lunedì 27 agosto 2012

Nerio Nesi: Le banche della crisi

Le banche della crisi
di Nerio Nesi

Si discute molto se e in quale misura il sistema bancario internazionale sia responsabile della tremenda crisi che sta sconvolgendo il mondo, o se, al contrario, sia esso stesso vittima di questa crisi. Si pone in sostanza il problema del rapporto tra economia "monetaria" e economia "reale", al quale - durante la Grande Depressione - John Maynard Keynes dedicò riflessioni ancora attuali.

Sta di fatto che, per ora, l'intervento simultaneo di tre grandi banche centrali - la Banca Centrale Europea, la Banca Centrale Inglese e la Banca Centrale Cinese - non è stato sufficiente a ridare fiducia. Resta ancora la speranza nell'intervento della Banca Centrale più potente del mondo - la Federal Reserve americana. Ma se anch'esso dovesse apparire inutile? Il pensiero corre alla economia reale come base di una politica radicalmente diversa da quella basata sulla finanza.

. Parole sacrosante, di cui feci tesoro quando, molti anni dopo, divenni presidente di quella che era allora la più importante banca italiana.

Le responsabilità delle banche
Ma allora, quali sono le responsabilità delle Banche? Bisogna partire da lontano. Il 16 giugno del 1933, il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, promulgava la legge bancaria nordamericana, che portò il nome di Glass-Steagall Act. Essa decretò la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Tre anni dopo, nel 1936, la legge bancaria italiana stabilì regole pressoché identiche. Quelle regole furono successivamente abolite, sia negli Stati Uniti sia in Italia e le conseguenze sono evidenti.

Negli anni Settanta i governi della destra nordamericana, durante le presidenze Reagan e Bush, modificarono profondamente la concezione stessa del credito, una deregulation finanziaria radicale. Negli anni successivi, gli stessi governi, ma anche quelli di diverso colore, smantellarono la regolamentazione dei prezzi amministrati, ed in particolare quella dei prodotti energetici (gas ed elettricità). Fu in quegli anni che si verificò la più grande truffa nella storia americana contemporanea: il caso "Enron", il gigante texano, che era stato considerato l'emblema di un uovo modello di gestione. Enron, nata nel 1986, fallì il 2 dicembre 2001, trascinando nel disastro decine di migliaia di operai, di tecnici e di piccoli azionisti.

Enron fu l'epilogo di una deriva nata da una disinvolta deregolamentazione, che portò la liberalizzazione totale nel mondo della finanza, sganciandola dall'economia reale. Entrano in questo quadro anche l'involuzione delle società di auditing, la cui etica professionale è stata "distratta" dai conflitti di interessi; il venir meno di un rigoroso controllo esterno degli analisti finanziari, anch'essi distolti dal loro ruolo da interessi divergenti delle investment bank per le quali lavorano; la leggerezza con la quale il mondo accademico e la stampa anche specializzata hanno seguito vicende che contenevano i germi della successiva involuzione.

Nel 2008, si verificò un secondo caso: il fallimento del colosso finanziario “Lehman Brothers”, clamoroso non solo per la sua portata, ma anche perché le autorità nord americane - nonostante la fortissima pressione del mondo finanziario - non intervennero in suo soccorso. Le stesse autorità intervennero - al contrario - per salvare le due grandi agenzie di prestiti immobiliari “Freddie Mac” e “Fannie Mae”. A proposito di quel salvataggio, Mario Monti dichiarò (Sole24Ore del 22 agosto 2008): ed aggiunse

Nel frattempo, la Morgan Chase e la Goldman Sachs pagarono - per evitare una inchiesta su frodi ai propri clienti - multe rispettivamente di 285 e 550 milioni di dollari.
A sua volta, nello stesso periodo, JPMorgan denunciò la perdita di due miliardi di dollari per scommesse temerarie sui famigerati "prodotti derivati". I derivati, appunto, saliti oggi a un volume di 650 mila miliardi di dollari: circa 14 volte - è stato calcolato - la capitalizzazione delle Borse mondiali: cifra gigantesca, che indica, con la prepotenza dei numeri, che, nella gerarchia dei più gravi fattori di instabilità finanziaria, emerge proprio l'incontenibile attrazione delle banche, in particolare quelle americane, verso gli azzardi speculativi più avventati.

Finalmente, siamo nel 2010, il governo degli Stati Uniti decide una riforma globale del sistema finanziario che assume il nome di Wall Street Reform Act. Questa riforma, nelle intenzioni del Presidente Barack Obama, dovrebbe riformare un sistema finanziario evidentemente marcio, instaurare regole di trasparenza sui derivati, impedire alle banche di fare scommesse arrischiate con i soldi dei risparmiatori e con la garanzia dei contribuenti. Purtroppo, in due anni, solo 123 dei 398 regolamenti previsti da quella legge sono entrati in vigore, perché la reazione degli interessi colpiti è stata ed è talmente forte da bloccare - con ogni mezzo - una riforma tenacemente voluta dal Presidente degli Stati Uniti. Il che dimostra che il Parlamento di Washington non ha molto da insegnare a quello di Roma e se questa è la situazione del sistema bancario nordamericano, non meglio si presenta quella europea.

Banche inglesi
Cominciamo dalla City inglese, una volta tempio della finanza mondiale, anche sul piano etico, ora in preda alla deregulation del 1984, voluta dalla Signora Thatcher. E partiamo dallo scandalo della Barclays Bank, seconda banca inglese per ammontare delle attività, con oltre trecento anni di storia, grande protagonista della finanza internazionale, fino a ieri, simbolo della rispettabilità bancaria della City dove vige il motto (la mia parola è il mio impegno). L’affare Libor (cioè la scoperta della contraffazione sistematica della documentazione dei parametri con i quali si stabiliscono i tassi base dei rapporti interbancari) ha mandato in frantumi la credibilità della Banca stessa,, ma ha anche minato la fiducia del mondo verso Londra e verso la amministrazione britannica, evidentemente incapace di esercitare anche i più semplici controlli. In molte parti del mondo lo scandalo ha comportato la necessità di una revisione del modo in cui vengono fissati i tassi interbancari: dalla “Hong Kong Association of Banks”, alle autorità di Singapore, all'associazione bancaria giapponese.

Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea ha dichiarato:

Banche spagnole
E veniamo alla Spagna. Il caso del sistema bancario spagnolo è impressionante, tenendo conto che si tratta di uno dei grandi Paesi d'Europa. Il governo spagnolo ha chiesto 100 miliardi di euro per colmare il deficit patrimoniale dell'intero sistema (Casse di Risparmio e Banche regionali), con esclusione dei due colossi, il Banco di Santander e il Banco di Bilbao. Queste cifre mettono in chiara evidenza la responsabilità dell'intera classe dirigente spagnola: quella politica, quella imprenditoriale e quella finanziaria. Troppi denari prestati a pioggia all'unico vero settore produttivo del Paese, quello delle costruzioni. Il miracolo spagnolo di fine anni 90 e primi anni Duemila era tutto derivante dal mattone, da quella corsa a costruire case, alberghi, infrastrutture, tutto con soldi a prestito.

Lo scoppio della bolla immobiliare ha scoperchiato un gioco pericoloso e fin troppo facile. Quei prestiti con i prezzi a cadere a piombo e la massa di residenze invendute si sono trasformati in perdite per le banche. Gran parte degli analisti ritiene che almeno la metà dei 300 miliardi dati ai costruttori immobiliari diventeranno perdite secche per il settore del credito. A questi 150 miliardi andranno ad aggiungersi con ogni probabilità circa 90 miliardi di sofferenze legate a mutui, credito al consumo e prestiti alle imprese. Cifra approssimata per difetto con la recessione che morde e la disoccupazione alle stelle. Il miracolo spagnolo era in realtà un castello di sabbia tutto costruito sul debito e crollato alle prime avversità.

Banche italiane
E il sistema bancario italiano? Le nostre banche non presentano finora situazioni drammatiche come quelle di altri grandi Paesi. Ma sono accaduti in questi anni, in Italia, alcuni episodi che ne caratterizzano la natura: il caso Ligresti, il caso Banca Popolare di Milano e il caso Monte Paschi di Siena. Il caso Ligresti è una dimostrazione della inefficienza del sistema di controllo delle autorità statali italiane, politiche e monetarie. Nel caso specifico, la Consob e l'Isvap hanno permesso per anni alla famiglia Ligresti di fare esattamente quello che le conveniva. A loro volta, alcune banche hanno concesso alla stessa famiglia crediti di varia natura, molto al di là dei famosi criteri del "buon padre di famiglia". Debbo a questo proposito riconoscere alla dirigenza della Banca Nazionale del Lavoro, di avere avuto, negli anni `80, la capacità professionale e la dignità civile di opporre dei motivati "no" alle domande di credito presentate dal signor Ligresti, che avevano uno sponsor allora potente, Bettino Craxi. Il caso della Banca Popolare di Milano è la prova della estrema difficoltà - per non dire della incapacità - del Sindacato interno di gestire una grande banca.

Il caso del Monte dei Paschi di Siena (la terza - si dice - Banca italiana) è il più complesso, perché in esso si intrecciano, si scontrano, si ricompongono gli interessi di un insieme di potenti organizzazioni, di varia e talvolta oscura natura e di un gruppo di personaggi locali - per nascita e valore - che si alternano in ruoli apparentemente diversi: fondazione - banca - amministrazione cittadina - parlamento - varie. E' molto indicativo il fatto che uno dei suddetti personaggi sia diventato, recentemente, il Presidente della Associazione che comprende tutte le Banche italiane. E' infine singolare il fatto che le autorità politiche e monetarie nazionali non abbiano esitato a correre in soccorso di quella banca: e ciò senza esigere nulla. Ha ragione Massimo Mucchetti quando osserva: chi salva una impresa ha il diritto-dovere di esprimere i nuovi amministratori della medesima. Perché questa regola fondamentale non è stata applicata in questo caso

Conclusioni
La situazione attuale tra origine dalla incapacità o dalla non volontà di governare la finanza globale, e dal comportamento che il sistema del credito ha tenuto, per contagio, quando in Europa si sono cominciati a recepire alcuni dogmi - a mio avviso nefasti - importati dall'America: macinare profitti spostando la attenzione dalla economia delle imprese, dei servizi, dell'artigianato e delle famiglie, alla speculazione finanziaria. L'errore clamoroso degli americani fu la decisione di liberalizzare senza controlli. , era lo slogan. Che funziona finché l'economia va bene, ovvero in condizioni di normalità. Mentre è ormai dimostrato che in periodi di forte stress - soprattutto se indotto da una folle speculazione - il mercato non è assolutamente capace di autoregolarsi.

Proprio quel mercato senza controlli, irrorato di liquidità abbondante, a tassi via via calanti, ha portato agli eccessi che oggi purtroppo conosciamo. grandi operatori hanno esaltato l'utilizzo della leva finanziaria, costruito e commercializzato prodotti strutturati poco comprensibili e poco trasparenti: strumenti finanziari con alti rendimenti perché connessi a un rischio artificiosamente reso non percepibile per gli acquirenti. Hanno puntato tutto sulla finanza, sugli swap, sulle cartolarizzazioni. Analisti finanziari e investitori hanno enfatizzato la necessità di obiettivi di rendimento elevati, ed hanno spinto le imprese finanziarie ad accelerare la produzione di ricchezza nel breve. Le grandi banche d'affari si sono indebitate fino al 30,40 persino 50 volte il patrimonio. Finanza facile e senza controllo, cui si è aggiunta l'esplosione della domanda di mutui, favorita dalla crescita delle quotazioni immobiliari. Si è incentivato l'acquisto della casa anche da parte di persone con basso reddito e con scarsa capacità di rimborso. Sono stati abbassati gli standard per la concessione del credito ed è così cominciata la stagione dei mutui subprime.

Che fare?
Nel fascicolo The World in 2008 edito alla fine del 2007, The Economist dedicava un articolo intitolato: Ritorno ai fondamentali, con il significativo sottotitolo E' il tempo che il sistema bancario impari di nuovo a fare il proprio mestiere. . L'appello della più autorevole pubblicazione economica del mondo è finora rimasto inascoltato. Le banche di tutti i Paesi hanno continuato a indirizzare le proprie gestioni aziendali sul versante della finanza piuttosto che su quello della economia reale, più sull'immediatezza dei risultati che sulla durata degli investimenti, più sull'espansione dei bisogni che sulla valorizzazione e la tutela del risparmio, più sulla internazionalizzazione degli affari che sulle esigenze del proprio radicamento, più sull'accorpamento tra banche che non sulla loro crescita, più sull'esaltazione delle specializzazioni professionali esterne che sul valore intrinseco del proprio personale interno. La strada da percorrere è la graduale revisione di questa strategia. Carlo Salvatori, uno dei più autorevoli banchieri italiani, ha scritto recentemente: . Non aggiungo nulla a queste previsioni.

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