei giornalisti italiani rimasto sulla breccia Giorgio Bocca, ha chiamato “piccolo cesare”… contro il suo progetto di suo futuro…….secondo Scalfari ….



“…ci sono tutte le forze che non vogliono il cesarismo plebiscitario, la monarchia che coopta i successori, la fine dello Stato di diritto, il Capo illuminato e populista cui delegare i poteri con una cambiale firmata una volta per tutte.”



Non è però tranquillo Scalfari e ci ammonisce, guardate che…..


”La contesa è aperta, la prognosi è riservata.”



Ma poi subito ci rassicura…..



“Ma al centro del campo c’è il Presidente della Repubblica, l’elemento di massima garanzia che si batterà fino all’ultimo per impedire che possa esistere una Costituzione di maggioranza che abrogherebbe di fatto la Costituzione democratica, lo Stato di diritto, la politica dell’inclusione e non quella dell’esclusione e della prevaricazione.

Si batterà fino all’ultimo, di questo possiamo esser certi, non per spirito di parte ma per preservare i principi fondamentali della Carta costituzionale dai quali discendono quei diritti e doveri di cittadinanza che sono il tessuto civile dell’Europa e del mondo intero.”



Insomma, par di capire che contro il “piccolo cesare”, contro l’ “ometto”, ci sta sì una opposizione che stando a Diamanti mostra segni di sfiducia nella democrazia e nel popolo che la incarna, ma stando a Scalfari ci sta anche un “Grande Cesare” il nostro Presidente della Repubblica garante della Costituzione.



A parte il fatto di per sé insignificante che Giorgio Napolitano (il migliorista che ha omaggiato il compaesano Giovanni Leone e che lo ha lumeggiato quale un giurista al Quirinale) non gode delle mie simpatie, non so francamente se essere più preoccupato della diagnosi di Diamanti sulla opposizione “oltre la democrazia” che abbiamo, (intanto che quella “oltre il Parlamento” fra l’altro, sta dando di sé in queste ore prove da brivido), oppure essere più preoccupato della rassicurazione di Scalfari, per cui di fatto ad un “piccolo cesare”, fa argine un “Grande Cesare”, ancorché costituzionale.



A nessuno sembra interessare il fatto che il “popolo” non può essere lasciato da solo a “grattarsi”, e che le sue rogne vanno lenite e guarite (secondo comma Art. 3 della Costituzione), e non lasciate sanguinare per dire poi che non sa stare all’onor del mondo.



Per consolarmi almeno un poco, per continuare a credere (senza ricorrere ad una fede infantile, ceca e superstiziosa) nella umanità, che è la sola risorsa di cui disponiamo, non mi resta che proporre qui le parole di uno scrittore, per di più giovane, cosa che forse non sottolineiamo abbastanza.



Sempre dalla Repubblica di oggi….



Roberto Saviano



“…..se è vero che i libri non sono tutti uguali tantomeno lo sono i lettori. I lettori possono cercare di divertirsi o di capire, possono appassionarsi alla fantasia più illimitata o al racconto della realtà più dolorosa e difficile, possono persino essere la stessa persona in momenti differenti: ma sono capaci di scegliere e di distinguere. E se uno scrittore questo non lo vede, se non confida più che la bottiglia da gettare in mare approdi nelle mani di qualcuno disposto ad ascoltarlo, e ci rinuncia, rinuncia non a scrivere e pubblicare, ma a credere nella capacità delle sue parole di comunicare e di incidere. Allora fa un torto pure a se stesso e a tutti quelli che lo hanno preceduto…………………..

………………………………………………………………………………………………………....

…………………………………………………………………………………………………………

«Personalmente, non posso vivere senza la mia arte. Ma non l’ho mai posta al di sopra di ogni cosa. Mi è necessaria, al contrario, perché non si distacca da nessuno dei miei simili e mi permette di vivere, come quello che sono, a livello di tutti. Ai miei occhi l’arte non è qualcosa da celebrare in solitudine. Essa è un mezzo per scuotere il numero più grande di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie comuni. Essa obbliga dunque l’artista a non separarsi. Lo sottomette alla verità più umile e a quella più universale. E spesso colui che ha scelto il suo destino d’artista perché si sentiva diverso apprenderà presto che non nutrirà né la sua arte né la sua differenza, se non ammettendo la sua somiglianza con tutti […] Nessuno di noi è grande abbastanza per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della propria vita, che sia oscuro o provvisoriamente celebre, legato dai ferri della tirannia o temporaneamente libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustificherà, alla sola condizione che accetti, come può, i due incarichi che fanno la grandezza del suo mestiere: il servizio della verità e quello della libertà». Mi sembra quasi di poterlo toccare, Albert Camus, che ha pronunciato queste parole nel 1957, tre anni prima di morire in un incidente stradale. E vorrei ringraziarlo, vorrei potergli dire che quel che aveva detto allora, è ancora vero. Che le parole scuotono e uniscono. Che vincono su tutto. Che restano vive.



Un saluto a tutti vittorio

Nessun commento: