sabato 22 novembre 2008

ignazi: il ritorno dello stato

Opinioni di Piero_IgnaziIl ritorno dello Stato
La destra italiana si riconverte allo statalismo abbandonando con un giro di valzer il neoliberismo vantato fino all'altro ieri Giulio TremontiIl sentiero stretto in cui si devono muovere i governi di fronte alla crisi finanziaria globale passa tra due opposti pericoli: quello del business as usual, non è successo niente, anzi 'un bel febbrone aiuta a crescere' e quindi evviva la distruzione creativa del capitalismo; e quello della crisi irreversibile del capitalismo e quindi riportiamo lo Stato nel ponte di comando dell'economia.

Per una volta, in mezzo sta la virtù. L'intervento pubblico non è, in sé, il male assoluto come per decenni hanno sostenuto i fondamentalisti dell''iper-mercato' e i neoconservatori di mezzo mondo, da Ronald Reagan in poi. Dipende da chi lo attua, con quali finalità e quale background culturale-ideologico (comunista o socialdemocratico , populista-autoritario o fascista).

Negli ultimi vent'anni e passa l'ideologia neo-liberista è dilagata in tutta Europa. La socialdemocrazia, per sua debolezza teorica, non è riuscita a far argine e ha ceduto passo dopo passo alle posizioni dell'avversario, spesso ricalcando in maniera grottesca le sue argomentazioni. Con il risultato di perdere l'identità, stretta tra un irrigidimento in difesa della tradizione e un adeguamento supino verso il pensiero della parte avversa.

La conseguenza di questo arretramento è che oggi il 'ritorno dello Stato' in Europa rischia di sfuggire di mano alla sinistra e trasformarsi in una risorsa a disposizione della (nuova) destra. È solo una possibilità che comunque va declinata paese per paese. Se in Gran Bretagna non ci sono dubbi che sia il Labour ad avere il monopolio della politica interventista nell'economia, senza peraltro essere più tacciato come inconcludente dissipatore del denaro pubblico grazie ai governi di Tony Blair - al punto che oggi Gordon Brown può proporsi come un novello Clement Attlee, pronto a difendere sia l'economia che i sottoprivilegiati - in Francia e in Italia sono le destre a guidare la riscossa dello Stato. Che siano i gollisti di Nicolas Sarkozy a farlo Oltralpe non stupisce visto che non fanno altro che riprendere la tradizione statalista del Generale (le prime grandi nazionalizzazioni post belliche portano la sua firma, non quella della sinistra). E sappiamo bene come, per i francesi, il riferimento a L'État abbia un suono particolare.


Ma in Italia è tutto un altro discorso. L'intervento statale, da noi, ha un antecedente culturale di segno diverso. Si ritrova innanzitutto nel fascismo con la teoria corporativa - peraltro rimasta sulla carta - e con la creazione dell'Iri e nazionalizzazioni collaterali. Del resto, l'espansione dello Stato nell'economia era congruente con la visione delineata dall'ideologo del regime, il (purtroppo grande) filosofo Giovanni Gentile, quando sosteneva che lo Stato era tutto e fuori dallo Stato non c'era nulla.

Ora non c'è niente di più normale che la destra italiana si riconverta allo statalismo abbandonando con un disinvolto giro di valzer il neoliberismo vantato fino all'altro ieri e della cui carenza rimproverava burbanzosamente la sinistra. Nulla di più facile questa piroetta della destra, perché nei suoi geni non ci sono mai stati i codici del liberismo economico (e nemmeno del liberismo tout court, peraltro). Il suo liberismo era anarchismo, indifferenza e fastidio per ogni vincolo pubblico, animal spirits della giungla non del mercato, privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione delle perdite. In assenza di un coerente framework teorico da difendere, la crisi finanziaria mette nelle mani della destra una opportunità preziosa e irripetibile: riprendere la via fanfaniana dell'occupazione pubblica dell'economia attraverso aiuti alle industrie, chiusura al mercato internazionale, innalzamento di barriere, difesa dalla contendibilità delle nostre aziende e, ovviamente, corsie preferenziali per gli amici (Alitalia docet), ecc.

Se per la destra questa è una occasione d'oro per conquistare una stabile egemonia, la sinistra può però rispondere dimostrando di saper coniugare con maggior coerenza dell'avversario 'Stato e mercato'. In sostanza, ritrovare le ragioni e la convinzione di essere 'liberal' anche in tempi di ferro come questi. Le risorse intellettuali e politiche non mancano: devono solo avere il coraggio di uscir fuori, senza chiedersi cosa penseranno Massimo o Walter, cosa diranno i media, ecc, ecc. È tempo di grilli parlanti alla Paul Krugman e di leader innovativi.
(L'Espresso, 24 ottobre 2008)

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