lunedì 19 ottobre 2009

Massimo Roccella: Il contratto dei metalmeccanici e il partito che non c'è

Il contratto dei metalmeccanici e il partito che non c’è
di Massimo Roccella
Dom, 18/10/2009 - 22:46
Hanno ragione Fim e Uilm a cantare le lodi del contratto separato firmato giovedì scorso o ha ragione la Fiom a giudicarlo uno dei peggiori risultati sindacali degli ultimi decenni? Se si dovesse dare una risposta tenendo conto dei commenti della quasi totalità della stampa (scritta e parlata), oppure delle reazioni delle forze politiche (di maggioranza e di gran parte dell’opposizione parlamentare), sarebbe davvero difficile orientarsi senza cedere alla suggestione che tutto quel che è accaduto è perfettamente razionale (perché appartiene al mondo reale), mentre irrazionali, sognatori (a pensar bene), estremisti inguaribili (per dirla fuori dai denti) sarebbero quelli che hanno cercato di opporsi (e intendono continuare a farlo) all’ordinato corso delle cose. Forse, però, una rappresentazione del genere è - come dire?- un po’ forzata. Forse il corso delle cose, più che ordinato, è stato preordinato per conseguire risultati molto lontani da quanto sarebbe stato opportuno e necessario.
Guardiamo, innanzi tutto, al merito. A gennaio di quest’anno sono stati diffusi dati di fonte internazionale, e perciò non sospetti di manipolazioni strumentali per fini di parte, sulla condizione socio-economica del nostro paese. Da essi risulta, innanzi tutto, che sui trenta paesi dell’area OCSE, secondo un rapporto della stessa Organizzazione, soltanto cinque presentano indici di disuguaglianza superiori all’Italia; l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in secondo luogo, attesta che i salari dei lavoratori italiani, misurati in termini di potere d’acquisto, sono diminuiti del 16% tra il 1988 e il 2006 (il maggior declino delle retribuzioni fra gli 11 paesi dell’Eurozona per cui si disponeva di dati comparabili), con una riduzione della quota degli stessi rispetto al PIL pari a circa il 13% nel periodo compreso fra il 1979 e il 2007.
Di fronte a dati del genere l’Oil non esitava a descrivere la situazione italiana in termini di vera e propria emergenza salariale. Qual è stata la reazione delle parti sociali? Si è proceduto, a tambur battente, alla riforma del sistema di contrattazione collettiva con un accordo separato (sottoscritto senza il consenso della CGIL) sulle regole del gioco, che ha puntato esplicitamente al ridimensionamento del contratto nazionale di lavoro, assicurando che esso sarebbe stato compensato da una maggiore diffusione della contrattazione aziendale. A chi paventava che il nuovo sistema sembrava fatto apposto per programmare un’ulteriore caduta dei salari reali, e comunque un allargamento delle disuguaglianze, si è replicato che si trattava di obiezioni ideologiche.
Il contratto dei metalmeccanici, stipulato secondo le regole varate a gennaio, è servito per fare la prova del budino. Le cifre che si lasciano circolare in questi giorni (con molta attenzione a non distinguere fra lordo e netto, fra l’aumento finale al termine del triennio di vigenza del contratto e quanto sarà erogato di anno in anno) non aiutano a capire. I 110 euro lordi mensili medi, ovvero parametrati sui lavoratori inquadrati al 5° livello, che un metalmeccanico si ritroverà in busta paga nel 2012 rappresentano, in effetti, un importo già di per sé ridicolmente basso, che soltanto una sfrenata fantasia può permettersi di ritenere adeguato a fronteggiare l’incremento del costo della vita (ovviamente quello reale, rapportato ai prezzi dei beni essenziali, e non quello misurato sui dati formali dell’inflazione); tuttavia appaiono una cifra ragguardevole se paragonata a quella di cui i lavoratori potranno disporre dal gennaio 2010, pari a ben 13 euro mensili netti (per un operaio di 3° livello, il più affollato nel settore).
Quanto alla contrattazione aziendale, è pacifico che non ci sarà nessuna maggiore diffusione della stessa, in particolare per i lavoratori delle piccole imprese che non l’hanno mai fatta e continueranno a non farla: e infatti a questi lavoratori il contratto nazionale riconosce un elemento “perequativo” (che dovrebbe compensare il mancato svolgimento della contrattazione aziendale) pari a ben 15 euro lordi mensili (10 netti) a partire dal 2011.
E qui il merito si intreccia con il metodo. A fronte di posizioni divergenti, se si volesse evitare di approfondire il solco della divisione sindacale, non ci sarebbe altro da fare che rimettersi al giudizio dirimente dei diretti interessati. Dovrebbero essere anzi proprio Fim-Cisl e Uilm, tanto più se sono davvero così convinte della bontà delle scelte fatte, a sfidare la Fiom sul terreno della democrazia, proponendo ai metalmeccanici della CGIL di firmare il contratto, che essi non condividono nel merito, nel caso in cui dovesse incontrare il consenso della maggioranza dei lavoratori all’esito di una consultazione referendaria. Fatto è che oggi per il contratto dei metalmeccanici, come in gennaio per l’accordo quadro sulle regole del sistema di contrattazione collettiva, l’idea di accertare l’opinione dei lavoratori non sembra sfiorare neppure i gruppi dirigenti di Cisl e Uil.
E allora, sarà pur vero che tutto ciò che accade in questi giorni è razionale, ma è anche frutto di una razionalità perversa, da cui traspare, in termini mai così evidenti e pressanti, il problema della democrazia sindacale come un aspetto (forse non il più rilevante, ma comunque niente affatto trascurabile) della più generale degenerazione della democrazia nel nostro paese.
Quanto al partito che si autodefinisce democratico, di fronte alla vicenda dei metalmeccanici i suoi imbarazzati silenzi, inframmezzati da qualche ambiguo balbettio, aiutano a comprendere la Caporetto sindacale che si sta consumando sotto i nostri occhi (perché - sia chiaro - la divisione alla fine rende più deboli tutti i sindacati, anche quelli che, firmando il contratto, suppongono di poter acquisire un ruolo centrale nelle relazioni industriali dei prossimi anni). La verità è che CGIL e Fiom non hanno più una credibile sponda nella sfera della politica e dunque l’occasione deve essere sembrata particolarmente propizia per relegarle all’angolo. Manca - non da oggi – un partito del lavoro nel nostro paese. E questo - non da oggi – è il nostro problema: il problema che la sinistra rimasta fuori dal PD non riesce ad affrontare (e forse neppure a mettere adeguatamente a fuoco).

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