mercoledì 17 dicembre 2008

levi: la patria sull'altalena

da la stampa

17/12/2008

La patria sull'altalena





ARRIGO LEVI

Ma gli italiani, amano la loro patria? Sono orgogliosi della sua storia e della sua realtà odierna? O sono dominati da una «sensazione di declino» e da un’«insufficienza di identità e di orgoglio nazionali», che rafforzano una loro «naturale predisposizione ad atteggiamenti anti-istituzionali»? Sono domande che oggi, in tempo di crisi, appaiono più che mai attuali e importanti: dalle risposte che si danno potrà anche dipendere come sapremo reagire e uscire dalla crisi.

Ma sono domande che, dall’osservatorio del Quirinale, ci si poneva assai prima del crollo economico. Forse nessuno più di Paolo Peluffo, che era già stato accanto a Carlo Azeglio Ciampi alla presidenza del Consiglio e al ministero del Tesoro, ha vissuto con tanta passione questi dubbi e timori, durante il settennato di Ciampi, affiancandolo nell’impegno per accrescere nell’animo degli italiani sentimenti di amor di patria e di fiducia in se stessi; non solo con i discorsi presidenziali, ma con le tante visite ai nostri «centri di eccellenza», da Nord a Sud, e con un succedersi di gesti simbolici e solenni: la parata militare nei Fori Imperiali, la riscoperta dell’Inno di Mameli, i pellegrinaggi a luoghi carichi di memorie storiche. Erano sfide a quegli intellettuali che giudicano un male incurabile la «presunta insufficienza di identità e di orgoglio nazionali degli italiani» e la loro sfiducia nelle istituzioni (con l’eccezione, ancora oggi, della Presidenza della Repubblica).

Peluffo voleva capire dove stesse la verità; e non si stancava di ideare approfonditi sondaggi e ricerche. Da un’analisi sistematica del grande volume di dati raccolti Peluffo ha ora tratto il suo secondo volume di storia della presidenza ciampiana, La riscoperta della patria, che fa seguito al primo (C.A. Ciampi, l’uomo e il presidente, Rizzoli). Il responso di tante ricerche non è univoco. Vi sono zone oscure, accanto ad altre luminose, nell’idea che gli italiani si fanno dell’Italia. Siamo molto orgogliosi della nostra antica storia, delle nostre bellezze naturali e artistiche, della parte avuta nella costruzione della civiltà europea, come dei successi sportivi e scientifici. Rimane sempre molto elevato l’apprezzamento di Polizia e Carabinieri, vi è stato uno straordinario rilancio di popolarità delle Forze Armate, grazie all’impegno umanitario e ai sacrifici dei nostri soldati. Anche l’indice di fiducia nel servizio sanitario è più alto di quanto farebbero credere le tante inchieste sulla «malasanità». Rimane, ma di questi tempi non stupisce, un disagio diffuso per il presente e il futuro dell’economia: ma spesso sottovalutiamo i successi in molti settori (Italia non è solo moda, ma anche tanta industria, tanta meccanica e alta tecnologia). Cresce la fiducia nell’Europa. Non ha trovato grande ascolto l’appello a un nuovo rapporto di rispetto e dialogo tra le forze politiche, che faceva parte della lezione di civismo di Ciampi come di quella instancabile di Napolitano. Rimane, nonostante l’impegno del Quirinale, quello sconforto che nasce dalla violenza e talvolta dalla volgarità del discorso politico ai vertici dello Stato. «Stato» rimane parola meno apprezzata di Nazione o di Repubblica. E la stima dei governi locali (questo rimane il Paese delle cento città), supera di gran lunga il rispetto per il nostro «Stato», anche se è proprio la ricchezza delle tradizioni locali che rende grande l’Italia.

Le ricerche di Peluffo, che tengono conto di un più vasto lavoro di istituti specializzati, richiederebbero un’analisi ben più dettagliata. Chi vuole un’ulteriore disamina del settennato ciampiano veda anche i Dialoghi con il Presidente, opera di studenti e studiosi della Normale (vedi l’autodefinizione dell’«orgoglio» ciampiano a pag. 128). La conclusione dello studio di Peluffo è che il «difetto identitario e la carenza di orgoglio sono più immaginarie che reali». Ma, per ridarci fiducia in noi stessi e voglia di fare, occorre che si costruiscano «occasioni fisiologiche e leggibili di espressione di questi sentimenti, potenzialmente ben radicati nell’animo degli italiani»; al di là di quelle che le ultime presidenze hanno già consapevolmente creato. La concorrenza, a tal fine, dell’opera di altri livelli di governo rimane finora incerta.

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