dall'avvenire dei lavoratori
Ancora pochi giorni e sapremo come intende presentarsi il PD alle
prossime elezioni europee. Tre sono gli scenari: 1) la proposta di un
patto federativo PD-PSE 2) la sottoscrizione del programma-manifesto
del PSE da parte di (autorevoli) esponenti del PD di provenienza DS e
3) la rottura tra PD e PSE. Se questo per l'Italia è la questione più
rilevante, non dobbiamo dimenticare che anche le formazioni di
sinistra devono chiarire quali rapporti intendano sviluppare con il
socialismo europeo, di cui il PSE è la maggiore espressione. Nelle
varie proposte in campo, compresa quella di SD, il tema è evitato.
Allo stato soltanto una formazione della sinistra è inequivocabilmente
vincolata al PSE: il Partito Socialista. Una presenza del PSE in
Italia dello 0,9% è a prima vista una debolezza del socialismo
europeo, ma ancor di più è una debolezza della sinistra italiana,
tagliata fuori dal maggior campo delle forze progressiste e di
sinistra europee.
La debolezza della sinistra italiana è strutturale, poiché è dal
secondo dopoguerra l'unica sinistra in Europa senza vocazione
maggioritaria. Vocazione maggioritaria significa essere in grado di
conquistare una maggioranza parlamentare sulla base della quale
realizzare un proprio programma e di indicare un proprio esponente
alla guida del governo.
Le ragioni sono molteplici, compresa la divisione dell'Europa al tempo
della Guerra fredda e del confronto USA-URSS, ma sopratutto sono
interne alla sinistra e sostanzialmente derivanti dal fatto che
l'Italia è l'unico paese d'Europa nel quale la divisione tra
socialisti e comunisti ha avuto un peso politico anche dopo il venir
meno delle ragioni ideologiche che la hanno prodotta negli anni venti
del secolo scorso.
Nei paesi dell'Europa occidentale i partiti socialisti sono
chiaramente egemoni a sinistra: una egemonia conquistata grazie al
consenso elettorale in sistemi democratici. In Europa orientale
l'egemonia comunista è stata conquistata con le unificazioni forzate
in Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Germania orientale. Tuttavia
qui la situazione si è modificata con il crollo del sistema sovietico.
Ora, in quei paesi, c'è un partito egemone a sinistra, capace di
giungere al potere in libere elezioni. Questi partiti aderenti in
maggioranza al PSE ed all'Internazionale Socialista sono
sostanzialmente derivati dalla trasformazione dei partiti comunisti
con un apporto minoritario dell'esilio socialdemocratico.
Dunque l'irriducibilità dell'antitesi tra comunismo e socialismo è una
caratteristica solo italiana. Non interessa stabilire di chi sia la
responsabilità, ciascuno ha la sua opinione, ma focalizzare
l'attenzione su punto principale: è superabile? È necessario
superarla? La mia convinzione è che sia possibile, ma soprattutto
necessario, se vogliamo costruire anche in Italia una sinistra a
vocazione maggioritaria. Questo è un compito prioritario per
rispondere alle esigenze che emergono dalla società ed alle sfide
della globalizzazione, aggravate dalla crisi dei mercati finanziari.
La prima base di intesa deve partire dalla risposta alla domanda, se
ci sia tuttora un'attualità del socialismo in questo XXI° secolo.
Parlare di attualità del socialismo significa pensare che una società
diversa da quella esistente sia non solo auspicabile, ma anche
possibile. Significa porsi il problema della costruzione di un ordine
democratico sovranazionale, come nuova dimensione dell'internazionalismo.
E' vero che il movimento operaio ha realizzato le sue maggiori
conquiste democratiche, economiche e sociali nell'ambito dello stato
nazionale, tuttavia dovrebbe essere chiaro che la dimensione dello
stato nazionale è inadeguata ad affrontare i problemi planetari. La
costruzione di una dimensione sovranazionale pone, però, una sfida,
quella di mantenere un ordinamento democratico e non di privilegiare
soluzioni burocratiche e tecnocratiche, soggette alle pressioni dei
gruppi di interesse.
Se questa è la sfida quale è la massa critica per realizzare gli
obiettivi di una società più libera e più giusta? L'unione di tutte le
forze progressiste e di sinistra, quindi, in Europa raccogliersi
nell'ambito del socialismo europeo. Il socialismo europeo è un
concetto più vasto del PSE, cioè di una determinata formazione
organizzativa che, sia detto con chiarezza, è inadeguata. Il PSE non è
un partito sovranazionale o transnazionale, bensì una confederazione
di partiti nazionali, anzi dei gruppi dirigenti dei partiti
socialisti, socialdemocratici o laburisti nazionali. Quando i partiti
del PSE detenevano ben 12 primi ministri su 15 paesi dell'Unione
Europea, nessuno si è accorto che ci fosse una nuova fase in Europa,
anzi è più facile che i partiti socialisti si uniscano quando sono
all'opposizione. Quando sono al potere prevalgono i contingenti
interessi nazional-statuali.
La battaglia per condurre la maggioranza della sinistra italiana
nell'alveo del socialismo europeo è quindi da fare su due fronti:
quello interno alla sinistra per il suo rinnovamento/ aggiornamento e
quello nei confronti del PSE per una sua riforma, il cui primo
tassello è costituito dalla possibilità di aderire individualmente e
direttamente, cioè senza passare dall'iscrizione ad uno dei partiti
nazionali, membri del PSE.
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