domenica 2 novembre 2008

il discorso di don bottoni al campo della gloria

DON GIANFRANCO BOTTONI :CAMPO DELLA GLORIA
Milano, Campo della Gloria, 31 ottobre 2008

Uno dei sentimenti più universalmente diffusi in ogni tradizione religiosa e culturale è il ricordo dei morti, l’esigenza di farne memoria. In particolare una società civile non avrebbe volto né identità se non mettesse a fuoco i valori spirituali da essi ereditati e non si interrogasse su che cosa della loro testimonianza trasmette alle generazioni future.
Qui al Campo della Gloria è l’intera città che ricorda e onora coloro che hanno dato la vita o comunque hanno saputo rischiarla per l’ideale di una società libera e giusta, antifascista e democratica. E noi dobbiamo chiederci che cosa abbiamo fatto della loro eredità spirituale e che cosa di essa il nostro tempo consegna alle nuove generazioni.
C’è una parola evangelica che appella la coscienza cristiana a responsabilizzarsi in un giudizio sull’ethos, su mentalità e costume del proprio tempo. Dice il Signore: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”. Ipocrita dunque è la coscienza del cristiano se si sottrae al compito di giudicare questo nostro tempo, di valutare in esso ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Oggi a 60 anni dalla Costituzione della Repubblica italiana, in questo luogo di memoria dei principi e valori fondanti della nostra convivenza, il “tempo” che abbiamo il dovere di giudicare è l’attuale vita civile del paese, per poterci chiedere quale libertà e quale giustizia - in una parola: quale democrazia - consegniamo al futuro dei nostri giovani. Non può essere una valutazione né sociologica né politica quella che attiene a questo momento e che compete alla mia voce. Mi limito pertanto a sollevare alcuni interrogativi generali solo su questioni di costume, riguardo alla vita democratica italiana, nella consapevolezza che le risposte non saranno univoche.
Chiedo: abbiamo saputo custodire la democrazia non solo formale ma anche sostanziale che abbiamo ricevuto dalla Costituzione del ‘48? Si crede ancora nella democrazia come forma rappresentativa della sovranità popolare e nella partecipazione libera e pluralista dei cittadini ai vari processi sociali e politici? Prevale nel paese la volontà, attraverso il dialogo e la collaborazione, di cercare il più possibile insieme come individuare e perseguire il bene comune, il bene pubblico dell’intera società e di ogni persona umana, la cui dignità e i cui diritti sono ugualmente e indistintamente a tutti riconosciuti?
Oppure si demonizzano gli avversari, si discriminano i cittadini, si escludono gli scomodi? Non c’è il rischio che possa affermarsi, nel nostro tempo, la tendenza a privilegiare interessi privati di oligarchie, di lobby, di componenti elitarie, di consorterie che gestiscono il potere attraverso manipolazioni del consenso, con le quali logiche di parte vengono contrabbandate come volontà di maggioranza? Nella gestione pro tempore del potere c’è leale disponibilità all’alternanza democratica o chi lo detiene tenta di vanificarne la possibilità per il futuro?
La qualità di una democrazia non si dovrebbe forse misurare dalla capacità di reciproco ascolto e di dialettica collaborazione tra maggioranza e opposizione nel governo della cosa pubblica? Ma anche dall’intransigente fermezza di una parte nei confronti dell’altra quando fossero in gioco i principi fondamentali e le corrette procedure della democrazia e della giustizia sociale? E in una ricerca democratica del bene comune non dovrebbe toccare alle maggioranze mettere al centro della propria attenzione politica le legittime istanze espresse dalle minoranze?
“Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”… Perché non giudicate tra forme vere e forme false di democrazia, tra l’Italia repubblicana che Resistenza e Liberazione ci consegnarono più di mezzo secolo fa e l’Italia che rischia di regredire nella stima internazionale soprattutto agli occhi di chi non scorda nostre precedenti derive autoritarie?…
Un’ampia parte di popolazione sembra non saper giudicare questo nostro tempo. Perché? Probabilmente perché disorientata da un’informazione troppo spesso provinciale e cortigiana, emotiva e faziosa; perché ingannata dalla moda di concepire la politica come competizione sportiva o concorrenza di mercato e il governo della cosa pubblica come gestione aziendale e padronale; perché forse persino drogata, per così dire, da una comunicazione che trasforma tutto in pubblico spettacolo e che impone come modello chi esibisce la più spregiudicata amoralità del proprio successo e tornaconto individuale.
Non si dà democrazia senza tensione morale. E per la formazione di una laica coscienza democratica non giova assistere ogni giorno all’abile uso della menzogna, alla furbizia di vanificare la parola continuamente detta e smentita, al linguaggio ridotto a veicolo di calunnia o di battuta arguta. Tutto questo rischia di intercettare superficialità, violenza e qualunquismo di quanti – esasperati dalle beghe di palazzo - sono ben contenti di delegare in bianco il loro diritto di partecipazione civile a qualche figura di principe che non mancherà di farsi interprete dei loro disagi e delle loro paure e di trasformarli in voraci appetiti e illusorie sicurezze.
Vorrei sbagliarmi, mi auguro che la realtà non sia così, che comunque possa mutare. Spero che il paese si risvegli dal torpore che sembra avvolgerlo. Da cristiano lo spero fermamente e lascio al giudizio di Dio l’ultima parola. Ma, per onorare in modo non retorico la memoria alla quale ci richiama questo luogo sacro e per accendere la speranza di un’Italia veramente libera e democratica, penso si debba evitare l’omertà dei silenzi accondiscendenti e avere il coraggio di promuovere una responsabile opera di coscientizzazione, che faccia leva sull’onestà intellettuale e la coscienza morale di moltissimi cittadini e operatori politici presenti certamente in ogni schieramento.
Meglio non aver taciuto ed essere poi smentiti dai fatti, piuttosto che essere restati spettatori reticenti e doversi poi pentire di non aver parlato o agito per tempo… Se tutti facciamo la nostra parte, la grande eredità democratica ricevuta da quanti qui onoriamo non sarà dispersa, ma potrà passare alle nuove generazioni.

Gianfranco Bottoni
Responsabile diocesano per le Relazioni ecumeniche e interreligiose

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