La sinistra che c’e dopo la vittoria della destra - di Emanuele Macaluso (tratto da ‘Le ragioni del socialismo’, n.56, maggio 2008)
Ieri 7 maggio 2008, 9.19.00 redazione
In Italia c’è ancora una sinistra così come sto¬ricamente si è definita, con le sue anime, fun¬zioni e anche partiti diversi, almeno dal 1892 quando fu fondato il partito socialista? Que¬sto è l’interrogativo che molti si sono posto dopo il voto del 13-14 aprile. E molti autore¬voli commentatori che scrivono in autorevo¬li giornali hanno risposto che l’assenza di un Partito socialista e l’esclusione dell’Arcoba¬leno dal Parlamento segnava la fine della si¬nistra come forza politica presente e attiva nelle istituzioni. Giudizio corroborato dal fatto che Veltroni nel corso della campagna elettorale ha detto e ridetto che il Pd non è un partito di sinistra. La verità è che il Pd non è ancora, se mai lo sarà, un partito ma una federazione politico-elettorale in cui convivono forze di sinistra che si richiamano alla storia del Pci e del Psi e forze cattoliche democratiche che si richiamano alla sinistra democristiana o al catto¬licesimo politico con ve¬nature integraliste. La “teoria” che il Pd sintetiz¬zi le ispirazioni politico-culturali che furono di Moro e Berlinguer è buo¬na per tenere insieme quei militanti che dal Pci al Pds ai Ds al Pd man¬tengono un rapporto di continuità con il gruppo dirigente “berlingueriano” che ha pilotato tutti i transiti. Ed è una “teoria” buona per fare dire a Follini e ad altri che il Pd as-somiglierà sempre più al¬la Dc centrista.Per la verità Moro ha sempre pensato a una Dc che avesse nel suo seno anche i conservatori, alternativa al Pci; e Berlinguer pensava a un Pci ancorato al sistema democratico, dentro le mura del Patto Atlantico, finalmente forza di governo, conservando però una sua identità comunista, non assi¬milabile a quella sovietica ma nettamente se¬parata dalla tradizione socialdemocratica. Nel Pd, quindi, senza disturbare i morti c’è una sinistra ma non si capisce ancora se avrà una sua individualità e ruolo. Cioè si tratta di sapere se la sinistra che è nel Pd ha la volontà politica di identificarsi, di esprimersi nello svolgimento di una lotta politica, senza esa¬sperazioni frazionistiche, volta a dare a que¬sto partito una identità e a collocarlo nel Pse. Si tenga in conto che nel 2009 si svolge¬ranno le elezioni europee e il Pse si presen¬terà con un suo programma che sarà integra¬to da quei singoli partiti nazionali in compe¬tizione nei loro paesi. Cosa farà il Pd? Il pro¬blema non è il nome del partito, ma la sostan¬za politica, cioè si tratta di sapere se il pro¬gramma del Pd è compatibile con quello del Pse (pensiamo ai diritti civi¬li). E se la campagna elettorale in Italia, vedrà la destra berlusconiana integrata nel Ppe mentre a sinistra ci sa¬rebbe un vuoto. Dove siederanno i parlamentari europei del Pd? È chiaro che questo tema non è separabile dal di¬battito che inevitabilmente si aprirà sul risultato eletto¬rale dopo il ballottaggio svoltosi a Roma. Noi ci au¬guriamo che sia un dibattito reale, che inevitabilmente si intreccerà con quello che si è aperto nel Par¬tito socialista e nella sinistra Arcobaleno. Non basta dire, come fa Veltroni, che il Pd in Parlamento deve tenere conto delle istanze di un pezzo di sinistra assente dalle aule par¬lamentari. In questa fascia della sinistra c’è, come è stato detto, chi vuole rifondare Rifon¬dazione comunista e chi cerca strade diverse che incrocino quelle del socialismo europeo. Le forze che nel pd si richiamano al socialismo possono ignorare questo travagliio?Alfredo Reichlin sull’Unità scrive che il risultato elettorale ha dato al Pd consensi ta¬li da farne un grande partito nazionale, in grado di assolvere un ruolo decisivo. E ha os¬servato che «il problema strategico del rifor¬mismo italiano è come ridefinire il profilo e la statualità con cui il Paese va nel mondo». L’ottimismo non manca a Reichlin che escla-ma:«Finalmente abbiamo un soggetto politi¬co post-novecento in grado di prendere que¬sto problema nelle sue mani».Insomma il miracolo è fatto, anche se nel corso di una sconfitta elettorale.È curioso però che il teorico del Pd che non c’è abbia dedicato tante parole alle nuove sfide della globalizzazione, al ruolo della politica e dello Stato in questo nuovo contesto, senza un solo accenno all’Europa e al fatto che le sinistre europee tutte siano chiamate a cimentarsi con questi temi. Vo¬glio dire che proprio queste “novità” di cui parla Reichlin suggeriscono una più intensa unità della sinistra europea e quindi un impegno nel Pse af¬finchè possa assolvere a un ruolo più incisivo. Lo stesso si dica per l’Internazionale socia¬lista. Ricordiamoci il rapporto di Willy Brand sul “terzo mon¬do” e l’impegno dei socialisti europei in una fase della deco¬lonizzazione.Oggi nel mondo tra crisi fi¬nanziarie e alimentari si è aper¬ta una nuova fase in cui la parte più debole ed esposta nei paesi a capitalismo avanzato e soprattutto nel terzo mondo è penalizzata. Separarsi dalle forze organizzate che in Eu¬ropa e nel mondo si pongono questi temi è delittuoso.Del resto sono queste oggi le nuove ra-gioni del socialismo anche perchè in Europa e nel mondo si è aperta una nuova ed acuta questione sociale. E con Salvemini pensiamo che essa può essere ancora una volta coniugando liberalismo, democrazia e socialismo.
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