martedì 13 maggio 2008

Pescari nella Rete: Vittorio Agnoletto

-------------------------------------------------------------------------QUALCHE RIFLESSIONE SUL DOPO-ELEZIONI.LA NECESSITA' DI UNA RIFLESSIONE APPROFONDITA, CHE NON SI LIMITI A CERCARE SOLUZIONI TATTICHE E POLITICISTE PER L'OGGI.Vittorio AgnolettoCarissimi, è trascorso ormai un mese dalle elezioni. Ho atteso tutto questo tempo prima di condividere con voi alcune riflessioni per almeno due ragioni. Innanzitutto non volevo essere travolto dal dibattito interno ai quattro partiti della Sinistra l'Arcobaleno; ma soprattutto perchè credo che le cause della sconfitta vadano ricercate in ragioni molto più profonde, strutturali e strategiche, che non nei tanti e gravi errori che comunque a sinistra sono stati commessi nell'ultimo periodo.GLI ERRORI DEGLI ULTMI MESI; MA LA CRISI DELLA SINISTRA E' STRATEGICA.Non vi è dubbio che la costruzione di un progetto comune a sinistra sia partito tardi e male, è altrettanto evidente come questo progetto sia stato confiscato dai gruppi dirigenti a proprio uso e consumo senza alcun coinvolgimento di quella sinistra diffusa che rappresenta la principale ricchezza sociale e culturale del nostro Paese. Così avevo scritto con razionale pessimismo, seppure mitigato dall'ottimismo del desiderio, nell'editoriale della mia ultima newsletter qualche settimana prima delle elezioni.Non vi è nemmeno alcun dubbio che Veltroni abbia fatto di tutto per cancellare la Sinistra dalla rappresentanza istituzionale nella sua corsa all'inseguimento del modello bipartitico statunitense. Ma non possiamo certo incolpare Veltroni della nostra sconfitta; lui ha lucidamente perseguito un suo obiettivo,l'unico per altro raggiunto !Vorrei subito dire che anche se avessimo raggiunto per un soffio il 4% la situazione non sarebbe stata molto migliore; anzi forse qualcuno avrebbe utilizzato tale risultato per evitare una necessaria, quanto impietosa, analisi dei nostri limiti strategici.Certo la Storia prosegue e le ragioni dei poveri, delle classi subalterne e in generale le speranze di un mondo migliore per tutte e tutti, restano davanti a noi ad interrogarci, e non vi è dubbio che sono necessarie anche risposte rapide.Non voglio eludere i nodi che abbiamo di fronte; credo che il cammino verso la costruzione di una sinistra unita e plurale vada proseguito, penso che questo percorso non possa procedere attraverso lo scioglimento per editto superiore delle forze oggi esistenti, ritengo che ogni soggettività vada rispettata e che al medesimo tempo ognuno, soggetto singolo o collettivo,debba riconoscere la propria non autosufficienza e la propria parzialità. Sono convinto che il futuro della sinistra passi attraverso il coinvolgimento a pieno titolo di tutte quelle realtà associative e di movimento che in questi anni hanno costruito la cultura e la pratica della sinistra diffusa.Ma tutto questo è ben poca cosa. A Roma Alemanno raccoglie la maggioranza nei quartieri popolari e a Quarto Oggiaro, a Milano, i ragazzi della periferia deridono i loro insegnanti sinistrorsi con i saluti romani e con cori inneggianti a Bossi.Nei luoghi di lavoro nessuno, guardando l'andamento del proprio salario e l'efficienza dei servizi del welfare, si è accorto dell'esistenza di un governo di centrosinistra. Se l'alternarsi di governi di segno politico diverso non modifica la condizione di vita materiale dei settori popolari, allora accade facilmente che il voto si esprima a prescindere dalla propria collocazione lavorativa e sociale. Prevale il richiamo ideologico, la ricerca illusoria di esercitare un qualche potere ("padroni a casa nostra !") e di possedere qualcosa attorno al quale ricostruire un senso di appartenenza ("giù le mani da Malpensa !"... anche se magari molti di coloro che rincorrono questi slogan non saliranno mai su un aereo nel tanto difeso aeroporto milanese).Tante sono le contraddizioni sotto il cielo. E noi sembriamo incapaci di comprenderle. Oggi in crisi è la stessa possibilità di costruire una sinistra nel mondo nord-occidentale che sia in grado di riproporre i propri valori di giustizia e di uguaglianza nell'epoca della globalizzazione liberista.Credo che i nostri valori abbiano ancora un senso, anzi un significato profondo; ma allo stesso tempo penso che i paradigmi con i quali ci rapportiamo alla società odierna siano definitivamente superati. E' necessaria una lunga ricerca e molte, umili, sperimentazioni.TRA DISTRIBUTORI DI SICUREZZA E RAPINATORI DI RISORSELo spazio democratico, cosi' come l'abbiamo conosciuto dopo la rivoluzione francese, espresso dal voto universale, risulta sempre più asfittico: le grandi scelte economiche sono sempre più imposte da organismi che sfuggono al gioco elettorale. Il concetto di cittadinanza che nel 1789 rappresentava il simbolo dell'inclusione,oggi viene usata per definire appartenenze escludenti, per tracciare confini.La globalizzazione liberista, attraverso la finanziarizzazione dell'economia, la sfrenata competizione intercapitalista e il ruolo delle istituzioni globali del mercato (principalmente Banca Mondiale,FMI e WTO) ha ridimensionato costantemente il ruolo della politica e delle istituzioni nazionali. Ne consegue un minor spazio di manovra alle varie forme di compromesso sociale e l'impossibilità di rilanciare una versione aggiornata del welfare che sia compatibile con l'attuale sistema economico-finanziario mondiale. Di conseguenza, il consenso nell'emisfero nord-ovest del pianeta non viene più ricercato attraverso la gestione dello stato sociale, ma attraverso la promessa di una distribuzione di sicurezza e di protezione dalle conseguenze derivanti dall'esasperata ricerca del profitto ad ogni costo, tipica dell'attuale modello di sviluppo. Tra queste conseguenze vi sono i conflitti per la sopravvivenza e per l'accesso alle risorse necessarie per vivere. Ne consegue una ridefinizione del ruolo dello stato in chiave maggiormente autoritaria e prescrittiva. Uno stato disposto a scatenare e/o a partecipare a guerre militari ed economiche con l'obiettivo di procurarsi le risorse energetiche necessarie per garantire ai propri concittadini l'attuale livello di vita, e contemporaneamente pronto a reprimere, ma anche ad usare, le masse dell'emisfero sud che, a loro volta spogliate e derubate, cercano la sopravvivenza nel nostro continente.Alla caccia al petrolio si è aggiunta la corsa al controllo delle altre fonti energetiche dal gas ai biocombustibili; se le riserve petrolifere rischiano di esaurirsi perché mai dovremmo ridiscutere la qualità e la quantità dei nostri consumi ?Possiamo sempre occupare, attraverso le nostre multinazionali, grandi distese di terra in America latina, in Africa e tra breve anche in Asia, per coltivare la palma africana o quant'altro può essere necessario per produrre biocombustibili da esportare verso l'Europa e il nord America. Poco importa che in tal modo venga distrutta un'agricoltura forse povera, ma utile alla sopravvivenza delle popolazioni locali che saranno invece costrette ad acquistare sul mercato internazionale il cibo loro necessario. Con la conseguenza di un aumento vertiginoso della fame, di povertà e quindi di emigrazione. Emigrazione che viene repressa con le armi dagli stessi stati che attraverso le loro multinazionali hanno prodotto povertà ed emigrazione forzata. La rapina delle risorse e la repressione dei migranti non evitano comunque nei nostri Paesi l'impoverimento di vasti settori di popolazione schiacciati dalle regole del mercato selvaggio che giorno dopo giorno distrugge tutte le conquiste collettive.Schematizzando due mi paiono sul piano sociale le conseguenze principali: l'indebolimento di qualunque contrattazione collettiva,di ogni rappresentanza sociale, e la conseguente collocazione individuale di fronte al mercato del lavoro; il rafforzarsi del conflitto esplicito tra ampie fasce di popolazione autoctona e i migranti, in una competizione esasperata e alimentata ad arte in nome della difesa del proprio status sociale.Questa situazione non esclude la possibilità che, dentro politiche liberiste e fortemente punitive verso ¾ del pianeta, forze come la Lega riescano a tutelare settori specifici dei ceti popolari ai quali garantire anche qualche miglioramento economico.GLOBALIZZAZIONE LIBERISTA E UNIVERSALISMO: UNA SFIDA EPOCALEQui emerge tutta la difficoltà di una proposta politica che per essere di sinistra non può che essere antiliberista ed universalista. Infatti, un conto è comprendere i meccanismi dell'economia globale ed essere in grado di illustrarli, ad esempio in una lezione universitaria, tutt'altra cosa è riuscire ad ottenere il consenso di milioni di persone che nel loro quotidiano vivono lo spettro della precarietà e che sono quindi poco inclini ad ascoltare chi gli parla di riduzione e modifica dei consumi.Certo, si può parlare del disastro ambientale che questo sviluppo è destinato a provocare, dell'impossibilità nel futuro prossimo di fermare un'ondata migratoria di milioni di affamati, cosa mai riuscita nell'era umana, ma il rischio di apparire delle Cassandre e quindi di rimanere inascoltati, è molto forte.Resta lo spazio per una lotta finalizzata ad una diversa redistribuzione qui e ora, per un conflitto sociale finalizzato ad un miglioramento concreto delle condizioni di vita dei ceti popolari; conflitto difficile da organizzare nella frantumazione sociale prodotta dalle politiche neoliberiste e con una controparte che in ogni modo cercherà d'incanalare queste richieste verso politiche razziste motivate dalla necessità di difendere casa nostra e la nostra condizione di vita dagli invasori.Non sarebbe il primo caso nella storia di ceti popolari egemonizzati da una cultura demagogica e razzista. Né possiamo aspettare che tutti i guasti del liberismo si siano realizzati per poter vedere riconosciute le nostre ragioni.In questo contesto,l'intervento sulle condizioni materiali di vita dei ceti popolari non può essere separato da una grande battaglia culturale in grado di porre al centro il destino comune dell'umanità: i diritti universali, la difesa del bene comune sono la faccia complementare e inseparabile dello sviluppo del conflitto sociale nei nostri Paesi occidentali. Non c'è altra strada.Al di là della tattica politica, a mio parere, sono queste le ragioni profonde che motivano la necessità di una differenziazione strategica dalla cultura e dall'azione concreta del PD e più in generale dall'internazionale socialista; costoro ritengono il liberismo come l'unico orizzonte oggi possibile: pensano che la contesa sia limitata alla scelta di chi dovrà essere ai posti di comando. Pensano che non sia l'auto da cambiare, ma sia semplicemente necessario sostituire chi sta al volante. Ma il fatto, ad esempio, che alla guida del WTO e del FMI vi siano attualmente due esponenti socialisti non ha provocato alcun cambiamento sostanziale delle regole economiche, né ha reso meno pesante il giogo liberista a miliardi di persone.Anzi la gestione del commissario europeo al commercio estero, il socialista Mandelson, è stata una delle più feroci contro i Paesi africani attraverso l'imposizione degli accordi di libero commercio che hanno ulteriormente piegato l'economia di quel continente.LA DIFFICILE RICERCA DI NUOVE PRATICHE DEMOCRATICHEIn questo contesto, io credo che vi sia quindi l'assoluta necessità di costruire a sinistra una soggettività culturalmente autonoma dal pensiero liberista soft del Pd e del gruppo socialista europeo. In una tale prospettiva le comunità locali e i territori diventano allo stesso tempo spazi resistenti ad imposizioni economico/territoriali provenienti da modelli elaborati in ambiti inaccessibili, e luoghi di sperimentazione democratica fondata sulla solidarietà di comunità, come ad esempio in val Susa.La capacita' di collegare fra loro esperienze simili e di collocare la propria realtà in un contesto universale, costituisce la differenza con le varie forme di autoreferenzialità formate sulla contrapposizione identitaria e sulla chiusura razzista.L'esistenza di reti associative e di movimento da anni impegnate a costruire connessioni rappresenta oggi il miglior antidoto a questo rischio e ripropone il senso di una politica capace di fornire una dimensione universale al presente di ciascuno di noi.In questi scenari, collocati tra il presente ed il futuro prossimo, ogni forma di rappresentanza appare spuria e inadeguata. E quando si prova ad esercitarla ne emergono immediatamente tutti i limiti.Ma in questa fase di ricerca, lunga e complessa, appare ancora molto lontana la possibilità di trovare una soluzione soddisfacente alle pratiche democratiche nell'epoca della globalizzazione. Nel frattempo sarà opportuno abituarsi ad esercitare pratiche di democrazia diretta, di comunità e di rappresentanza intrecciate fra loro e consapevoli dei limiti di ciascuna. Perché la difesa dei bisogni dei più deboli e di noi tutte/i non può aspettare un domani che verrà, ma richiede di essere in campo oggi. Oppure qualcuno continuerà ad offrire con successo soluzioni facili e pericolose.

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