LE DIFFICOLTA’ DI SEL
Una settimana difficile per il piccolo movimento raccolto attorno alla figura del Presidente della Regione Puglia che ha misurato le proprie ambizioni in un confronto, prima di tutto, con il PD dal quale è emersa una prospettiva politica che sta incontrando da subito, fortissime difficoltà.
Il motivo di queste difficoltà non deriva non tanto e non solo dall’emergere di una forte contestazione dall’interno, da parte di compagne e compagni che ravvedono nella linea di costruzione dell’alleanza di centrosinistra attraverso il meccanismo delle primarie un serio passo indietro rispetto a quelli che, loro, pensavano fossero gli intendimenti di costruzione di un nuovo soggetto della sinistra italiana, capace di riscattare questa parte fondamentale dello schieramento politico, dai fallimenti degli ultimi anni, dei quali – è bene ricordarlo- lo stesso attuale gruppo dirigente di SeL, ovviamente assieme ad altri è stato indefettibile protagonista.
Il motivo vero è che le due linee politiche che fin qui, nella sua giovane esperienza, SeL ha prodotto e che sintetizzo con due slogan: “Primarie” e “Foto di Vasto” non dispongono, nel quadro attuale, di una propria capacità autonoma di essere inserite nell’agenda; hanno bisogno, in entrambi i casi, e con molti dubbi, di essere agite attraverso altri soggetti, nella fattispecie il PD che, proprio per via dell’eterno gioco dei rapporti di forza, le sottopone facilmente alla propria strumentalizzazione, riducendole semplicemente a veicolo per quell’alleanza con gli ex-democristiani dell’UDC, che rimane l’obiettivo di fondo di quel partito, con quel che ne consegue dal punto di vista dei contenuti e anche dello stesso esito elettorale.
Addirittura, con ogni probabilità, non ci saranno primarie perché si modificherà la legge elettorale in modo tale che gli stessi ex-democristiani potranno usarne il risultato per tornare all’antica “politica dei due forni” ed è a rischio anche la stessa presentazione autonoma di SeL alle elezioni, in quanto se la stessa legge elettorale dovesse prevedere un premio di maggioranza al primo partito (il PDL vuole il 10%, il PD il 15% e la differenza risale al fatto che il PD è molto più incerto del PDL circa la possibilità di ottenere la maggioranza assoluta all’interno del proprio schieramento. Lo stesso motivo per il quale nel 1953 la DC volle il premio di maggioranza al 65%, tanto per intenderci, subendo però la scissione repubblicana e socialdemocratica di Parri e Calamandrei).
Infatti, se il premio di maggioranza al primo partito fosse del 15% è evidente che, surrettiziamente, l’asticella della soglia di sbarramento si alzerebbe dal formale 4 o 5% e quindi, in caso di presentazione autonoma, in questa condizioni, quei dirigenti di SeL che hanno fatto del rientro in Parlamento il loro scopo di vita vedrebbero quell’obiettivo a rischio e, di conseguenza, perseguibile soltanto attraverso un listone all’interno del simbolo del PD.
SeL priva di autonomia nella proposta politica, questo è il punto della discussione: un tema che risale, però, alle modalità di formazione di questo soggetto politico e, in particolare, alla forma data dal congresso costitutivo di Firenze che, risultò, alla fine una semplice passerella per incoronare un leader già designato ed, apparentemente incontestabile.
Mancò in quella sede una seria discussione politica e mancò perché fu impedita la possibilità di presentazione di diverse mozioni, sulle quali aprire un dibattito e realizzare una sintesi.
All’epoca avevo preparato un documento che, forse, alcuni dei miei interlocutori ricordano e che fui costretto a tenere nel cassetto per impossibilità di espressione esterna (come molti sanno sono un veterano di posizioni minoritarie all’interno di un partito: dalla vicenda del Manifesto, a quella degli Autoconvocati Comunisti negli anni dello scioglimento del PCI non ho mai avuto timori di esprimere pensieri controcorrente ed anche duramente contestati. Debbo dire che fu meno protervo Fassino, a suo tempo, quando – dopo una furiosa litigata a Botteghe Oscure – concesse alla mozione degli autoconvocati di essere discussa nei congressi di sezione del PCI, sia pure collegata alla mozione 2 quella di Natta, Ingrao, Magri, non disponendo il nostro gruppo di membri della Direzione. Ed era il PCI, beninteso).
Compio, allora, in questa sede un gesto di assoluta superbia allegando di seguito il testo che avevo preparato per essere presentato come mozione alternativa a quella di maggioranza in SeL. Non ho mutato una virgola, certo c’è bisogno di aggiornamento, ma ritengo bastino, a futura memoria o a chi volesse misurarsi con il problema, questi brevi frammenti.
Dunque, ecco di seguito:
Dibattito a sinistra Per consentire un dibattito aperto ed un confronto serrato per sviluppare un tentativo di rendere concreta la ricerca di una nuova soggettività unitaria della sinistra italiana, provvista di contenuti programmatici, e posta in alternativa all'idea di aderire al meccanismo di una "democrazia del pubblico", riorganizzata attorno al leader. Si è totalmente esclusa una ipotesi di confronto aperto e questo fatto lascia in sospeso molte cose, a partire dalla natura del nuovo soggetto e della qualità del suo possibile agire politico
Il congresso di SeL, appena concluso, avrebbe meritato la presentazione di una mozione alternativa per consentire un dibattito aperto ed un confronto serrato al fine di sviluppare un tentativo di rendere concreta la ricerca di una nuova soggettività unitaria della sinistra italiana, provvista di contenuti programmatici, e posta in alternativa all'idea di aderire al meccanismo di una "democrazia del pubblico" (nel senso che il "pubblico" assiste dagli spalti), riorganizzata attorno al leader, coerentemente con l'avanzare dell'idea della presidenzializzazione del sistema politico.
Non si è voluto aderire ad una ipotesi di confronto aperto, anzi la si è totalmente esclusa e questo fatto lascia in sospeso molte cose, a partire dalla natura del nuovo soggetto e della qualità del suo possibile agire politico.
I dirigenti in carica della sinistra italiana stanno prendendo strade diverse: Sinistra e Libertà, sembra proprio aver preso la strada del movimentismo - presidenzialismo puntando a fungere da supporto alla candidatura del Presidente della Regione Puglia alle futuribili elezioni primarie che il PD, al momento delle elezioni anticipate o meno, dovrebbe indire per scegliere lo sfidante al ruolo di Capo del Governo (usiamo termini da "costituzione materiale" e non da "costituzione formale) opposto all'attuale titolare dell'incarico; la Federazione della Sinistra pare voler aggregare all'interno di un recinto identitario (si legge, da qualche parte, di unità dei comunisti per un progetto rivoluzionario: così alcuni suoi esponenti intendono, appunto, la Federazione) all'interno del quale far trovare alloggio i soggetti residui di una storia che pure, a nostro modesto giudizio, potrebbe essere impiegata diversamente.
Tutto ciò all'interno di una situazione politica nella quale si pone l'esigenza di un ampio schieramento di opposizione che si muova con una ipotesi ben precisa per fare in modo di superare lo stato di cose in atto, pericoloso per la democrazia e fortemente negativo sul terreno economico.
Intendiamoci bene, rispetto a questo punto : come vedremo meglio in seguito non è assolutamente nostra intenzione negare la necessità di una "identità forte", si tratta però di una questione riguardante la necessità di una formazione identitaria "progressiva" e, per l'appunto, di "recinti" (poi , nota politologica spicciola, le Federazioni non funzionano mai: ma questo è un altro discorso)
I dati in nostro possesso, quindi, non risultano particolarmente confortanti: eppure, convinti di non essere provvisti soltanto di ostinazione soggettiva ma anche di qualche buona ragione politica, pensiamo valga la pena di insistere nella nostra proposta originaria.
Un nuovo soggetto politico della sinistra italiana
Quella, tanto per riassumere, di un nuovo soggetto politico, un partito della sinistra italiana (facile il riferimento alla Linke, anche se da noi, è bene ricordarlo, storia e percorso dovrebbero essere affatto diversi dal caso tedesco) in cui trovino posto i portatori della migliore tradizione comunista e socialista in un nuovo crogiolo di idee e di proposte, adeguate alle temperie dell'oggi: un soggetto fondato, ovviamente, senza voli pindarici, sull'esistente, cercando di recuperare i moltissimi che si sono allontanati negli anni (forze vive, intendiamoci bene, nella realtà sociale e culturale) e proponendo ai giovani un percorso diverso da quello di una semplice affabulazione verbale.
Un ruolo che il PD non può assolutamente assolvere, per ragioni "strutturali" riguardanti la prevalenza di una concezione della politica, che alberga in quel partito, minato da una assenza di identità dovuto alla deprivazione della memoria e dall'esistenza di un compromesso interno assolutamente frenante per il futuro.
Appare altrettanto evidente che le divisioni nella maggioranza di governo, se potranno portare a soluzioni traumatiche in tempi brevi, come quella delle elezioni anticipate, sono inutilizzabili sia allo scopo di varare un progetto di transizione, sia - a maggiore ed assoluta ragione - nella prospettiva di un mutamento reale nella guida del Paese (oltre all'interrogativo non banale che è necessario porci, rispetto ai reali margini di manovra politica di questa scissione di "Palazzo" del PDL).
Il passaggio dal "pensiero debole" al "pensiero forte"
Il primo punto, ponendoci sul terreno di un possibile schema programmatico, è quello del passaggio dal "pensiero debole" al "pensiero forte".
Serve (siamo coscienti che, per molti, ciò che stiamo per affermare possa apparire come una bestemmia) una nuova concezione dell'ideologia, da cui non scaturisca né una teoria della dittatura, né una teoria contrattualistica della democrazia, ritornando all'idea che la politica non debba avere come "oggetto" soltanto il potere.
Una ideologia che proponga, invece, una critica della concezione della politica quale mera sfera della mediazione e della rappresentatività con una interpretazione attiva del rapporto tra struttura e sovrastruttura (profondamente modificatosi, in questi ultimi tempi, soprattutto a causa dell'innovazione tecnologica sul terreno della velocizzazione dell'informazione e, di conseguenza, dell'antico meccanismo della globalizzazione economica, culturale, sociale).
Deve essere introdotta, a questo proposito, una nuova concezione della soggettività "non presupposta, ma posta; non individuale ma collettiva", puntando alla costruzione di un "blocco storico", da realizzarsi proprio attraverso le categorie d'uso della politica (dizione riunificata, a livello europeo, delle tre versioni anglosassoni di policy, politcs, polity), allo scopo di esprimere l'unità di un processo storico reale, quale soluzione non speculativa del rapporto di implicazione tra economia, politica e storia realizzando così il momento egemonico della volontà politica.
Questo ritorno ad un "pensiero forte" non può non tradursi, nello specifico dell'attualità del "caso italiano" con il porsi del tutto controcorrente al modello "maggioritario-presidenzialistico", introdotto surrettiziamente nel nostro sistema politico, a Costituzione invariata, facendo valere l'idea di una "costituzione materiale" da rispettare in nome di una presunta volontà popolare.
Respingere l'idea della "Costituzione materiale"
L'accettazione dell'idea dell'esistenza di una "costituzione materiale" , suffragata dall'accettazione del ruolo di "capo della coalizione" il cui nome viene scritto sulla scheda elettorale ( e, di converso, l'elezione diretta di Sindaci, Presidenti di Provincia e di Regione), va respinta con forza: perché è proprio su quel terreno che la destra attacca ruolo, strutture, presupposti della nostra democrazia: l'idea "maggioritaria-presidenzialistica" si muove, oggettivamente, su di un terreno sostanzialmente speculare a quello offerto dalla peggiore destra italiana, negando il ruolo dei partiti (soggetti ancora decisivi, tra difetti e limiti giganteschi che non saremo certo noi a sottacere ed esempi assolutamente disastrosi nella realtà italiana, per il funzionamento del meccanismo democratico), la loro capacità di necessaria "integrazione di massa" e la centralità delle istituzioni rappresentative a tutti i livelli, al centro come alla periferia.
Il tema della "questione morale", inoltre, deve essere collegato direttamente ai temi della concezione della politica che abbiamo fin qui, sia pure sommariamente, cercato di affrontare: la "questione morale" non può essere intesa come questione particolare.
La "questione morale" è la "politica", non tanto nelle scelte dei singoli ( cominciando ad allontanare questa idea dell'esibizione del privato come fatto politico e, quindi, riflettendo sui temi della personalizzazione, dell'uso dei mezzi di comunicazione di massa, dei costi della politica, quali fattori che producono "questione morale"): non deve, di conseguenza, essere evocata ma "praticata" nel concreto delle scelte.
Il sistema elettorale proporzionale quale obiettivo possibile
Nella sostanza l'idea concreta da sostenere al fine di rendere coerenti, sul piano della dinamica politica quotidiana, i postulati fin qui enunciati è quella di un sistema elettorale di tipo proporzionale (si può discutere, ovviamente, sul piano tecnico del nesso tra rappresentatività e governabilità da ricercare con equilibrio, ricordando sempre il dato prevalente, fondamentale, della rappresentanza) e la negazione di qualsiasi forma di investiture diretta per le cariche monocratiche.
Sul terreno del dibattito istituzionale va ancora ricordato come, accanto alla difesa del carattere parlamentare della Repubblica, vada collocata anche la difesa, altrettanto rigida, della suddivisione dei poteri ed, in particolare, dell'indipendenza della magistratura da qualsivoglia ingerenza del potere politico (ci riferiamo alla composizione del CSM e alla suddivisione delle carriere).
Un compromesso a livello europeo
L'aggressività della destra, nella crisi, ci richiama, però, a questo punto alla necessità di operare per la definizione di un compromesso, posto prima di tutto nel campo del "modello", riferendoci ai temi economico-sociali.
Nelle condizioni date, e in particolare rispetto ai rischi seri di divaricazione fra le diverse aree dell'Europa e nei riguardi del resto del mondo, la destra liberista, che governa in Italia, Germania, Francia e Regno Unito, pare non avere altra strada che quella di una destrutturazione del quadro delle relazioni industriali (fortemente accentuato e squilibrato, in Italia, dal "caso Fiat" e dall'assenza di un vero e proprio tessuto industriale nei settori strategici), della crescita delle diseguaglianze (con l'uso dell'immigrazione in funzione della creazione di un "esercito di riserva", sfruttandone le inevitabili contraddizioni sociali, per esaltare l'idea dell'ordine pubblico e della "sicurezza", con respingimenti, rimpatri forzati, ecc), dell'ulteriore riduzione dei margini di un welfare-state ormai residuale e dalla conseguente riduzione degli spazi di democrazia ( su quest'ultimo punto il "caso italiano" torna ad essere particolare, perché si tratta di un liberismo portato avanti da un governo di stampo populista, un populismo di cui è componente essenziale l'etnoregionalismo della Lega Nord in assoluta funzione di collettore radicato sul territorio degli "egoismi correnti", cui non riesce minimamente a contrapporsi una opposizione che appare tutta interna alla stessa logica liberista con inutili pretese di impossibile "temperamento" e nell'incapacità di porsi, almeno, in termini moderatamente socialdemocratici).
Eppure la questione del compromesso è quella decisiva: un compromesso che deve essere ricercato poggiando su tre pilastri: la capacità di un rinnovato intervento pubblico in economia (da finanziare attraverso l'uso della leva fiscale, utilizzata propriamente nel senso dei patrimoni, delle transazioni finanziarie internazionali, delle imposte sull'inquinamento, ecc.) per puntare ad investimenti di tipo "collettivo" e non a rilanciare, attraverso il finanziamento senza contropartita degli stessi autori della crisi in atto posta in essere attraverso uno scriteriato meccanismo di finanziarizzazione dell'economia.
I temi economico-sociali
L'idea deve essere quella di combattere diseguaglianze e consumo individualistico puntando, ad esempio, al rilancio delle infrastrutture ferroviarie, alla difesa dell'ambiente, al riassetto idro-geologico del territorio, alla ricerca di energie alternative rinnovabili.
Ancora: serve la ripresa di una "politica dei redditi" che punti ad attutire il meccanismo delle diseguaglianze e ad affrontare il tema della precarietà del lavoro, con una linea sindacale orientata non solo verso il puro conflitto o - all'estremo - all'assoluta condiscendenza ma, rifiutando il neo corporativismo, sia finalizzata all'integrazione dei soggetti più deboli: precari ed extra-comunitari costretti al lavoro nero (questo è un punto, fra l'altro, direttamente collegato al tema dell'evasione fiscale).
Il livello cui questo compromesso deve essere ricercato non può che essere quello europeo, almeno a partire dalla zona più forte d'Europa, ammettendo anche la realtà ineludibile di una "Europa a due velocità" e partendo da una "dimensione nazionale" per pervenire - appunto- a quella europea (anche in questo caso l'ipotesi di deperimento rapido del concetto di "Stato-Nazione" è apparsa rivelarsi come un pericoloso boomerang.
Tutto questo discorso, che a molti potrà anche apparire strampalato, ci riporta però alla politica nell'immediato: alla necessitò di un partito di sinistra adeguato a questo compito e ai rapporti in sede europea (e la questione PSE/GUE appare essere una questione di grande importanza).
Il pasticcio di Regioni e Enti Locali
Nell'ambito della crisi in atto il già ricordato "caso italiano" ( ormai collocato alla retroguardia in Europa e complessivamente del tutto sistemato "alla periferia dell'Impero") è, ancora aggravato, dal colossale pasticcio degli Enti Locali, Regioni in testa, che hanno accumulato un disavanzo enorme, a causa di sprechi indotti dal sistema (un "federalismo pasticcione", reso possibile da una riforma della legislazione rivelatasi davvero negativa) e dagli sprechi "soggettivi" di un sistema che ha visto le Regioni trasformarsi, grazie a fattori politici decisivi quali quelli dell'elezione diretta dei Presidenti e la creazione di veri e propri "centri di potere" loro legati, in luogo dei partiti di provenienza (partiti, sia ben chiaro sempre più lontani dall'esprimere una capacità di intervento sul piano della cultura politica e dell'espressione di coerenti politiche pubbliche), in soggetti di "spesa" e di "nomina", in luogo delle prerogative di legislazione dettate dalla Carta Costituzionale ( a questo dato si aggiunga l'elemento del debito, comune a Regioni, Province, Comuni, gonfiato da fasulle "cartolarizzazioni" e dalla presenza estesa, dei cosiddetti "titoli tossici": fattori che rendono i bilanci degli Enti Locali, nel loro complesso, del tutto inattendibili).
Il rischio di una crisi democratica
In conclusione ci pare di poter affermare come la situazione internazionale e quella italiana siano accomunate da una crisi profonda della democrazia che, in Italia, assume anche l'aspetto del rischio di avanzamento di un regime populistico - personalistico che pure si è già affermato con forza: è necessario che la sinistra rifletta su questo, sulla sua identità, sulla sua attuale strutturazione, su quanto e come abbia già ceduto all'avversario introiettando parti del pensiero più profondo, della necessità di stabilire un ampio arco di alleanze per favorire una fuoriuscita da questo stato di cose innervando, contemporaneamente, l'intera cultura politica di una diversa capacità di riflessione e puntando alla crescita dell'Europa politica quale obiettivo di fondo, nell'idea di un riequilibrio di una difficilissima situazione internazionale.
Savona, tra Ottobre 2010 e Agosto 2012
FRANCO ASTENGO
Nessun commento:
Posta un commento