L’UNITA’ 4 agosto 2012
Eccessivi vincoli in Europa complicano la vita al PD
Lanfranco Turci
Diciamo che la Carta di intenti sia un faticoso tentativo di tirare la
coperta per coprire la non sconfessabile adesione al governo Monti e
insieme la esigenza di discontinuità attesa dall’elettorato popolare
del centro sinistra e necessaria per rendere credibile la torsione
“progressista” data da Bersani al Pd. Giudizi di persone intelligenti
e equilibrate come Follini e Salvati convalidano questo giudizio. E
diciamo pure che l’apertura ai moderati così come motivata da Michele
Prospero su l’Unità del 3 agosto, su uno schema di ragionamento
storico che evoca il Gramsci delle crisi organiche, il partito nuovo
di Togliatti e il compromesso storico di Berlinguer, dà una dignità
al disegno politico al di fuori delle riduttive polemiche
politiciste. Ma può reggere questo delicato equilibrio di fronte alla
durezza dei processi che si sviluppano quotidianamente sotto i nostri
occhi? Ieri abbiamo assistito all’ennesima retromarcia della politica
europea in sede Bce, dopo quella clamorosa, e particolarmente penosa
per il governo italiano, del vertice europeo dei primi di giugno sullo
scudo antispread. Non si tratta solo dell’ennesimo e ribadito rifiuto
del ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza. Né
dell’ennesima imposizione del veto tedesco, che vede purtroppo
consenziente anche una parte della SPD. Leggendo bene le cose c’è
anche la affermazione che un eventuale futuro intervento della Bce
sarebbe condizionato dall’impegno, per i paesi che chiedessero un
allentamento del cappio degli spread, di sottostare a tutte le cure
dell’austerity decise da Bruxelles e da Francoforte, attuali e
eventuali. Un impegno pluriennale che dovrebbe travalicare anche le
normali scadenze elettorali attraverso una esplicita adesione dei
partiti prima del voto. Come è avvenuto in Grecia e in Portogallo.
Qui viene l’interrogativo immediatamente politico che ha a che fare
con la compatibilità con la democrazia delle politiche liberiste e
tecnocratiche europee. E’ rivelatore e inquietante in proposito
l’interrogativo che si è posto Monti a Helsinki: “ Siamo sicuri che le
democrazie nazionali siano ancora un esempio?O forse sono parti del
malfunzionamento della Ue?”. Verrebbe da rispondere
polemicamente:”Perché non delegare il tutto alla Bundesbank e alla
Corte di Karlsruhe?”. Insomma dovremmo vincolarci alla attuale
politica di sostanziale strozzamento interno, al cui rispetto la Bce
graduerebbe l’intervento di una moneta su cui abbiamo perso ogni
sovranità e che sembra pensata unicamente in funzione di politiche
liberiste e antipopolari. E dovremmo impegnarci a farlo comunque,
qualunque fosse l’esito del voto e qualunque cosa avessimo scritto nei
programmi elettorali. In un quadro di questo tipo anche i prudenti
propositi della Carta di intenti corrono il rischio di venire
vanificati e la coperta corta viene tirata decisamente sulla
continuità col montismo. Ma attenzione questo non è solo un problema
per il futuro, perché qui e ora, alla luce degli sviluppi di questi
giorni, si pongono domande non più rinviabili: fino a che punto si
intende lasciar distruggere questo paese dalle attuali politiche
europee? Possiamo continuare con una delega in bianco alla politica di
Monti che si dimostra consentanea alle direttive europee sul piano
interno e inefficace a contrastarne gli effetti perversi sul piano
comunitario? Temo che questi interrogativi complichino molto il piano
elettorale pensato dal Pd e non consentano una marcia tranquilla e
lineare dal governo Monti al governo Bersani. Per non dire che, su uno
sfondo di questo genere, quel “patriottismo costituzionale” invocato
da Prospero tenderebbe ad assomigliare troppo a quel governo di unità
nazionale che segnò la sconfitta mai più recuperata del Pci di
Berlinguer. Ma ci potrebbe essere anche qualcosa di peggio. Monti ha
detto ancora a Helsinki di temere che spread troppo alti portino alla
vittoria in Italia di “un governo non europeista, non favorevole
all’euro e non orientato alla disciplina fiscale”. E’ quanto ci si può
aspettare da queste politiche. Quanto spazio vogliamo ancora lasciare
al populismo di Berlusconi e soci?
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