venerdì 2 ottobre 2009

Michele Salvati: Capitalismo in crisi, Europa a destra

Archivio storico
STATO E MERCATO
Capitalismo in crisi, Europa a destra Ecco perché non è un paradosso

Non trovo paradossale che nei grandi Paesi europei le forze di centrodestra prevalgano in questo momento su quelle di centrosinistra, proprio mentre il capitalismo conosce una delle sue crisi più gravi. È anzi probabile che le vittorie della Cdu e dei liberali nelle imminenti elezioni tedesche e dei conservatori in quelle britanniche, l' anno prossimo, confermeranno questa tendenza. Si tratterebbe di esiti paradossali se il centrosinistra avesse fatto della critica al capitalismo il suo messaggio politico principale. Se avesse battuto e ribattuto su un programma credibile per un ordine post-capitalistico, o quanto meno per un nuovo regime di politica economica, nettamente diverso da quello che è esploso due anni fa. Ma non l' ha fatto e - mi riferisco ovviamente ai grandi partiti, a quelli che seriamente competono per il governo - non lo poteva fare. Alcuni partiti a dire il vero l' hanno tentato, e penso soprattutto all' ambizioso programma di politiche industriali e di rilancio della domanda di Mitterrand e Delors nel 1982, una sorta di statalismo e keynesismo in un Paese solo. Ma gli esiti furono disastrosi e l' inversione di rotta fu rapida e drastica. Non l' ha fatto e non lo poteva fare perché a cavallo del 1980 maturò una svolta epocale nel regime di politica economica cui il mondo è assoggettato dalle decisioni del Paese egemone, gli Stati Uniti: il passaggio dall' assetto internazionale di Bretton Woods e di conseguenza dal regime keynesiano dei trent' anni gloriosi tra il 1950 e il 1980 (no more unemployment, mai più disoccupazione!) ad un regime neoliberale, basato su politiche monetarie severe, libera circolazione dei capitali e deregolazione dei mercati, un regime che è sfociato nella globalizzazione e nello straordinario sviluppo economico mondiale degli anni 90 e dei primi anni 2000 (no more inflation: domata l' inflazione, la crescita e l' occupazione sarebbero poi venute da sé - questa la filosofia dominante - per i Paesi capaci di reggere ala sfida competitiva). Di fronte a questa svolta epocale - voluta da Reagan, attuata da Volcker e prodotta da cause teoriche, ideologiche, socio-economiche e geopolitiche nelle quali non posso entrare ora, se non ricordando la più importante, la crisi e poi il crollo del comunismo sovietico - che cosa potevano fare le sinistre di governo dei principali Paesi occidentali? Anche se il neoliberismo piaceva poco ai governi riformisti europei, ogni singolo Paese non poteva far molto per contrastare il nuovo regime di politica economica internazionale, il vero ostacolo all' attuazione e allo sviluppo di un programma socialdemocratico, come la precoce esperienza francese aveva dimostrato. Avrebbero potuto fare molto di più - i Paesi dell' Unione Europea - se fossero riusciti a creare in Europa una unità politica dotata della stessa coesione degli Stati Uniti, con uno stretto coordinamento tra politiche fiscali e monetarie: si sarebbe così formata un' area che avrebbe meglio saputo resistere agli orientamenti di politica economica provenienti dall' America. Ma questo non fu possibile, e ogni forza di sinistra riformistica si adattò alla situazione secondo il contesto politico-sociale del Paese in cui operava: più liberale e di «terza via» nel Regno Unito, più statalista in Francia, più corporativa in Germania (per l' Italia faccio fatica a vedere un modello coerente). Si adattò cercando di salvare quanto era possibile, compatibilmente all' imperativo di sostenere la crescita, dei valori solidaristici ed egualitari della sua tradizione e dei vantaggi che il Welfare State aveva procurato ai ceti da lei difesi. È questo «adattamento» degli ultimi vent' anni che ha reso i riformismi europei esposti all' attacco odierno del centrodestra, specie quando è impersonato da leader capaci e opportunisti come Sarkozy, Cameron o il nostro Tremonti. Si badi bene. Adattandosi, il centrosinistra ha ottenuto nel recente passato importanti successi elettorali - si pensi a Tony Blair - anche se, ovviamente, non è riuscito a modificare il regime internazionale di politica economica. Ma, adattandosi, ha anche perso la sua verginità anticapitalistica, antimercatista, ed è stato preso in contropiede. Stato e mercato, in realtà, sono ormai strumenti utilizzabili da entrambi gli schieramenti e se la destra da liberista diventa statalista, com' è avvenuto durante la crisi, questo non sorprende nessuno. E la sinistra ha poco da obiettare, dopo il suo adattamento al regime liberista degli anni scorsi, conclamato nel caso di Blair, ma seguito di fatto in tutti i principali Paesi europei. Si aggiunga che la destra, in una situazione di crisi e di paura, di diffuse preoccupazioni per l' occupazione e di disagi dovuti all' immigrazione, dispone di uno strumento formidabile che la sinistra non può usare: lo strumento anti-illuministico della vecchia tradizione conservatrice, il Dio/Patria/Famiglia (Regione al posto di Patria, nel caso della Lega) da brandire contro tutte le minacce esterne. Dunque, non è per nulla paradossale che la destra prevalga in questa prima fase della crisi. E non è affatto detto che questa prevalenza debba durare a lungo. Ma per capire se e quando ci sarà un' inversione del ciclo elettorale, Paese per Paese, è necessario spacchettare parole generiche e non caratterizzanti come Stato e Mercato, come se la destra fosse sempre e necessariamente a favore di più mercato e la sinistra di più Stato. Problema per problema, occorre trovare combinazioni adeguate dei due strumenti e far capire che non è la loro natura, ma il loro uso che può differenziare le proposte dei due schieramenti. RIPRODUZIONE RISERVATA

Salvati Michele


Pagina 10

Corriere della Sera, 23 settembre 2009

Nessun commento: