venerdì 14 novembre 2008

vittorio melandri: "rerum cognoscere causas"

Scusate la lunghezza ma il tema mi pare ci tocchi molto da vicino, intendo proprio vicinanza fisica in questo caso.



Sembra che il governo abbia ripresentato alla VII commissione cultura della camera un progetto di legge per imbavagliare l’informazione anche in rete.


I blogger saranno assimilati ad attività di impresa, dovranno iscriversi al registro degli operatori di comunicazione e saranno perseguibili per reati a mezzo stampa. (Ma non è una novità come era apparso chiaro già un anno fa anche se il governo era un altro).



E restando in tema, cosa sappiamo del contratto dei giornalisti scaduto da anni e per il rinnovo del quale sono stati fatti anche diversi scioperi?


E cosa sappiamo delle ragioni che hanno indotto l’Ing. CDB a fare marcia indietro rispetto allo scorporo annunciato dell’editoriale L’espresso dal resto del suo “impero” finanziario, scorporo per il quale si era propedeuticamente dimesso l’AD. ???


E a proposito della rete e della sua libertà...... leggete questa prosa:


“La rete e cosa distribuisce a volte può anche essere una trappola e diventare una tonnara …….. sindacale…..”



Parole di persone ben informate sui fatti…… giornalisti, visto che sono parole tratte dal comunicato del Dipartimento Comunicazione Formazione e Servizi sindacali della FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA ITALIANA, comunicato inerente Il CONTRATTO DEL PATTO GENERAZIONALE



La situazione al 31-10-08 Il contratto, che include e non esclude


È del 01/11/08 poi questa notizia di agenzia:


“Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'Editoria, Paolo Bonaiuti, e il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio, Mauro Masi, hanno ricevuto a Palazzo Chigi il segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi

Al centro del colloquio l'attuale situazione dell'industria editoriale e la crisi dell'occupazione nel mondo del gornalismo. Nel corso dell'incontro e' stata avanzata l'ipotesi di una giornata nazionale da dedicare agli Stati Generali dell'Editoria e del giornalismo. (ANSA)”



Insomma intanto che noi “chiacchieriamo” sopra la nostra testa passa di tutto e di più e quelli che ci dovrebbero INFORMARE predispongono ...... tonnare in cui noi abbiamo una parte precisa....quella dei tonni.


E visto che la sto facendo lunga, riporto di seguito un mio scritto che risale ad un anno or sono.



Appena riverniciato in una sua parte per ragioni di evidenza.



-20 Ottobre 2007- Il diritto alla trasparenza per “rerum cognoscere causas”



“Trasparente” è solo un aggettivo, l’effetto “trasparenza” che ne deriva, è un effetto di per sé neutro, nel senso che non può certo essere usato per qualificare di per sé quel che è positivo o benevolo, e distinguerlo da quel che è negativo o malevolo.

Ma questo aggettivo/effetto, applicato all’uso del potere esercitato in un sistema che si vuole essere democratico, coincide con un “assoluto”, con un prerequisito che precede tutto: se di “trasparenza” c’è n’è poca, o peggio, se la “trasparenza” è continuamente “colorata”, non importa se di rosso come l’acqua di Fontana di Trevi, di nero, come le stampelle da regalare a Rita Levi Montalcini, o di qualsiasi altro colore, come le pagine dei quotidiani e non più solo quelle patinate dei settimanali, vuol dire che il sistema è “poco democratico”.


E questo “poco democratico”, suona come quella ragazza “molto incinta” che furoreggia in queste ore al cinema.

O si è o non si è.


La “trasparenza” richiede una manutenzione continua, anche il palazzo “più di vetro”, lasciato alla mercè del tempo che passa, diventa opaco sua sponte, figuriamoci un sistema che dalla “trasparenza” si senta inibito, sia quando esercita le sue virtù e tanto più, quando soggiace ai suoi difetti.


I primi operatori addetti alla “manutenzione” della “trasparenza” di un sistema-comunità, con tutti i suoi innumerevoli annessi e connessi, sono gli operatori dell’informazione.


Informazione quotidiana e periodica, di cronaca e di opinione, di divulgazione e di approfondimento, e pure quella “popolare” e di gossip.


Informazione veicolata un tempo con i mezzi di Johann Gänsfleisch alias Johann Gutenberg, poi quelli di János Lajos Margittai Neumann, alias John von Neumann e da ultimo perfezionati con quelli di William Henry Gates III, alias Bill Gates.

La tecnica dovrebbe importare poco, e invece accade che gli operatori dell’informazione, proprio da quando i caratteri a stampa ne hanno affermato il ruolo, sono fra quelli più esposti al ricatto del potere, che “chiede” loro di farsi più sudditi dei sudditi e di produrre al posto di informazione, ovvero manutenzione della trasparenza, disinformazione, ovvero distruzione della trasparenza.


Esemplare in questo torno di tempo italico, la vicenda del rinnovo del contratto dei giornalisti, soggetto ad un tira e molla che dura ormai da anni, e propedeutico al fatto che presto, un giornale come “la Repubblica” alla cui confezione contribuiscono oggi 400 addetti, sarà realizzata da non più di 80 persone, come ho sentito vaticinare pubblicamente da un addetto ai lavori qualificato, per trent’anni dentro la macchina Repubblica, e da poco in pensione.


Davvero possiamo credere che la questione sia solo da intendersi in termini economicistici?, di costo del lavoro non più variabile indipendente, abiurata persino dal reo confesso Luciano Lama?, davvero è in gioco solo l’accaparramento degli introiti pubblicitari da parte di una branchia dell’informazione, quella televisiva, a danno di quella stampata? oppure è ben altra la posta in palio?


È sotto i nostri occhi ancorché distratti, che per quanto grande sia la posta pubblicitaria, questa dimensione impallidisce al confronto della dimensione di quell’altra posta, che è il mitico PIL di un paese come l’Italia, al cui controllo si dedicano sempre più, operatori nascosti alla conoscenza del “corpo laico elettorale”, e che non sono affatto “grandi vecchi”, come ci si affretta da ogni parte ad escludere, ma che sono sempre giovani e sempre quelli, operatori afflitti da una vera e propria sindrome, la sindrome della trasparenza.



Personalmente non esito a ritenere che la vera partita che si continua a ri-giocare sia proprio quella che vede contrapposti da un lato gli afflitti dalla sindrome della trasparenza, malattia contagiosa quante altre mai, fra gli establishments di ogni tipo, ed “il corpo laico elettorale” composto per sua natura da cittadini, che della trasparenza hanno bisogno come dell’aria che respirano.


Giovedì 14 novembre 1991, si presentava nelle edicole un nuovo quotidiano, L’INDIPENDENTE.


Nell’editoriale di presentazione si leggeva:


“L’indipendente appare in un momento di profondi mutamenti: su scala internazionale, per la fine della cosiddetta guerra fredda e per il crollo dei regimi comunisti nell’Europa orientale; su scala italiana, per le sfide e le tensioni alle quali il sistema politico e istituzionale, l’economia e l’intera società sono sottoposti.

Su questa scena L’indipendente si presenta dichiarando il proprio metodo e i propri principi. Il metodo, riassunto nella citazione virgiliana che abbiamo assunto quale motto («rerum cognoscere causas»), è quello della ricerca empirica e critica, in spirito di libertà e indipendenza e senza pregiudizi. I principi guida sono quelli di una società aperta, liberale, ad economia di mercato, nella quale i singoli, in quanto individui, in quanto cittadini, in quanto elettori, in quanto lavoratori, in quanto risparmiatori, in quanto imprenditori possano contare su regole del gioco chiare.”

L’editoriale non era firmato e per prassi, si deve considerare quindi della mano del direttore, in quel caso anche fondatore del giornale, che era Ricardo Franco Levi, che alla direzione, fu sostituito il 14 febbraio 1992, giusto tre (3) mesi dopo, da Vittorio Feltri.


A distanza di quasi 16 anni, lo stesso Ricardo Franco Levi, nella sua veste attuale di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sostiene oggi il disegno di legge 3 agosto 2007 approvato nella riunione del Consiglio dei Ministri n. 69 del 12 ottobre 2007 e che recita nel titolo:


“Nuova disciplina dell’editoria e delega al Governo per l’emanazione di un testo unico sul riordino della legislazione nel settore editoriale”.


Levi, investito dalle polemiche di chi ritiene a rischio i margini di “libertà”, soprattutto quelli che ancora si godono su Internet, precisa che intenzione dell’esecutivo “è promuovere la riforma del settore dell’editoria, a sostegno del quale lo Stato spende somme importanti”, per “tutelare e promuovere il pluralismo dell'informazione”. Nessuna intenzione “di censurare il libero dibattito” ma quella di “creare le condizioni di un mercato libero, aperto e organizzato”.


E il prioritario “rerum cognoscere causas”, che fine ha fatto?


Forse è sepolto sotto le somme importanti che lo Stato spende a sostegno di una editoria che nell’ultimo quarto di secolo, ha guadagnato all’Italia “nella classifica mondiale sulla libertà di stampa…il quarantesimo posto, dietro Paesi come l’Ecuador, il Cile e la Corea del Sud”, come ricorda ancora oggi su la Repubblica Giovanni Valentini.
Ma per il “bene prezioso, di cui si avverte la necessità quando manca” quella libertà di stampa indispensabile per la manutenzione continua della trasparenza, “può essere anche troppo tardi” come conclude amaramente lo stesso Valentini, su una Repubblica che ahinoi, in ogni senso, più “doppia” di così non potrebbe essere.



Vittorio Melandri

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