mercoledì 28 ottobre 2009

Felice Besostri: Intervento alla riunione del gruppo di Volpedo

Dall'ADL
Periscopio socialista
--------------------------------------------------------------------------------

Quale sintesi
è possibile?

--------------------------------------------------------------------------------

Conclusioni (interlocutorie) all'assemblea del Gruppo di Volpedo
--------------------------------------------------------------------------------
di Felice Besostri
--------------------------------------------------------------------------------

Non è possibile trarre delle conclusioni in un tempo più ridotto di molti degli intervenuti: ma non è un problema quantitativo.

Sono state espresse indicazioni diverse: autonomia socialista, integrazione nel PD, costruzione di una nuova sinistra a partire da Sinistra e Libertà, quale sintesi è possibile?

Soprattutto si sono espressi anche stati d’animo che proprio per essere il frutto di pulsioni individuali non consentono una reductio ad unum.

Prima però di esprimere le mie opinioni, vorrei fare una precisazione rispetto ad una critica all’Appello di Volpedo, perché si rivolge ai socialisti ovunque essi siano.

Non è un appello indiscriminato.

Se qualcuno una volta socialista è andato da certe parti, cioè nel Popolo della Libertà, in ruoli dirigenti o di spicco e si trova bene, a proprio agio, semplicemente non è più socialista! A costoro non si rivolge l’Appello di Volpedo.

Tutti conoscono un passo famoso della Bibbia, un libro che tutti dovrebbero conoscere anche gli atei, come sono io. Mi riferisco all’Ecclesiaste (3.1-13): c’è un tempo per ogni cosa. Un tempo per seminare ed un tempo per raccogliere. Un tempo per gioire ed un tempo per piangere. Che tempo è questo per la sinistra italiana, ma anche europea? Non certo per gioire, ma nemmeno per piangere e soprattutto non per compiangersi.

Questo è un tempo per riflettere, ma riflessione non è contemplazione del proprio ombelico e neppure rimasticazione del passato, che pure dovrebbe essere rielaborato perché le occasioni perdute sono state molte.

Non dico il 1953, quando a Berlino una protesta operaia è stata soffocata con i carri armati e neppure il 1956 ungherese (dire rivoluzione è ancora troppo conflittuale).

Il 1968 della Primavera di Praga sarebbe stato un terreno di incontro perché il tentativo di riforma partiva dall’interno dello stesso partito comunista.

E il 1981 polacco di Solidarnosč? Quando un sindacato di lavoratori ha raccolto in brevissimo tempo una decina di milioni di aderenti e perciò era evidente una frattura tra il potere ed il popolo.

Sempre troppo presto, ma l’occasione perduta più recente ed importante è stata il crollo del Muro di Berlino nel 1989, cioè venti anni fa.

L’implosione del sistema sovietico avrebbe dovuto essere la consacrazione dell’altra sinistra, quella socialista democratica, ma così non è stato.

Invece di superare la frattura storica fra socialisti e comunisti è passata la vulgata della fine del la storia, non come vittoria della democrazia, ma del capitalismo.

Questo messaggio non è stato soltanto amplificato dalla destra conservatrice, ma è stato condiviso anche da chi sarebbe diventato il leader dell’Ulivo. Romano Prodi sulla rivista Il Regno, dalla Curia di Bologna, cui è sempre stato contiguo, ha sostenuto che con il crollo del muro non sarebbe finito soltanto il comunismo, ma anche il socialismo in Occidente, nella versione socialdemocratica.

La sinistra italiana non è più rappresentata nel Parlamento nazionale ed in quello europeo.

Non c’è altro caso in Europa, ma la debolezza della sinistra italiana rispetto a quella prevalente in Europa è stata soltanto resa evidente dai risultati del 2008 e del 2009.

La debolezza della sinistra italiana nel suo complesso viene da lontano: non ha mai avuto una vocazione maggioritaria o, quando l’aveva (Fronte Popolare del 1948) non era possibile a causa della divisione del mondo in blocchi contrapposti (ed è stato un bene, che non avesse trionfato una sinistra subordinata all’URSS).

Vocazione maggioritaria non significa avere vocazione governativa, ma proporsi alla guida del Paese con propri programmi e propri esponenti alla guida del governo per attuarli.

La sinistra italiana, anche quando PCI e PSI superavano il 40% dei voti, non si è mai proposta alla guida del Paese ed alla lunga gli elettori se ne accorgono: perché votare per chi non si sente di assumere la responsabilità di governare in prima persona?

La vicenda dell’Ulivo è esemplare, nel 1996 si è proposto con l’appoggio determinante del PDS come Capo del Governo proprio Romano Prodi, quello che aveva teorizzato (ed auspicato) la fine della sinistra in Europa, sepolta dalle macerie del Muro di Berlino.

Il giudizio sul presente dipende dall’orizzonte prospettico con il quale analizziamo la situazione.

Per il tipo di problemi dal cambio climatico alla dimensione della crisi economica e finanziaria, dallo sviluppo ineguale alle migrazioni di popolazioni l’orizzonte della sinistra non può che essere europeo se non planetario.

Tutti sono d’accordo, ma voglio fare un esperimento.

Quanti nella sala sanno la data del prossimo Congresso del PSE a Praga?

Si sono alzate sei mani e ho chiesto soltanto la data, quante se ne sarebbero alzate se avessi chiesto i temi che saranno trattati?

Si tratta di analizzare i risultati delle elezioni europee, nella quale la sinistra nel suo complesso ha perso ed i partiti del PSE, salvo le eccezioni svedesi, slovacche, maltese e greche, hanno subito una grossa sconfitta.

Tuttavia la lettura, imposta dalla destra, dei risultati come sconfitta definitiva della socialdemocrazia è pura ideologia.

Si sa o no che in queste elezioni ha votato meno del 50% degli aventi diritto al voto, cioè la percentuale di votanti è la più bassa degli ultimi quarant’anni, da quando c’è l’elezione diretta del Parlamento europeo?

Ha votato soltanto il 43,1% degli aventi diritto e tra gli astenuti sono prevalenti i ceti popolari, cioè il bacino elettorale tradizionale dei partiti socialisti democratici.

In sei paesi le astensioni sono state superiori al 70%, ed in 12 tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia le astensioni sono state tra il 50 e il 70%.

In solo due paesi, Belgio e Lussemburgo, le astensioni sono state meno del 20%.

In sette paesi soltanto, tra cui l’Italia, ha votato la maggioranza degli aventi diritto.

In questo panorama la sconfitta dei partiti socialisti assume una dimensione meno rilevante. Tutti i partiti pro-Europa hanno perso ed hanno guadagnato partiti populisti, nazionalisti e persino razzisti e soltanto in un numero limitato di paesi hanno compiuto significativi guadagni partiti ambientalisti (Verdi), come in Francia, o partiti di sinistra più radicale, come la Linke in Germania.

Da questo a inverare che la strada è quella della Linke è sbagliato per due ragioni, una di carattere generale e l’altra specifica.

In una prospettiva di sinistra la considerazione più rilevante non è il successo della Linke, di cui peraltro si gioisce, ma il fatto che tra il 2005 e il 2009 ci sono stati 4.360.000 elettori in meno, una forza quasi equivalente al partito dei Verdi. Altro dato, la SPD sempre tra il 2005 e il 2009 ha perso più di sei milioni di voti: Verdi e Linke ne hanno recuperato poco più di 1.800.000, cioè meno di un terzo.

Il risultato: SPD, Verdi e Linke nel 2005 avevano il 51,1% dei voti e la maggioranza assoluta nel Bundestag, nel 2009 hanno poco più del 45% dei voti e la maggioranza è liberal-democristiana. La sinistra è stata sconfitta.

La Linke ha avuto successo grazie ad un robusto ed accettato innesto della componente socialdemocratica di Lafontaine, che ha consentito l’espansione nei Länder dell’Ovest tedesco, altrimenti sarebbe stata una Lega Est della Germania Orientale.

In Italia i sostenitori della Linke escludono a priori un decisivo apporto socialista, mai ricercato.

Noi come sinistra e come socialisti, che ne facciamo parte, dobbiamo essere consci che le nostre preoccupazioni non sarebbero minori, se alle ultime elezioni europee Sinistra e Libertà avesse superato di un soffio il 4%, ma in un quadro di ulteriore rafforzamento della maggioranza di governo.

Certamente superare la soglia di accesso dà un maggior peso nella ristrutturazione della sinistra, ma non cambia il segno della sua sconfitta in Italia come in Germania.

Sia chiaro che sono favorevole ad una soglia di accesso, purché non stabilita a ridosso delle elezioni e soprattutto con il rispetto dell’art. 51 della Costituzione, per cui tutti hanno diritto di concorrere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.

L’Italia è l’unico paese europeo nel quale soglia di accesso e soglia per avere diritto al rimborso delle spese elettorali coincidono per il Parlamento Europeo e per le Regioni. L’effetto paradossale è che candidati ed elettori di liste, che non raggiungono il 4% finanziano con 5 Euro a testa le liste avversarie. Questo è intollerabile, non che vi sia una soglia di accesso.

L’argomento della soglia di accesso non può essere usato per imporre bongré, malgré l’entrata (dalla porta di servizio) nel PD.

Il partito socialdemocratico cecoslovacco alle prime elezioni libere non passò la soglia del 4%, ma nel volgere di pochi anni è cresciuto fino a diventare il primo partito della Repubblica Ceca e di esprimere il primo ministro: nelle prossime elezioni, di data certa dopo l’annullamento della data di Ottobre si gioca la preminenza tra i socialdemocratici ed il partito del Presidente della Repubblica Ceca.

Dobbiamo, altresì, convincerci che la crisi economica non porta automaticamente consensi a sinistra. Le responsabilità dei gruppi dirigenti rimane intatta, ma non si può fare di loro i capri espiatori

Non è vero che il peggioramento delle condizioni favorisca la sinistra, l’abbiamo visto in Italia con il fascismo ed in Germania con il nazismo.

Due grandi crisi economiche nel XX° secolo sono sfociate in due guerre mondiali. Il timore del futuro può rendere le persone più rassegnate ed egoiste, come anche far aumentare la coscienza dell’importanza della solidarietà.

La sinistra deve affrontare un compito finora inedito né quello socialdemocratico di distribuire più equamente le risorse, né quello comunista di dar avvio ad una industrializzazione forzata, sacrificando la libertà ed alla fine anche l’eguaglianza.

La sinistra troverà consenso popolare ed elettorale se sarà capace di proporre un’uscita dalla crisi possibile, praticabile e credibile.

Per illustrare il concetto mi scuso di ricorrere ad un’immagine un può forte.

Chi è caduto in una buca di guano è interessato a sapere come uscirne e non di sapere di chi sia la colpa.

Un anticapitalismo generico non conquista nessun consenso. Voglio riportare una delle Tesi congressuali per il Congresso di Milano del PSI:

“III. La crisi economica e finanziaria mondiale, le cui ricadute sulla nostra Provincia sono consistenti e visibili, richiede analisi e risposte nuove: un anticapitalismo generico e pregiudiziale, puro retaggio di nostalgie sovietiche, non è di nessun aiuto a convincere la popolazione, che la sinistra sia in grado di indicare le strade ed i tempi per l'uscita dalla crisi.

Il fallimento di pianificazioni autoritarie e burocratiche impone la ricerca di modelli di sistema in grado di assicurare sviluppo, libertà, partecipazione, efficienza, efficacia e raggiungimento di obiettivi di crescente eguaglianza di condizioni di vita e lavoro e non solo di pari opportunità.

In una economia di mercato spetta alle istituzioni democratiche di stabilire gli obiettivi prioritari e di programmare gli interventi sul lungo periodo per assicurare l'accesso di tutti ai servizi pubblici universali, quali la salute, l'istruzione e la formazione ed ai beni essenziali come l'acqua potabile e l'alloggio. Non è incompatibile con un'economia di mercato l'esistenza di regole di trasparenza, lo smantellamento di concentrazioni di potere nemiche della concorrenza e dell'interesse dei consumatori e di un sistema sanzionatorio severo, per chi viola le regole. Un mercato socialmente orientato differisce da un mercato orientato unicamente alla massimizzazione del profitto, senza riguardo alle ricadute etiche, sociali e ambientali.”

La situazione apre uno spazio obiettivo per le idee socialiste, cioè una scelta di solidarietà e cooperazione, come molti interventi hanno ricordato: l’alternativa è il prevalere degli egoismi nazionali e dei gruppi economicamente o militarmente più forti.

L’esistenza di uno spazio non è una garanzia, che possa essere occupato, da chi lo individua. Basta ricordare quando si teorizzava, che la scelta dei DS di fondersi nel PD,avrebbe aperto uno spazio per una formazione a sinistra di quel partito: così non è stato ne per i socialisti, né per Sinistra Arcobaleno, e non solo a causa della legge elettorale e il richiamo forte al voto utile. Le proposte non erano credibili non sono state credute da milioni di elettori di sinistra, che si sono astenuti. Lo spazio da coprire si è rivelato un vuoto,che come un buco nero nello spazio ha inghiottito le speranze della sinistra. La natura ha paura del vuoto (natura abhorret a vacuo), ma la politica li registra.

Sinistra e Libertà è stato un tentativo - e su altro versante la lista di unità comunista- di riempire il vuoto per occupare lo spazio. Il risultato è stato migliore di Sinistra Arcobaleno,perché si sono raccolti voti superiori al 6%,con un incremento del 50% ( è questo il fascino delle percentuali) rispetto alla somma dei voti socialisti e della Sinistra Arcobaleno, ma la soglia non è stata passata da nessuna delle due liste di sinistra.

L’uscita dei Verdi da Sinistra e Libertà indebolisce il progetto, ma ogni crisi è una sfida ed un’opportunità. SeL può essere più coesa con l’uscita di una forza che a livello europeo si vuole porre al centro e che ha un suo riferimento a un gruppo parlamentare distinto da quello del PSE.

In Finlandia i Verdi sostengono un governo di destra, in Germania se FDP e CDU/CSU non fossero stati autosufficienti non era a priori esclusa una partecipazione dei Verdi, come già avviene in alcuni Länder.

Finora i Verdi, dove hanno avuto guadagni, lo hanno fatto a spese della sinistra. È una strategia che non sempre premia, per esempio in Grecia non hanno superato la soglia del 3%, mentre il PASOK (Partito Socialista Panellenico) ha raggiunto da solo la maggioranza assoluta.

Il PSI fa parte del PSE, il nome ufficiale di Sinistra Democratica è Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo, lo MPS di Vendola non potrà mai confluire nella Sinistra Unita Europea per il veto di Rifondazione.

A sinistra non vi è altro orizzonte diverso dal socialismo europeo, anche se il PSE va profondamente riformato: così, come è, non è uno strumento per il rinnovamento del socialismo europeo e della sinistra nel suo complesso.

Il PSE deve diventare un partito vero e proprio, non una confederazione di gruppi dirigenti socialisti nazionali: un partito sovranazionale e transnazionale che tracci le linee programmatiche e ideali della presenza socialista nelle istituzioni europee (UE e Consiglio d’Europa) ed in quelle internazionali dove l’Europa sia presente.

Senza i Verdi possiamo pensare ad un’altra SeL, cioè SOCIALISMO ECOLOGIA LIBERTA’ primo passo per la costruzione in Italia, come in Europa, di una sinistra che sia socialista, autonoma, europeista, democratica, libertaria e laica.

Nessun commento: