domenica 16 novembre 2008

vittorio melandri: nulla è risparmiato

Si continua a parlare a sproposito di Eluana Englaro (cui almeno questo è risparmiato), ma non si risparmia nulla a suo padre e a sua madre; e se il padre viene fatto oggetto di oltraggio per le sue parole, alla madre non si risparmia nemmeno l’esercizio della vigliaccheria più vigliacca, e senza il minimo pudore si fa arbitrariamente parlare il suo silenzio.



A quanti se ne riempiono (a mio parere oscenamente) la bocca, vorrei almeno ricordare come, in latino o in italiano non importa, si chiude la celebrazione della Messa cattolica: andate in pace.



Lasciamo andare in pace Eluana suo padre e sua madre, quindi, e parliamo di noi, anziché di loro.



A me, di noi, questo che leggo e sento in queste ore, suggerisce la riflessione che propongo.



La “cosa” è vecchia quanto l’homo sapiens sapiens, e forse ancora più vecchia; la “cosa” cui mi riferisco è la “ferocia”. Una “cosa” insita nella specie homo, che in particolare in una sua ultima versione (o release, per dirla in un itagl(i)ese ormai praticato dal colto e dall’inclita) risulta tanto virulenta da doversi camuffare all’aspetto in modi quanto mai ingannevoli, addirittura, non di rado, agghindata con un “manto di mitezza” spesso color porpora e con in testa un copricapo che una volta in uso agli antichi romani, in specie campagnoli e cacciatori, ma anche guerrieri, oggi possiamo chiamare a ragione dell’evoluzione del lessico, “galero della bontà”.



Emblematica quante altre mai, per render conto di questa mia idea, la storia di Cappuccetto Rosso, in cui manto e copricapo rossi, si uniscono quanto mai funzionali a nascondere appunto, della più dura e pura “ferocia”.



Questa storia prima di esser scritta, si è fortificata passando di bocca in bocca ad alimentare una tradizione orale ed ha attraversato molti tempi e molte regioni di quel vasto continente che da circa 2500 anni, ha visto via via sempre meglio sovrapporsi ai suoi confini naturali, quel suo nome che solo gli Dei potevano inventare: Europa.



La sua versione scritta (che mi rifiuto di chiamare “favola”) che si vuole più antica, ha nome Le Petit Chaperon Rouge, ed apparve sul finire del 1600 nella raccolta “I racconti di Mamma Oca” di Charles Perrault, ed a mio parere va annotato a suo onore che la versione di Perrault è più “onesta” di quella più famosa e successiva (e ahinoi appunto più ingannevolmente nota) dei Fratelli Grimm. Nella versione di Perrault Cappuccetto Rosso viene mangiata dal lupo insieme alla nonna, e la ferocia la vince ancora una volta, proprio come nella vita reale.



Così, nella traduzione di Carlo Lorenzini detto il Collodi, si legge la chiosa di Perrault posta al declinare del suo scritto:



«La storia di Cappuccetto Rosso fa vedere ai giovinetti e alle giovinette, e segnatamente alle giovinette, che non bisogna mai fermarsi a discorrere per la strada con gente che non si conosce: perché dei lupi ce n’è dappertutto e di diversa specie, e i più pericolosi sono appunto quelli che hanno faccia di persone garbate e pieni di complimenti e di belle maniere».



Dal 1958 almeno, accade poi che il linguaggio cinematografico ci offre un altro termine che ci può aiutare a capire cosa accade in queste ore. È di qell’anno infatti il film di Irvin S. Yeaworth Jr. “The Blob”. Come ben sappiamo, da medi utenti televisivi quali tutti siamo, Enrico Ghezzi ed altri autori, dal 1989, hanno adottato “Blob”, e cioè una “creatura informe e gelatinosa”, come metafora del peggio televisivo che si diffonde inarrestabile, divorando ferocemente ogni umanità che incontra sulla sua strada.



La “ferocia” buona e mite, è il “blob” più devastante del nostro tempo; nel film si scopre per caso che il suo nemico mortale è il freddo, temo che la stessa cosa non valga per il “blob-ferocia” di cui parlo; per restare alla metafora, mi convinco ogni giorno di più che un freddo silenzio lascia a questo “blob” tutta la sua forza, occorre un “caldo” diffondersi di parole che si oppongano alla ferocia dilagante, che la smascherino almeno un poco, che mostrino come, sotto il porpora del “manto della mitezza” e il “galero della bontà”, si cela un lupo capace di fare un solo boccone di tutte le “famiglie Englaro” di questo mondo.



Vittorio Melandri

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