martedì 25 novembre 2008

paola meneganti: tante parole e il razzismo cresce

dal Tirreno, 25 novembre 2008

TANTE PAROLE E IL RAZZISMO CRESCE






Una recente inchiesta di Cesare Fiumi ha un titolo assolutamente immediato: “Razzismo 2008”. Vi si legge che per l’85% degli italiani non ci deve essere un immigrato in più e che il 51% pensa che abbiano già abbastanza diritti. Ancora: “Confessa, scimmia”: secondo il pm di Parma è quanto hanno gridato i vigili della città, dopo averlo pestato, al 22enne ghanese Emmanuel Bonsu. L’Italia è un Paese ormai consegnato ad una forte arretratezza. Speriamo in modo non irrimediabile. In Francia si svolge un conflitto aperto e palese per una leadership politica, come quello tra “la” Aubry e “la” Royal: da noi, un grande quotidiano che fa riferimento all’area progressista non trova di meglio di un titolo in cui si parla di “dame” in guerra. Sarebbe pensabile qui, come accade negli Usa del ciclone Obama, una Hillary Rodham Clinton a capo della diplomazia del Paese più potente del mondo? Noi abbiamo le marecarfagne (che preferiscono, bontà loro, Boldi a Moretti, per fortuna di Moretti) e le meristar. Ma, spiace dirlo, anche le donne “istituzionali” del centro-sinistra - così come gli uomini, che hanno perso elezioni su elezioni, fallito strategie su strategie, e sono sempre lì - non hanno saputo spostare di un ette il materiale ed il simbolico su queste questioni. Lasciamo perdere poi gli “altri” uomini: il presidente del consiglio Berlusconi insiste sulla misera “battuta” di Obama abbronzato, è nella memoria di tutti il florilegio di dichiarazioni profondamente, irrimediabilmente razziste e machiste dei vari Bossi (”Da noi mai un presidente nero”), Calderoli eccetera. Siamo (nominalmente?) nell’Europa dove Sarkozy ha appena nominato il primo prefetto di colore e Rotterdam, la città che diede i natali al leader anti-immigrati Pym Fortuyn, ha eletto un sindaco marocchino. E noi? Sempre dall’inchiesta di Fiumi: Don Black, ex Ku-Klux-Klan, uno dei capi del suprematismo bianco anti-Obama, in un’intervista rilasciata a Mario Calabresi per Repubblica: “Ci piace il vostro Paese: c’è molta eccitazione sul nostro sito per quello che sta succedendo da voi, siete i primi a reagire e a dimostrare che non vi fate sottomettere dagli immigrati”. “Riporti suo figlio nella giungla”, ha detto una maestra di Milano a una mamma. Gelmini ha pensato alle classi-ponte per i bambini stranieri: è del tutto evidente che un bambino peruviano imparerà l’italiano meglio se starà insieme ad uno ucraino ad uno cinese etc., con i bambini italiani che stanno da un’altra parte. Viva l’integrazione. Invece di preoccuparsi di questa realtà, di questo serbatoio potenzialmente e attualmente esplosivo, invece di riflettere sulle questioni dell’accoglienza, dell’apertura, della convivenza, che non sono semplici da gestire e abbisognano di intelligenza e di lavoro se veramente si vuole sostenere una cultura della vita, c’è chi non trova di meglio che tornare sulla vicenda di Eluana. Invece di rispettare un doloroso silenzio, il silenzio che merita quella famiglia fatta di madre, padre ed una figlia stretti in un dramma immedicabile; invece di rispettare l’unicità della vicenda umana che lì si vive, e che già ha dovuto combattere troppo contro parole e gesti invadenti e violenti (si pensi alla farsa delle bottiglie d’acqua), si vanno ad invocare improbabili radici culturali e posizioni assolutamente ideologiche a giustificazione di un accanimento nutrito di ossessiva attenzione, figlia di talk-show, di processi in tv, di salotti e salottini, in cui si chiacchiera, si grida, si dicono parole vuote, che con la cura, l’amore ed il dolore niente hanno a che fare.Paola Meneganti

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