Chi di noi prova a guardarli in volto? Hanno lineamenti forti, occhi molto scuri, capelli nero notte; oppure la pelle ambrata, gli occhi nocciola,una sfumatura bionda nei capelli. Somigliano ad alcune foto che vengono dall’Afghanistan e fanno pensare a luoghi e realtà arcane e lontane.
Sono diversi. Sono forse “il più diverso” che esista oggi nelle nostre città.
Se li guardiamo, qualche volta, vediamo che hanno spesso cicatrici sul volto e, le donne soprattutto, gli mancano diversi denti. Si sa, le donne allattano, il figli gli mangiano il calcio.
Sto parlando, è chiaro, dei cittadini rom e sinti che sono tra noi. Ma basta con queste foglie di fico linguistiche, con cui spesso ci mettiamo l’animo in pace pensando di avere assolto ai doveri della multiculturalità: chiamiamoli zingari. Che, quando ero piccola, la mia mamma mi diceva: “pettinati che sembri una zingara” – e lei era una buona cristiana – la dice lunga sulle radici dell’odio e del pregiudizio.
Oggetto di rinnovato odio furibondo, affratellati in questo ai romeni e ai mendicanti – che dire del divieto di mendicare ad Assisi, la città del poverello, di quel Francesco che sputò su agi e benessere per cercare una sua via all’essere fratello tra i fratelli, umano, troppo umano?
A Ponticelli li hanno cacciati con un pogrom degno dei racconti di Babel’ o dei cronachisti medievali. Nell’Europa del medioevo, una pestilenza, una carestia, un’inondazione erano causa scatenante di terribili attacchi alle comunità ebree: per parlare in termini attuali, il terrore di eventi non dominabili, il senso di insicurezza e di disorientamento portavano alla furia verso chi era percepito fuori dalla comunità, dalla “normalità” (tralascio, ovviamente, altri mille motivi socio-economici).
Ronde, roghi e spranghe. Si sa che, quando si civetta con l’idea delle ronde e delle ordinanze espulsive, da destra e da … sinistra(?); quando si legge di “sindaci sceriffi”, quando si parla di “decoro” delle città (concetto fariseo, subdolo, caro al fascismo, tipico di chi, per dire, frequenta le prostitute e poi tuona sul decoro delle nostre città, da esse scempiato) c’è sempre qualcuno pronto a far seguire i fatti alle parole,. È inevitabile. Le parole sono importanti, diceva un grande regista, le parole sono pietre, le campagne di odio, l’alimentazione del pregiudizio, la semina della paura danno frutti avvelenati.
Chi spranga oggi lo zingaro può farlo domani con un altro bersaglio, ci vuole molto per capirlo?
Quanti “diversi” possono essere individuati e colpiti? A chi toccherà, tra un po’?
Possibile che per mesi ci si sia concentrati sui lavavetri gli zingari le ronde di quartiere, quando anneghiamo tra i rifiuti, la gente si ammala di cancro per via di quelli tossici lasciati a cielo aperto, la strage di morti sul lavoro continua, anche da noi, nella civilissima Toscana, anche nella nostra città e nella nostra provincia, i morti per gli incidenti sulle strade sono un’altra strage senza sosta, eccetera eccetera?
Dobbiamo essere grati, in questo deserto politico e culturale, a quegli esponenti del mondo cattolico che non solo agiscono concreta solidarietà ma dicono la loro indignazione ed il loro sconcerto. Lo dico da non credente. Certo non sono le alte gerarchie vaticane, con papa Ratzinger in testa che tace su tutto questo ma non manca occasione per lanciare attacchi puntuali alla laicità, all’autodeterminazione, alla libertà di scelta. Tacere sulle persecuzioni e sui gesti di odio e attaccare la sfera, delicata e sfumata, sulla frontiera ai margini del rapporto tra pubblico e privato, quella in cui stanno le nostre scelte di vita, di opinione, di morale: pare la scelta di questo pontificato.
Corrono trenta anni dall’elezione di Sandro Pertini al Quirinale: abbiamo ascoltato ancora le sue parole, “la libertà non ha senso se non c’è giustizia sociale”. Concetti difficilissimi da declinare oggi, perché, proprio per l’enorme complessità del nostro mondo, ci vuole ascolto, ricerca, studio, fatica, rovello nel confronto con gli altri, rifiuto delle soluzioni comode, inventiva, fantasia e poesia.
Non ce ne facciamo di nulla dei sorrisi, degli ammicchi, delle strette di mano e delle pantomime maschili su darsi e ridarsi la parola, del balletto grazioso governo-opposizione, mentre bruciano i roghi e persone, mentre esseri umani, esseri in carne e ossa fuggono nella notte con masserizie e bambini, inseguiti da una folla inferocita. Dal Medioevo a oggi sono passati secoli di crescita civile e di ricadute nella barbarie, ci sono stati i lumi e il buio. Cosa vogliamo per la nostra epoca, qui e ora?
Paola Meneganti 18.5.2008
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