David Bidussa
Via Almirante non porta da nessuna parte
in “il Secolo XIX”, 28 maggio 2008, p. 23
L’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha proposto di intitolare una strada o una piazza a Giorgio Almirante, (fondatore del del Movimento sociale italiano di cui fu segretario dal 1946 al 1950 e dal 1969 al 1987) in occasione dell’approssimarsi del ventennale della sua morte. Pensando di apparire troppo di parte ha anche avanzato l’idea di un pacchetto di denominazioni in cui rientrano in molti (Craxi, Enrico Berlinguer, Amintore Fanfani,…). Ognuno rivendicherà i suoi. E’ una logica che funziona? Secondo me no.
La titolazione delle strade risponde di solito a tre criteri: la denominazione di concetti o luoghi che indicano l’identità nazionale; ricordare il senso di alcune figure nazionali e locali che segnano la storia collettiva; segnare la storia dell’uso di un luogo o di un concetto Questo terzo criterio apparentemente quello meno diffuso, è anche quello di maggior senso.
Risponde per esempio, al primo criterio la diffusione che ha lo spazio dedicato a Roma nella onomastica delle strade in tutte le città italiane (si distingue, ma anche questa eccezione ha una sua storia, Milano che non ha né una via, né una piazza, espressamente dedicate alla capitale d’Italia). E’ il tema della costruzione del mito nazionale, dell’idea di una storia condivisa e di simboli condivisi
Risponde al secondo criterio l’idea che si possa definire un Pantheon di figure pubbliche – di fama nazionale o locale - su cui si spiega la propria storia, si descrive la storia nazionale, si segnano e si marcano le tappe diverse del farsi di un Paese o di una comunità. E’ un criterio che risponde a una logica in cui il potere pubblico decide di celebrare la storia, gli eventi e i personaggi assumendoli come figure esemplari, per tutti. Perché ritiene che attraverso quelle storie e quelle biografie complessivamente e unanimemente il Paese abbia avuto un avanzamento. E dunque rappresentino un bene pubblico da tutelare o da proporre, perché reietto, sottovalutato o dimenticato.
Risponde al terzo criterio quella titolazione che indica le poste, la piazza del mercato, la via dell’archivio, della zecca o dei casini insomma quella denominazione in cui la pianta delle città attuali cerca di fissare la memoria dei luoghi che furono, spesso esattamente laddove quelle funzioni si svolgevano. E’ un modo per ricordarci che ci furono cose in un luogo e che per esse, o anche grazie ad esse, quella città ha una storia. Sottosta a quella scelta l’idea che l’identità non è il fermarsi del tempo, ma l’intreccio delle sue trasformazioni E’ così anche per quelle vie che ricordano le presenze comunitarie scomparse (“greci” “olandesi”) magari più diffuse nelle città di mare o nei centri commerciali (è uno dei motivi per cui a Londra c’è una via dedicata ai lombardi) che caratterizzano la storia di una città, ma anche ne segnano l’identità.
E’ il principio per cui, al contrario di ciò che comunemente si crede, l’identità non è ciò che rimane invariato nel tempo, ma è – come richiamava il filosofo Wittgenstein – un filo la cui consistenza è data dall’ “intreccio di fibra con fibra e la cui robustezza non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l’una all’altra”.
Questo terzo criterio in epoca di alta conflittualità sui simboli, è forse quello da tenere più caro. E’ anche quello più difficile e forse ci vuole un po’ di fantasia, che superi l’automatismo di pensare che la storia da rivendicare sia il rovescio di quella celebrata in precedenza dai propri avversari politici. Per esempio perché non dedicare una via alla ricerca scientifica che non c’è più (o che al più in Italia fa la parte della Cenerentola) e che una volta c’era? come i Lombardi a Londra, appunto. Possibilmente, a Roma, più centrale di Via Charles Darwin.
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