venerdì 16 ottobre 2009

Luigi La Spina: La forza della storia

Da La Stampa

16/10/2009

La forza della storia





LUIGI LA SPINA

La testimonianza, accorata e persino spietata, di un lungo e sofferto cammino, costellato di errori, ritardi, macchiato da colpe, anche gravi. Ma con l’orgoglio di averlo compiuto per intero, scontando, con una critica severa su di sé e sulla propria parte, la piena legittimazione a esercitare un ruolo di garanzia per tutti gli italiani. È questo il senso più profondo di un discorso, quello pronunciato ieri mattina dal Presidente della Repubblica a Torino, in cui uno dei leader della sinistra comunista italiana nella seconda metà del secolo scorso confessa di aver capito il valore delle forme della democrazia liberale, per lungo tempo sottovalutate, e si impegna a difenderle «con serenità e fermezza».

Non ha tradito davvero le attese la risposta di Giorgio Napolitano, pacata ma non ipocrita, agli attacchi del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla sua figura di «uomo di parte».

Ma quello che più ha colpito coloro che hanno partecipato alla cerimonia in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio è, da un lato, il tono commosso della sua rivendicazione autobiografica, dall’altro, il richiamo ai valori della politica, intesa come esercizio che riesce a trasformare un uomo di fazione in un uomo delle istituzioni. Un mutamento che è consentito, è parso di capire, solo a chi non nasconde la propria storia, le proprie origini culturali e ideologiche, ma, quando è chiamato a rappresentare una importante carica pubblica, sa trascenderle ed esercitare quel «potere neutro» che è indispensabile per far funzionare una democrazia, come la consideriamo in Occidente.

È stato proprio il filosofo torinese, così come ha raccontato il presidente della Repubblica, ad adoperare, nel confronto con i comunisti del secolo scorso, quella «pedagogia del dubbio» che ha fatto comprendere come la garanzia dei diritti di libertà, con la divisione dei poteri, la distinzione tra organi della Repubblica al servizio del principio di imparzialità, non fossero «forme borghesi» dello Stato, in contrapposizione con una fantomatica «democrazia sostanziale» che poteva anche contraddirle o trascurarle. Ma fossero il fondamento della convivenza civile.

Una proclamazione di principi che certamente non si limita a un riconoscimento di un errore del passato, ma assume una precisa condanna delle attuali tentazioni populiste presenti nel centrodestra italiano, esaltatrici di una specie di «democrazia diretta», fondata solo sull’investitura elettorale del leader. Una forma di Stato che rischia di trasformare il Parlamento in una camera di registrazione ed approvazione di testi redatti, magari, in qualche studio professionale e, comunque, mal sopporta le lungaggini, gli ostacoli, procedurali e di merito, che autorità «terze» frappongono all’azione dell’esecutivo. Se la forma dell’equilibrio dei poteri è, invece, la sostanza della democrazia, questo non vuol dire che la Costituzione sia un tabù. L’appello del Capo dello Stato alla sinistra perché non si chiuda alle proposte di una riforma della seconda parte del nostra carta fondamentale non è stato meno netto delle sue critiche a chi, a destra, non rispetta gli istituti di garanzia. E anche in questo caso, Napolitano si è appoggiato al ricordo delle battaglie di Bobbio in favore di riforme elettorali e costituzionali.

Una lunga citazione del filosofo torinese è servita pure al Presidente della Repubblica per esprimere un giudizio che, con l’aria che tira, può sembrare controcorrente: «Sono convinto che molti italiani, al di là delle loro diverse, libere scelte elettorali... avvertano la necessità» del «senso della misura, del rispetto delle istituzioni e del confronto costruttivo».

Si sta diffondendo, infatti, un’impressione fallace, tratta dai successi di ascolto delle trasmissioni politiche in tv più urlate o dalle fiammate di vendita dei giornali più schierati. Quella che i cittadini italiani siano favorevoli a quel clima di «guerra civile delle parole» che vuole trasformarli in tifosi assatanati, obbligatoriamente arruolati nell’una o nell’altra fazione e disposti a «non fare prigionieri» pur di far vincere la loro parte. In una battaglia senza fine che vedrebbe, invece, solo una minoranza di cittadini, tremebondi parrucconi legati ad antiche forme di galateo politico, preoccupati per il rischio di compromettere non solo le possibilità di ripresa della nostra economia, ma le caratteristiche fondamentali della nostra democrazia.

Napolitano, ieri a Torino, ha avuto il merito di confutare questa superficiale convinzione, dimostrando che l’espressione ferma e serena delle proprie convinzioni, in difesa delle garanzie di uno Stato democratico e pluralista può costituire la risposta migliore e più efficace a chi avesse la tentazione di scavalcarle.

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