La sconfitta elettorale
Non servono molte analisi: la sconfitta elettorale è dovuta all’aver perso ogni collegamento con il nostro insediamento elettorale tradizionale. E nei confusi giorni del “non solo… ma anche” va ribadito che la parte che intendiamo rappresentare è identificabile negli strati popolari delle periferie, e nei ceti del lavoro salariato e dipendente operaio e impiegatizio.
L’idea che si sia verificato un generale “spostamento a destra” dell’elettorato italiano è semplicistica, e spesso è avanzata da presunti “dirigenti politici” solo in chiave autoassolutoria.
In verità i ceti popolari e quelli del lavoro dipendente e salariato, nonostante quello che si pensa, sono tuttora privi di rappresentanza politica. Questi ceti chiedono oggi alla politica “soluzioni concrete ai problemi concreti” della vita quotidiana. Ad essi, però, le sinistre hanno risposto con una proposta politica inadeguata, spesso fumosa e poco chiara, evidenziandosi come interlocutore debole e scarsamente presente sul territorio, con una comunicazione insufficiente e spesso “fuori tema”.
Autonomia politica e autonomia organizzativa: cosa resta
Che ci piaccia o meno, l’autonomia politica del partito è stata sacrificata ormai molti anni fa, nel tentativo – peraltro sino a ieri riuscito - di mantenere in vita i gruppi parlamentari, soprattutto evitando una condizione di isolamento sulla scena politica italiana. Di certo se il partito fosse stato in grado di esprimere posizioni autenticamente autonome non ci saremmo ridotti a trattare con Veltroni sino all’ultimo per verificare la possibilità di apparentamento/assorbimento nelle liste del PD, e non saremmo stati costretti – una volta svanita questa possibilità - ad una campagna elettorale “urlata” come quella che abbiamo tentato di fare, presi dalla necessità a spiegare agli Italiani in 30 giorni quelle ragioni per un “voto inutile” che, però, non avevamo saputo evidenziare negli ultimi anni.
Purtroppo oggi risulta compromesso anche il mantenimento dell’autonomia organizzativa – che doveva essere finalizzata a sviluppare un’iniziativa politica autonoma sul territorio. Lo è per la debolezza della struttura organizzativa di partito (un quadro attivo invecchiato anagraficamente, e ridotto ai minimi termini numericamente), per la scomparsa di risorse e visibilità legate all'esistenza dei gruppi parlamentari o alla presenza nelle amministrazioni locali, e per l'ostracismo “senza se e senza ma” dei mezzi di comunicazione di massa nei nostri confronti.
Tuttavia non possiamo dimenticare che l'unico punto di forza che ci è rimasto sta nell'aver mantenuto una presenza organizzata sul territorio, per quanto ai minimi termini.
Ragioni per continuare: costruire a sinistra un grande partito socialista europeo
Il tentativo di recuperare l'autonomia politica e organizzativa ha senso se ritroviamo delle ragioni per continuare ad esistere e ad operare, ma queste ragioni devono essere tutte politiche. In particolare vanno contrastate le scelte attendiste di chi spera in risultati migliori nelle prossime tornate amministrative ed europee, per rimettere il partito nel gioco politico. Scelte puramente tattiche possono sembrare utili ai vecchi gruppi dirigenti, soprattutto per verificare se sarà loro possibile “giocare un'altra mano”, ma non aprono nessuna seria prospettiva, e di certo non fanno onore alla nostra storia.
La ragione per continuare ad esistere e ad operare si ritrova solo nella costruzione di un nuovo soggetto politico, che possa dare una rappresentanza politica unitaria alla parte più ampia possibile di quella che fu la sinistra storica italiana. Il nostro compito sarà di portare in dote a questo partito le nostre idee e la nostra cultura politica - come faranno anche altri, con storie e percorsi diversi dal nostro – per fare di questo un grande partito del socialismo europeo.
Possibilità di continuare: unità d’azione a sinistra, subito
Il tentativo di dare alla sinistra italiana una rappresentanza politica unitaria sotto le bandiere del PSE e dell'Internazionale Socialista richiede di compiere un percorso lungo, e certamente complesso. Tuttavia mentre creiamo le condizioni per costruire questo nuovo partito, possiamo impegnarci per dare alla sinistra italiana almeno un'unità d'azione politica.
Unità d’azione chiave politica e organizzativa per ricostruire il rapporto con il nostro elettorato
L'unità d'azione con le altre forze della sinistra storica è l'unica strada percorribile per recuperare un qualche rapporto con il nostro insediamento elettorale tradizionale. In chiave organizzativa, l'unità d'azione somma le residue e limitate energie di cui le nostre rispettive forze, prese singolarmente, dispongono. In chiave politica, però, le moltiplica, perché ci consente di rivolgerci anche a chi non è per nulla interessato a dispute tra le nostre frazioni, esprime una sensibilità "genericamente socialista e progressista", ha ben compreso la debolezza e della scarsa credibilità delle formazioni in cui si divide la sinistra storica, e vuole verificare, innanzitutto, la capacità delle sinistre di ritrovare realismo nella proposta e concretezza nell’azione politica. Il lavoro sul territorio, infatti, dimostra che non sono pochi coloro che potrebbero ritrovare una rappresentanza politica in una sinistra unita e plurale, purché questa sappia operare per dare soluzione concreta ai problemi concreti dell'oggi, evitando di perdere tempo in disquisizioni ideologiche troppo spesso degne dei teologi bizantini. L’unità d’azione ci consentirà di ripartire utilizzando al meglio l’unico punto di forza che ci è rimasto: la presenza diffusa sul territorio, assicurata da quelle sezioni che tanto faticosamente sono riuscite a tenersi in piedi, e alle quali va restituita la prospettiva di un’azione politica efficace.
Superamento delle differenze a sinistra
Tra le forze della sinistra storica vi sono ancora forti ed innegabili differenze nel linguaggio, nel metodo di analisi politica, nella proposta. Tuttavia queste differenze, che avevano le loro motivazioni e ragioni d'essere nel XX secolo, non significano più molto nel XXI secolo. Il più delle volte sono riaffermate soprattutto da chi, incapace di comprendere il mondo di oggi, cerca facile rifugio e rassicurazione nella riproposizione di un "mantra" incentrato sulla riaffermazione della propria identità. Operare quotidianamente, uniti, qui e ora, per “la soluzione concreta dei problemi concreti” ci insegnerà a superare queste differenze.
Critica sociale dura, idee chiare per il governo del Paese
Gli ultimi tempi hanno visto molti discutere sulla differenza tra “sinistra di governo” e “sinistra radicale”. La differenza tra le due sarebbe la differenza tra pragmatismo e scarso realismo, tra gradualismo e massimalismo, tra il tentativo di rappresentare la parte più ampia possibile della società italiana e quello di concentrarsi sulla rappresentanza politica di una parte sola. Le mie personalissima posizioni sono queste:
• Pragmatismo e utopia. Spesso i richiami alla concretezza e al pragmatismo dell’azione politica sono visti da sinistra come segno di debolezza o di acquiescenza rispetto alla situazione esistente. Tuttavia, almeno in linea di principio, non c'è nessuna contraddizione tra l'aspirare ad essere "sinistra di governo" e il mantenere la capacità di esprimere una critica sociale anche durissima. Purtroppo in Italia la sinistra di governo ha perso la capacità di fare critica sociale, mentre la sinistra radicale non ha forse mai avuto la capacità di muoversi nel concreto. Entrambe le parti hanno bisogno di rivedere le loro posizioni.
• Gradualismo e massimalismo. La storia ha dimostrato che solo un’azione indirizzata alla “soluzione concreta dei problemi concreti” - per quanto spesso derisa come “mera gestione dell’esistente” - promuove un autentico cambiamento. L’azione di governo deve essere guidata non dalle necessità del momento, ma da un’idea, per quanto sotto traccia, di quello che dovrebbero essere la società e le sue strutture economiche e sociali “in un mondo migliore”. Di sicuro essere sinistra di governo non può ridursi a “tecnocrazia più bandiere rosse” (soprattutto quando le bandiere si stingono sino al punto di diventare bianche).
• Circa la “scelta di parte” non possono esserci dubbi. La sinistra non può rinunciare alla sua ragion d’essere per correre dietro ai pifferai magici del “non solo… ma anche”. Perché il tratto distintivo della sinistra rispetto alla destra è ancora nel diverso atteggiamento e nella non accettazione delle disuguaglianze.
Le ragioni della sinistra nel XXI secolo
Anch'io, come Veltroni, ho preparato un mio personalissimo “album di figurine”. Per quel che può interessare, nel mio album sono: Roberto Mangabeira Unger e Norberto Bobbio, per ritrovare le ragioni della sinistra, oggi; Naomi Klein e il premio Nobel Joseph Stieglitz per una critica serrata alla globalizzazione e per proposte per gestire i fenomeni che ne conseguono (proposte che non sono né quelle dei black block, ma neppure quelle di Tremonti); Paul Krugman e Napoleone Colajanni per la lucida visione sull'economia nel mondo degli odierni "capitalismi"; Al Gore per le intuizioni ambientaliste, ma soprattutto per la dura critica sullo scadimento del dibattito pubblico in Occidente, e per le proposte sui modi per uscire da una situazione che, alla lunga distruggerà la ragion d'essere della democrazia occidentale. Poco o tanto che sia, credo che mi basti per ragionare insieme ad altri sulle ragioni della sinistra, e per cercare un nuovo linguaggio, nuovi metodi di analisi, nuove proposte politiche.
Pier Paolo Pecchiari