sabato 11 agosto 2012

L'economista Tamir Rakman sulla situazione economica italiana

L'economista Tamir Rakman sulla situazione economica italiana..


pubblicata da Alessandro Silvestri il giorno Sabato 11 agosto 2012 alle ore 15.34 ·
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Forse non molti lo conoscono, ma il preside onorario della facoltà di economia di Chittagong (Bangladesh) Rakman (di recente in Italia ospite della Fondazione per il sostegno del microcredito internazionale) è stato il maestro di un certo Mohammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006.Rakman glissa però sull'argomento anche perché stà tra le altre cose, curando un progetto per la riduzione progressiva dei rifiuti nell'intera penisola indiana, in collaborazione col governo di Mumbai "Se riusciamo a ridurre di un solo chilogrammo procapite al mese, la produzione di rifiuti ed inquinamento, un un area di circa 1 miliardo di persone, capirete che cosa significhi questo per l'intero ecosistema. Negli ultimi 50 anni, abbiamo prodotto più inquinamento di tutta la storia dell'umanità messa assieme, è chiaro che questo, al di là delle crisi economiche cicliche, è invece un problema costante e in continua crescita, che i paesi debbono affrontare su scala globale.L'anziano economista (classe 1929) ci ha concesso una lunga intervista di cui riportiamo per brevità di spazio, soltanto la parte che riguarda l'Italia, di cui il professore bengalese si è dimostrato un osservatore acuto, come forse è raro perfino trovarne alle nostre latitudini, e ce ne vogliano scusare di questo i vari Oscar Giannino...Tralasciamo la parte relativa alle domande, perché senza ogni ombra di dubbio, la meno interessante per il lettore.

[...] L'Italia intorno alla metà degli anni '80 del secolo scorso, è riuscito nell'impresa di superare uno dei colossi imperialistici del '900, ovvero la Gran Bretagna, occupando stabilmente per vari anni, il 5° posto tra i paesi più ricchi del mondo. La rincorsa naturalmente era partita nel quarto di secolo precedente, dove nonostante la sconfitta nella II WW e l'uscita traumatica dal fascismo, lo spirito di rivincita del popolo italiano si affermò in vari campi dello scibile umano e si osservò ad una stagione di grande fermento culturale, imprenditoriale e anche politico. Nessuna sorpresa per parte mia, anzi cito spesso le due fasi storiche dell'Italia nelle lezioni che ancora tengo e nei dibattiti. Quali i motivi di questa costante e fino ad un certo punto, inarrestabile crescita (e questo dimostra che non solo le variabili storiche non consentano una crescita infinita in uno spazio ben definito, ma soprattutto l'oggettività che si evince da questo assunto) del Vs. paese?Innanzitutto la catena dei saperi che in italia in maniera particolare, affonda le sue radici nel mondo greco-romano e si è tramanda fino ad oggi (nell'arte, nella letteratura, nella organizzazione sociale, nella capacità di produrre capolavori e fondamentalmente in ogni settore). Poi nel dopoguerra, lo spirito di rivalsa appunto che è una molla fondamentale per ogni popolo che comporta anche e inderogabilmente la presa di coscienza di sé come entità sociale (basti vedere cosa accade da 20 anni in quell'area che voi occidentali definite CINDIA). Tutto questo a dispetto di ciò che affermava la Tatcher sempre negli '80 e che ha rappresentato uno dei motivi fondamentali del declino anglosassone. Se si trasforma un paese in un mero contenitore d'individui, se ne uccide lo spirito corale che è il solo che può fare la differenza. Ma ritornando ai fondamentali dell'Italia, si possono elencare una serie di motivi che ne determinarono il successo. La capacità del mondo imprenditoriale di fare impresa e di trasmettere il valore di quell'impresa fino all'ultimo arrivato tra i propri lavoratori; Il costo del lavoro stesso che era accessibile, garantendo un ottimo potere d'acquisto al lavoratore e al contempo rendendo competitiva la produzione italiana nel mercato interno e nell'export; La grande qualità dei prodotti italiani, che ancora oggi in molti settori rappresentano l'eccellenza assoluta; La bassa conflittualità tra i settori della società (nonostante la fine anticipata del '900 databile tra il 1967 e il 1970, ne abbia determinata una nuova di tipo anche generazionale); La costruzione infine di uno Stato fondamentalmente ad impianto keynesiano e socialdemocratico, nel quale l'economia di tipo misto (dove gli assets fondamentali erano comunque in mano pubblica) determinava, assieme alla estrema libertà e fantasia d'impresa di dimensioni medio-piccole, quel quid vincente che consentì all'Italia di divenire il primo dei paesi mondiali tra quelli non nucleari.

[...] Tra i grandi protagonisti di quel successo, voglio ricordare coloro che più mi hanno impressionato: le figure di Enrico Mattei, di Adriano Olivetti e di Enzo Ferrari tra gl'imprenditori; di Ignazio Silone, Federico Fellini e Luciano Pavarotti tra quelle della cultura; Renzo Piano, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia nelle scenze; di Giulio Andreotti, Aldo Moro e di Bettino Craxi tra i politici. La sostanzialmente instabile stabilità politica italiana, uno dei talloni d'achille apparenti del Vs. paese, aveva visto però sempre al potere i soliti partiti dal II dopoguerra. Questo aveva determinato comunque (nonostante i ritardi connaurati a quel sistema) che in mano ai governi (e quindi agli italiani, trattandosi di un sistema repubblicano) ci fossero gli strumenti fondamentali per garantire la competitività economica e quindi una discreta redistribuzione della ricchezza, che è sempre utile a salvaguardare i sistemi democratici... L'energia, le infrastrutture, i trasporti, le banche pubbliche, le telecomunicazioni, l'industria pesante...Un altro fattore che determina la qualità della vita di un paese è il debito pubblico. Il debito in sé non è il diavolo, anzi sappiamo con certezza, che un certo livello di debito aumenta la capacità di competere. Ma se questo rimane sotto controllo e non finisce invece come oggi, per fagocitare le più grandi risorse. L'altro problema risiede nel fatto che non avendo sostanzialmente più in mano l'Italia i principali strumenti che ne hanno determinato il successo, rischia inesorabilmente il declino. Non possedete più nemmeno la banca centrale e avete venduto (a prezzi stracciati) i settori che hanno fatto registrare i più grandi profitti degli ultimi 20 anni! Il vostro stesso debito è oggi in mano alla speculazione internazionale (che per propria natura travalica le regole e gl'interessi nazionali) ragion per cui l'argomento principale dei vs. media ormai da molti mesi è lo SPREAD...che ha determinato anche se non sbaglio, l'ultimo cambio di governo. Vale a dire che la sovranità italiana è ormai affidata non più a delle regole certe e condivise, al diritto, ma ad un soggetto tanto presente quanto evanescente chiamato mercato. Come uscirne? Caro lei, sono abituato a fare analisi e m'intendo poco di previsioni, ma mi pare che in prospettiva i paesi che stanno a ovest degli Urali, si debbano convincere di fare squadra, non tanto per questioni etiche o ideali (dalle quali mi tengo intellettualmente alla larga) ma soprattutto pratiche. I principali competitori internazionali hanno dimensioni tali (non solo USA, Cina e India, ma ben presto anche l'area indonesiana, sudamericana, araba e africana potrebbero scoprire una certa vocazione unitaria) che non è pensabile che un solo paese di quelli di dimensione europea (neppure la Germania) potrà competere a lungo senza rischiare il tracollo. Alla base di tutto serve però unità culturale e politica, un'idea di società da condividere, che ancora vedo molto timidamente esplicitata nell'attuale Unione Europea. Mi creda è già una grande sofferenza per me vedere in che stato versa la Grecia, considerato che già a dodici anni, mandavo a memoria intere pagine dell'Odissea omerica che mi hanno aperto le porte in seguito ai grandi pensatori classici, senza i quali non sarei diventato quello che sono. Ecco, bisogna ripartire da un forte legame tra cultura e politica, questo è certo.



Di Gianpietro Viesseux.

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