lunedì 26 ottobre 2009

Federico Geremicca: La svolta e il ritorno all'antico

da La Stampa
26/10/2009

La svolta e il ritorno all'antico





FEDERICO GEREMICCA

E’perfino ovvio, dopo una domenica come quella di ieri, dire che giornate così fanno certamente bene al Pd - lo rianimano, lo confortano - ma fanno bene, più in generale, all’intero Paese: che quasi tre milioni di italiani si autogestiscano in una prova di democrazia come le primarie testimonia di un Paese forse stanco ma non ancora fiaccato, nonostante le risse politiche di pessima lega e l’aria pesante che tira. Ma la massiccia affluenza alle urne - pur importante e oltre le aspettative, considerata la slavina di guai abbattutasi sul Pd - è solo la cornice entro la quale è maturata una svolta politica che potrebbe produrre novità in tempi anche molto brevi.

Infatti, il cambio di leadership e l’elezione di Pier Luigi Bersani, se non rappresentano già da soli una svolta, certo si candidano a esserne la premessa.

C’è una frase - pronunciata dal neosegretario nella fase finale della campagna per le primarie - che forse aiuta a capire più di tanti discorsi la bussola con la quale orienterà la sua leadership: «Il più antiberlusconiano è quello che lo manda a casa». Sottinteso: non quello che strilla di più. In fondo, è stato questo il vero spartiacque politico che ha diviso durante la sfida il vecchio segretario, Franceschini, da quello nuovo: il carattere e il profilo da dare all’opposizione e, dunque, anche al cosiddetto antiberlusconismo. L’obiettivo - sconfiggere il presidente del Consiglio - era ed è ovviamente identico per l’uno e per l’altro: sono i toni, i temi e lo stile politico col quale procedere che potrebbero invece rivelarsi profondamente diversi.

Dario Franceschini, e in dirittura d’arrivo anche Ignazio Marino, hanno definito questa possibile svolta come «il ritorno del vecchio». Se con questo s’intende il ritorno a qualcosa di noto, di già visto, è assai probabile che abbiano ragione. Non c’è dubbio, infatti, che tanto il nuovo segretario quanto il più convinto dei suoi sponsor - cioè Massimo D’Alema - non abbiano per nulla condiviso, da un certo punto in poi, la traiettoria nervosa e solitaria impressa al Pd dagli ultimi mesi della segreteria Veltroni, prima, e da quella di Franceschini poi: e ora, dunque, è ovvio attendersi delle correzioni. Nulla che non sia già in qualche modo noto: perché se è vero che durante la sua campagna Bersani non ha snocciolato i soliti dodici o tredici punti del solito programma, è altrettanto vero che la rotta che intende prendere l’ha tracciata a sufficienza.

Pochi punti, e pochissimi svolazzi. Primo: metter mano alla legge elettorale, certo per restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri parlamentari, ma probabilmente anche per dare una sistemata ad un bipolarismo che va degenerando tanto nei toni quanto nei risultati che produce. Secondo: visto che «il più antiberlusconiano è quello che lo manda a casa», ritessere una tela di alleanze che permetta di raggiungere lo scopo, abbassare i toni di polemiche che possono risultare addirittura vantaggiose per il premier e spostare l’attenzione su quel che poi alla fine orienta davvero il voto della gente (la crisi prima di tutto, e la perdita di posti di lavoro). Terzo: pensare al Pd come a un partito europeo piuttosto che americano, un partito non di opinione ma «di massa» e radicato sul territorio, come si diceva un po’ di tempo fa.

Che queste direttrici di marcia - ammesso che siano poi davvero percorse - segnino il ritorno a qualcosa di già visto (al «prima», appunto, come ha contestato Franceschini) è fuor di dubbio. Che questo sia un male per il Pd, per l’idea che lo generò e perfino per il Paese, è cosa che ora tocca a Bersani riuscire a smentire. E tra le tante annotazioni possibili, per concludere, ne scegliamo due. Una dice che molte delle possibilità di riuscita del nuovo segretario stanno nel grado di unità che saprà costruire nel partito e nell’auspicio che gli altri leader non seminino il suo cammino di trappole, com’è avvenuto sia con Veltroni che con Franceschini. L’altra, più che una annotazione, è una speranza: che il «nuovo corso» contribuisca, per quanto gli spetta, a ricondurre il confronto politico a qualcosa che somigli - appunto - a un confronto, piuttosto che a una continua rissa. Già questo renderebbe l’aria più respirabile. E non sarebbe poco.

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