Se Sandro Bondi dà lezioni di cultura al partito democratico
Andrea Fabozzi
Manifesto 25.11.08
Ma Palmiro Togliatti - si divide l'elite parlamentare dei berlusconiani - è stato uno stalinista obbediente oppure uno stalinista intelligente? Uno stalinista «creativo» risolve il professore Ernesto Galli della Loggia, ospite d'onore della presentazione del libro L'influenza del comunismo nella storia d'Italia, dando così torto sia a Fabrizio Cicchitto che a Gaetano Quagliariello. Uno stalinista però, insiste Cicchitto, che «applicando la lezione di Gramsci, sottile pensatore totalitario» arrivò lì dove Silvio Berlusconi sarebbe arrivato solo molto dopo (e spendendo molto di più), al controllo «sulle casematte dell'informazione e sui mezzi di comunicazione di massa». Scansando persino, poteva aggiungere, il conflitto di interessi.
Ma al dibattito ieri pomeriggio a Roma c'era anche il ministro della cultura Sandro Bondi e la discussione è salita di tono. Tanto che veniva persino da condividere certe sue affermazioni sulla crisi culturale del Pd. «E' stata operata una cancellazione totale della storia del Pci nella memoria del nuovo partito» ha notato Bondi. Aggiungendo poi che «se non sarà in grado di sbrogliare la sua storia il Pd non uscirà dalla crisi che è innanzitutto culturale». Bondi (comunista in gioventù, è noto) scorrazza facilmente in campo avversario e tanto facile sarebbe rispondergli che anche la cifra culturale del Popolo delle libertà è piuttosto evanescente, ma intanto colpisce nel segno quando descrive il Pd come «un frullato culturale senz'anima dal quale emerge un individualismo libertario alieno alla tradizione comunista». Come pure «un laicismo integrale che non c'entra nulla con la storia dei cattolici democratici» e nemmeno, probabilmente, con quella dei comunisti del Pci. Se Berlusconi, sostiene Quaglieriello, ha vinto perché ha dato voce «a quell'anticomunismo inconfessato che era interdetto dal dibattito pubblico» negli anni il cui il Pci era forte (o magari era forte l'ambizione di far carriera all'università), Nicola Latorre calato dal fragore dei suoi «pizzini» nel vivo del dibattito storico sostiene che l'anticomunismo condiziona al contrario la possibilità di dare una lettura condivisa della storia d'Italia, premessa indispensabile al sospirato spirito bipartisan. L'anticomunismo non da solo, aggiunge il più dalemiano dei dalemiani: anche il giustizialismo.
Delle eredità dell'egemonia comunista Galli della Loggia ne sottolinea soprattutto due, attuali come un fondo del Corriere della Sera. «Il culto della piazza come alternativa alla maggioranza parlamentare» visto che è passato giusto un mese dall'adunata veltroniana. E «il vulnus della legalità». Sostiene cioè il professore che «i provati rapporti di informazione» tra il Pci e l'Unione sovietica, «provati dal ministro dell'interno Scelba» (accidenti!) sono stati ignorati dai governi democristiani «per evitare una guerra civile». E qui spazio a Cicchitto, che ricorda come «il dito sulla grilletto della guerra civile non ce l'aveva Togliatti ma Stalin». «Ci sono le prove» ripete il deputato berlusconiano con la stessa verve che aveva ai tempi dell'indimenticabile commissione Mitrokhin. «Le prove che il mondo culturale italiano pagato dall'Ovra diventò comunista per ripulirsi la biografia». Affari segreti di cui Cicchitto (e ci sono le prove tra le quali una tessera P2) si intende. Le prove di «un'organizzazione militare comunista di massa» e pure «delle ricetrasmittenti di Cossutta e Pecchioli» e persino di «un legame con le Br». Conclusione facile facile: lo stalinismo è diventato giustizialismo «ma noi del centrodestra siamo contenti perché finché il Pd sarà alleato con Di Pietro vinceremo sempre noi». E qui si vede che Latorre è proprio d'accordo, con un sorriso che vale più di un bigliettino.
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