caro Giovanni,
seguo sempre con attenzione e rispetto il dibattito in corso tra i corrispondenti del circolo Rosselli di Milano. Ho visto con molto piacere che è stata unanimente respinta l'idea (spero solo frutto di follia) di chiedere una nuova Assemblea Costituente, che sarebbe il miglior modo per regalare definitivamente l'Italia al signor Berlusconi e ai suoi soci.
C'è invece un problema che sta diventando drammatico: il tentativo in atto di privatizzare l'acqua (intento attribuito al signor Tremonti). Che l'acqua - bene supremo dell'umanità - possa essere di propietà di alcuni capitalisti, è un pensiero che farebbe indignare chiunque, ma non, putroppo, un'opinione pubblica addormentata dalla televisione.
Bisogna ribellarsi. E il Circolo Rosselli, che porta un nome glorioso, deve essere l'animatore di questa ribellione.
Consideratemi a vostra disposizione.
Un abbraccio.
Tuo Nerio Nesi
1 commento:
Problemi di carattere familiare insorti all’ultimo minuto mi impediscono di essere a Volpedo.
Mi consola il fatto che la mia assenza non si tradurrà certamente in un impoverimento dei lavori, e prima di allontanarmi dal mio PC, leggendo l’ultima di Giovanni, faccio in tempo su uno dei temi sollevati da Nerio Nesi a produrre una piccole testimonianza.
In un editoriale apparso in prima pagina sul Sole 24 ore mercoledì 13 giugno 2007, dal titolo a mio parere molto condivisibile: “La prima riforma, abolire le rendite”, il professor Giacomo Vaciago (molto ascoltato a sinistra) dichiarava che senza tentennamento alcuno, boccerebbe uno studente che gli rappresentasse l’idea che l’acqua sia “un bene pubblico”, motivando la sua convinzione con l’ovvietà “che quella che bevo io non la beve nessun altro; perciò un prezzo di equilibrio il mercato sa sempre trovarlo. Come per ogni altro bene privato.”
La fiducia del professore nel mercato, è nel suo caso sicuramente sostenuta da scienza e coscienza; nel mio caso, la mia convinta sfiducia, è invece dettata da coscienza non inferiore alla sua, ma di certo da scienza non paragonabile alla sua. Mi tocca quindi correre il rischio di essere bocciato dal professore, non come studente, ma come interlocutore anche solo di giornata, per manifestare la mia idea che un mercato (cito ad esempio) capace di non battere ciglio, dinnanzi al fatto che “un” 2% della popolazione mondiale si pappa il 45% dell’energia disponibile, sia un mercato che tutto di suo è capace di fare, meno che di trovare un equilibrio, qualsiasi equilibrio. Anche la fiducia che tutto si risolva con la “crescita”, fiducia squadernata nello stesso articolo dal professore, non mi vede in sintonia, ma in questo caso, alla mia poca scienza, posso sopperire non solo con la mia coscienza, ma anche appoggiandomi alla scienza non inferiore a quella di Vaciago, di fior di economisti che indicano la strada della “decrescita economica”, come quella che può portare davvero il mondo, fuori dalle secche nelle quali si sta arenando, secche non solo metaforiche, ma proprio anche reali, asciutte, quanto mai prive di acqua.
Acqua ….Quel bene pubblico che, trasformato artatamente in privato, anche dalla dottrina economica più dotta, sarà l’oggetto delle brame e delle guerre future: le guerre di sempre, quelle combattute dai poveracci di tutte le stirpi, ma sempre volute dai ricchi da una parte, contro i poveri dall’altra.
Tornando per finire queste brevi note al bel titolo dato all’articolo del professore, credo che la prima rendita da abolire in questo paese, sia quella di cui ha parlato fra gli altri anche il magistrato Vigna. La rendita che scaturisce dai 200 miliardi di euro all’anno che sono stimati nella disponibilità della criminalità organizzata di questo paese, e che il mercato sa sempre apprezzare con equilibrio, e che magari, servono in parte, pure per privatizzare a prezzo giusto, l’acqua di intere regioni d’Italia.
Sarebbe inutile per me a questo punto aggiungere che l’invito di Nerio Nesi rivolto al Circolo Rosselli, di farsi parte diligente contro la oscena idea di “privatizzare l’acqua”, mi trova per quel che vale il mio pensiero in totale sintonia, ma non bastasse quanto sin qui ricordato, aggiungo che potremmo essere stimolati anche da una competizione virtuosa con Oscar Olivera, nei confronti del quale proporci di non essere da meno.
Alla fine dell’estate 2005, alla manifestazione Carovane che si teneva a Piacenza (poiché era una manifestazione coraggiosa e intelligente è stata soppressa dalla “sinistra locale” al governo), mi è capitato di sentire parlare Oscar Olivera, indigeno boliviano con tratti somatici che farebbero gridare al "rag." (senza insulto ai ragionieri) Pera, all’orrido meticciato.
In quella occasione ci ha spiegato, che la lotta per la difesa del Gas della Bolivia, che loro non chiamano risorsa naturale, ma, "bene comune", e che un "Presidente-venduto" cercava di vendere a delle multinazionali, per pochi centesimi di dollaro al metro cubo, a fronte di un prezzo di mercato di 5 dollari e passa......è stata una lotta vittoriosa.
Ma Olivera è stato anche protagonista della guerra dell’acqua combattuta e per il momento vinta, a Cochabamba.
In quella occasione ci raccontò, che gli “affaristi” avrebbero voluto anche speculare sull’acqua piovana.
Marina Forti su quella vicenda ci ha scritto pure un libro….
“La signora di Narmada Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo” edito da Feltrinelli, Collana: Serie Bianca di cui vi propongo uno stralcio.
Segue anche copia dell’articolo del prof. Vaciago a cui mi sono riferito.
Un caro saluto a tutti, vittorio
1 - Cochabamba ha vinto la guerra dell’acqua (di Marina Forti)
La guerra dell’acqua è scoppiata quando i cittadini di Cochabamba, Bolivia, hanno ricevuto le prime bollette sotto la "nuova" gestione. Era fine dicembre del 1999, ricorda Oscar Olivera, e quelle bollette terribilmente rincarate sono state la scintilla: ne è seguita una battaglia popolare "perché l’acqua resti un bene pubblico essenziale". Olivera, viso serio e un cappelletto da marinaio sempre sulla testa, è uno dei cinque portavoce della Coordinadora de defensa del agua y de la vida (coordinamento di difesa dell’acqua e della vita), l’organismo popolare di Cochabamba che nel 2000 è riuscito in un’impresa rara: costringere il governo della Bolivia a sciogliere un contratto che assegnava il monopolio della gestione idrica a un consorzio dominato da Bechtel Corporation, una tra le maggiori multinazionali dell’acqua.
Cochabamba è una città a 2500 metri d’altezza sulle Ande boliviane, dove l’acqua è scarsa e solo il 55 percento degli ottocentomila abitanti è allacciato all’acquedotto. Un buon 20 percento della popolazione attinge a pozzi propri, in particolare nelle aree agricole del territorio comunale; il quarto restante – le zone più povere, insediamenti informali, le villas cresciute negli ultimi quindici o vent’anni con la gente venuta a cercare lavoro in città – deve comprare l’acqua dai tanques, le autobotti private, pagandola anche il doppio di chi ha l’acqua corrente in casa. Per sfuggire allo strozzinaggio dei tanqueros, negli ultimi anni molti di questi quartieri periferici hanno scavato pozzi e costruito piccoli sistemi idrici gestiti in cooperativa.
Il comune di Cochabamba discuteva ormai da anni di come aumentare l’approvvigionamento d’acqua. Da oltre un decennio era in ballo il progetto per costruire una diga e captare acqua da un certo lago montano, il Misicuni. Il progetto era sostenuto soprattutto dal sindaco di Cochabamba, Manfred Reyes Villa, che la gente di là chiama Bombón ("caramella") perché è di bell’aspetto e dicono che prenda voti a man bassa nell’elettorato femminile (nei caffè di Cochabamba si dice anche che la sigla del suo partito, Nueva Fuerza Republicana, sta per "Nueva Forma de Robar"). Ma il progetto Misicuni richiedeva grandi investimenti, oltre duecentocinquanta milioni di dollari – si tratta di una diga, un tunnel sotterraneo e una nuova sezione di acquedotto – e il governo di La Paz non lo voleva finanziare. Anche la Banca mondiale nel 1997 lo ha bocciato, giudicandolo antieconomico: sosteneva invece un altro progetto, Corani, meno costoso e a quanto pare più efficiente, che sarebbe stato interamente finanziato da investimenti privati. Almeno dal 1996 la Banca mondiale chiedeva al comune di Cochabamba di privatizzare la distribuzione dell’acqua. "Sostenevano che le municipalizzate erano inefficienti, e che bisognava eliminare ogni sovvenzione sulle tariffe," ricorda Olivera. È ben vero che la Semapa, azienda municipale dell’acqua a Cochabamba, era inefficiente e carica di debiti...
Il progetto Misicuni però interessava oltremodo alcuni notabili e imprenditori di Cochabamba, i quali erano anche i sostenitori del sindaco Bombón: così nel 1997 il comune ha cominciato a costruire il tunnel Misicuni, anche se non disponeva dei finanziamenti per completare il progetto. Poi però, su pressione della Banca mondiale e del governo centrale, ha indetto una gara d’appalto per dare in concessione la distribuzione dell’acqua e del sistema fognario della città. Nel settembre 1999 dunque il comune di Cochabamba ha firmato un contratto con l’unico concorrente in gara, il consorzio Aguas del Tunari guidato dalla società International Waters Ltd, controllata da Bechtel Corporation e registrata nelle isole Cayman. Il contratto risentiva della mancanza di concorrenza: il consorzio riceveva per quarant’anni la concessione della captazione, trattamento e distribuzione dell’acqua nel territorio comunale, rilevando sia la rete idrica principale sia i piccoli sistemi agricoli, industriali o comunitari (inclusi i pozzi cooperativi). Il contratto garantiva al consorzio un ritorno minimo del 15 percento annuale sul suo investimento. L’unica cosa che Aguas del Tunari ha dovuto mandar giù è stato il progetto Misicuni, su cui il sindaco Reyes Villa ha puntato i piedi.
"I primi ad allarmarsi sono stati i contadini," ricorda ancora Olivera. La concessione infatti dava ad Aguas del Tunari il monopolio assoluto su ogni fonte d’acqua nella municipalità, così i pozzi privati o vicinali passavano sotto il suo controllo senza risarcimento: anche perché, salvo un periodo transitorio di cinque anni, una nuova legge nazionale sull’acqua – approvata proprio allora in gran fretta dal parlamento – cancellava i diritti d’uso consuetudinario su pozzi e sorgenti. Nelle villas erano arrivati gli addetti della nuova azienda a parlare di contatori e bollette – su pozzi che il governo non aveva neppure aiutato a costruire. Gli abitanti avrebbero pagato anche per l’installazione dei contatori... "Insomma, l’acqua diventava una merce a tutti gli effetti. Qualcuno ha calcolato che nel nuovo regime le tariffe sarebbero aumentate fino al 300 percento, ogni famiglia di Cochabamba avrebbe speso in media un quarto del suo reddito per l’acqua. E poi il Consorzio aveva il diritto di rifarsi delle bollette non pagate pignorando la casa o altre proprietà del consumatore insolvente: le bollette diventano vere e proprie cambiali. Erano arrivati al punto di vietare di costruire invasi per raccogliere l’acqua piovana nelle zone rurali della municipalità."
Alle organizzazioni contadine si è presto affiancato un "comitato di difesa dell’acqua e dell’economia familiare", un gruppo di ambientalisti, alcuni giornalisti, sociologi, accademici, attivisti sociali. Hanno cominciato a informare la cittadinanza sugli effetti della nuova legislazione. La Federación de Trabajadores Fabriles (i sindacati dell’industria manifatturiera) si è unita alla battaglia contro la privatizzazione, e anche l’organizzazione dei cocaleros, coltivatori di foglie di coca, che non sono "narcotrafficanti" ma rivendicano gli usi tradizionali e leciti della loro pianta minacciata dalle campagne di "eradicazione". Poi si sono aggiunte le associazioni di quartiere, le cooperative di gestione dei pozzi, altri sindacati.
L’acqua, dice Oscar Olivera, è stata la goccia che ha fatto traboccare uno scontento pubblico già profondo. "C’era un senso di espropriazione. Negli ultimi quindici anni lo stato ha ceduto poco a poco la gestione delle telecomunicazioni, dell’industria, di tutte le risorse nazionali: e insieme, i nostri diritti. Come sindacato, abbiamo visto l’erosione progressiva di diritti come i congedi di maternità per le lavoratrici, la salute, l’istruzione." Già: la Bolivia è stata uno degli allievi modello del Fondo monetario internazionale e dei suoi "aggiustamenti strutturali", cui si è affidata fin dal 1985. Appena tre anni prima il paese era tornato a un governo civile, dopo una serie di regimi militari (inaugurati da un colpo di stato nel 1964) che avevano lasciato un’economia in rovina, come dopo un saccheggio in cui si era arricchita una piccola élite mentre il paese andava in malora. Nel 1985 l’inflazione toccava il 25.000 percento annuale. Era l’epoca in cui avevano grande influenza presso le élite latinoamericane i Chicago Boys: così viene chiamato il gruppo di economisti usciti dall’Università di Chicago che ha fatto del libero mercato un principio assoluto, sperimentando le proprie teorie nel Cile di Pinochet. In America Latina viene chiamato "neoliberalismo".
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