sabato 8 novembre 2008

bagnoli: osservazioni sulla crisi della democrazia italiana

dall'avvenire dei lavoratori

Al cavalier poeta
cui manca un verso

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Osservazioni sulla crisi della democrazia italiana

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di PAOLO BAGNOLI *)

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Chi ritenesse che eventuali osservazioni sulla crisi della democrazia italiana fossero esagerate è pregato di andarsi a vedere quanto Silvio Berlusconi ha dichiarato alcuni giorni or sono giustificando il cambio della legge per le elezioni europee; un’operazione che, grazie all’intervento deciso ed autorevole del presidente Napolitano,sembra destinata a rientrare. Sì,grazie all’intervento del presidente Napolitano pur se, all’interno della maggioranza forti erano i mal di pancia di An.
Walter Veltroni stava al gioco interpretando una parte e falsificando il copione: a differenza di coloro che stanno con i frati e zappano l’orto, lui stava con l’orto e zappava i frati! Infatti: attestarsi sulla linea dello sbarramento al 4 e non al 5% altro non era che la solita furbata – invero un po’ di basso livello – cui, se ogni italiano ha difficoltà a rinunciare, figuriamoci chi è investito di una così grande responsabilità ed esposizione mediatica. Ancora una volta, puntuale come un rimorso, è venuta conferma che l’opposizione del partito democratico non è alternativa vera al blocco berlusconiano, quasi due facce di un medesimo irrisolto problema.
Ma torniamo a Berlusconi. Citiamo dal "Corriere della Sera" (mercoledì 29 ottobre,p.13), articolo sul sistema di voto per le prossime europee.Dice il presidente del consiglio:"Voglio che in Europa ci vada gente altamente qualificata e che in tutte le commissioni ci siano professionisti di ciascuna materia. Solo scegliendo noi chi va in lista saremo sicuri di una rappresentanza capace di difendere i nostri interessi." Questo perché con le attuali preferenze "sarebbe eletto chi è più capace di farsi promozione e si tornerebbe al finanziamento della politica, il contrario di una politica limpida e trasparente. Si tornerebbe alla stagione precedente."
Il giornalista domanda che cosa succederebbe se eventuali divisioni nella maggioranza facessero mancare i numeri per approvare la riforma. No,per il presidente non può accadere;infatti,afferma: "Non mi risulta,credo che la maggioranza tenga,ma se così fosse non mi strapperò i capelli." Già,ci viene da dire a caldo: con quanto gli sono costati…! Così parla il presidente del consiglio che,forse non è male ricordarlo,è una figura a rilevanza costituzionale. Ma per Berlusconi Italia o Milan – la squadra di calcio di cui è pure presidente – fan lo stesso. Si esime,chi ha la pazienza di leggerci dal mostrare ilarità, perché il quadro è fuori controllo ed il corto circuito può essere più prossimo di quanto non si creda. Berlusconi "vuole"; è ovvio, ma cosa?
Naturalmente "gente qualificata": oh,che bravo! Ma ragioniamo. Il suo volere è l’imperativo autoritativo di chi concepisce lo spazio pubblico come roba propria, con mentalità non solo aziendalista, ma tipicamente padronale; secondo parametri che coniughino rendita e profitto;lui vuole,perché lui è l’investitore. Questo, tuttavia, lo può fare a Mediaset oppure al Milan, il Paese non è né suo né di nessuno,ma appartiene in eguale misura a lui come a tutti gli altri italiani.Sono osservazioni banali,ma se siamo arrivati a doverle rimettere in campo è perché ci troviamo ad un punto terribile di rottura costituzionale. I principi che non si inverano, infatti, cessano di essere tali e l’Italia,lungo questo parametro di involuzione democratica, è già un pezzo avanti.Passiamo oltre.
Dopo il "volere", la ragione del suo perché:nelle commissioni devono esserci professionisti di ciascuna materia.Spunta prepotente il presidente di club calcistico:non si può far giocare all’ala sinistra un centrale portato ad operare sulla destra,così come un centrocampista guai se finisce tra i pali. Il teorizzare la tecnicità della funzione di rappresentanza politica è una delle caratteristiche che accompagnano la fine del senso democratico; la riduzione dei sistemi politici fondati sulla libertà solo ad una funzione legata alla mera gestione: lui pensa per tutti. E ai vari settori, poi, sovrintendono dei funzionari cui spetta solo attuare quanto viene loro indicato. E’ il classico schema degli stati comunisti ove la politica è diretta dal segretario del partito, il capo del governo è un funzionario più che fidato ed i ministri sono solo tecnici dei vari settori.
Però anche a Berlusconi, come a tutti i poeti, manca un verso. Perchè aspettare le elezioni europee per invocare la necessità di gente qualificata? Il governo sarebbe stata un’occasione unica, ma di gente "qualificata" – nel senso berlusconiano del termine, s’intende – se ne vede poca e quella poca che vi è si qualifica più per l’esercizio della furbizia che per la incontestabile preparazione a ricoprire il ruolo assegnato. Ogni riferimento a Giulio Tremonti ed a Maurizio Sacconi è, credeteci, del tutto causale.
Ma come la mettiamo con Renato Brunetta e Maria Stella Gelmini; già,come la mettiamo!? Al confronto, Roberto Maroni ed Ignazio La Russa – molto felice e realizzato, peraltro, quando, con paramenti militari, lancia lo sguardo acuto e penetrante sulle truppe schierate – sono, oggettivamente, simboli di una politica che assomiglia ben più, rispetto ai loro colleghi – uno tanto squittante, quanto l’altra silente - al suo senso concettuale e fattuale.
Tutto l’annunciato fervore di volontarismo autoritativo e di efficientismo qualificato a livello europeo è svanito,in men che non si dica, dopo l’intervento di Napolitano i cui rilievi hanno indotto la maggioranza a non forzare la mano e rimandare il disegno di legge sulle europee in commissione ove,si capisce, finirà per insabbiarsi definitivamente.
Berlusconi e la sua corte hanno subito detto che a loro sta bene così poiché i problemi non sono loro,ma dell’opposizione. E’ anche difficile rispondere con l’uso della ragione a simili vicende,ma bisogna sforzarsi di farlo,di non stancarsi,di perseverare. Oggi è sempre più evidente come stia via via crescendo un quadro che mette rischio la legalità repubblicana e non può essere certo Di Pietro, con il proprio giacobinismo giustizialista, a porvi rimedio.
E anche qui vorremmo che Veltroni ci spiegasse – la domanda è retorica fino ad un certo punto – che una presenza chiaramente profilata a destra in maniera radicale,si trovi a rappresentare il luogo sinistro dello schieramento parlamentare. Basterebbe solo questo per capire il punto cui siamo arrivati;ma,di sicuro, il cammino prosegue destinato,via via, a caricarsi di altre pesanti e preoccupanti gravità.
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*) Ordinario Dottrine Politiche all'Università di Firenze, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, già senatore della Repubblica nelle fila del PSI

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