SERGIO LARICCIA
La laicità in Italia, oggi
(Tratto da: La laicità delle istituzioni repubblicane italiane, in Democrazia e diritto, XLIV, 2006, n. 2, pp. 89-110 )
2006
SOMMARIO: 1. Inquadramento storico del problema. I fondamenti del pensiero laico. Democrazia e pluralismo come garanzie della laicità – 2. La prospettiva europea. Il patrimonio costituzionale europeo e il principio di laicità. – 3. Il caso italiano: il peso del passato. - 4. Segue: i problemi del presente e del futuro.
1. Per valutare un problema occorre conoscerne la storia: è questo un buon criterio metodologico da adottare per l’analisi di ogni problema e anche per considerare gli aspetti più importanti della questione de La laicità in Italia, oggi: un tema di grande complessità, che è strettamente connesso con molti altri argomenti studiati da varie discipline, da quelle storiche e teologiche a quelle giuridiche, sociologiche, psicologiche ecc.; e che riguarda in particolare la storia delle idee, delle istituzioni, delle costituzioni e del pensiero giuridico e filosofico, il diritto italiano e comparato e il diritto europee.
L’espressione laicità è un’espressione dai mille sensi e significati e non ne esistono definizioni o acquisizioni definitive, se si escludono i consueti riferimenti alla prassi del confronto e alla reciproca preliminare disposizione all’ascolto, al riconoscimento permanente delle differenze e alla finalità inclusiva dell’altro nel duplice contesto dell’eguaglianza e della diversità. Considerando il problema della laicità dal punto di vista degli stati e delle organizzazioni internazionali, un utile contributo al dibattito può provenire da parte di chi si propone di approfondire il significato dei principi di uniformità e di differenziazione1 : é infatti evidente che in applicazione del principio di laicità « armonizzare le diversità, senza distruggere le specificità individuali o comunitarie, diventa [ … ] un obbligo morale oltre che una necessità politica ed amministrativa 2 » .
Non esistono sostanziali differenze tra i due termini laicità e laicismo, nonostante la frequenza con la quale, nella polemica politica, il termine laicista viene usato in senso spregiativo per qualificare (negativamente) chi, con maggiore forza, si propone di ottenere il rispetto delle esigenze di laicità nella società italiana. Se si consulta uno dei più diffusi vocabolari della lingua italiana, quello a cura di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, edito dalla casa editrice Le Monnier di Firenze, può constatarsi che con il termine di laicità si intende l’«estraneità rispetto alle gerarchie ecclesiastiche o alle confessioni religiose» e con quello di laicismo si indica l’«atteggiamento che propugna l’indipendenza e l’autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa, sul piano politico, civile, culturale»; non sussistono in realtà differenze tra le due espressioni e tra le definizioni che se ne danno ed è solo un astratto artificio retorico quello di chi ritiene che tra le due espressioni ricorra una diversità sostanziale, che dovrebbe portare, nelle intenzioni di chi usa tale artificio, a ritenere ammissibile il principio di laicità e meritevole di aspra contestazione chi sostenga il rispetto dell’esigenza laicista.
Il laicismo è nato nel contesto della storia politica dell’Europa occidentale ed ha assunto forme diverse a seconda delle varie configurazioni dei rapporti tra istituzioni statali ed ecclesiastiche; esso ha un diverso significato rispetto al fenomeno, assai importante nella storia e nella valutazione sociologica della società europea, della secolarizzazione3, intesa come processo di diminuita rilevanza della religione nella vita sociale e pertanto la vicenda storica del laicismo può essere analizzata in modo autonomo 4 .
Caratterizzato da un iniziale anticlericalismo, il laicismo si è sviluppato in forme più articolate e alcune sue tesi relative al principio di indipendenza dello stato in materia religiosa sono state assunte dal pensiero religioso contemporaneo. Costituisce un’importante conquista del pensiero laico l’affermazione che, se è certamente necessario che gli stati non interferiscano nelle scelte confessionali dei loro cittadini, è però anche necessario che le chiese non interferiscano nelle scelte (legislative, amministrative e giurisdizionali) degli stati: la laicità degli ordinamenti, la distinzione tra “peccato” e “reato”, tra “norma morale” e norma giuridica, rappresentano la migliore difesa possibile anche per la garanzia delle libertà di religione e verso la religione. Con il termine laicismo si indica l’atteggiamento di coloro che sostengono la necessità di escludere le dottrine religiose, e le istituzioni che se ne fanno interpreti5, dal funzionamento della cosa pubblica in ogni sua articolazione6 .
Nel linguaggio politico contemporaneo, il laicismo si contrappone al confessionalismo, al clericalismo e al fondamentalismo, secondo i quali, con differenze e analogie nell’uso delle tre espressioni, le istituzioni politiche devono essere collegate al rispetto obbligatorio per tutti dei principi religiosi della chiesa dominante. Una forma di dualismo è «la premessa storica allo sviluppo del pensiero laico, che è impossibile immaginare in un contesto politico-religioso improntato al cesaropapismo o dominato dall’identità di Stato e Chiesa»7 . L’avvento dello stato moderno influì profondamente sull’originaria concezione unitaria del potere politico: la nozione stessa di respublica christiana, considerata quale unico punto di riferimento della potestà sovrana, anche se ripartita fra l’impero e la chiesa cattolica, venne meno con il riconoscimento dell’esistenza di una pluralità di stati sovrani e si affermarono il principio della parità degli stati e la regola della loro sovranità: è nel quadro di questa evoluzione che la chiesa cattolica, come è avvenuto per la maggior parte delle altre chiese, pur se tenacemente impegnata nella difesa del suo potere temporale, ha dovuto gradualmente limitare il suo campo d’azione alla sfera dei rapporti spirituali8 .
Il pensiero e l’atteggiamento di quanti si professano laici riconoscono nella separazione tra la sfera pubblica della politica e la sfera privata della vita religiosa una condizione necessaria per la dignità dell’uomo e per il libero esplicarsi di tutte le sue capacità. Il laicismo deve dunque ritenersi un orientamento tendenzialmente individualista e razionalista, con un riferimento tuttavia più ampio e comprensivo rispetto a quello della tematica religiosa, potendosi esso ritenere una concezione della cultura e della vita civile basata sulla tolleranza delle credenze di tutti e sul rifiuto del dogmatismo in ogni settore della vita sociale.
Un elemento essenziale del pensiero laico è stato individuato nel principio della tolleranza, detto anche principio del dialogo, a proposito del quale Guido Calogero, uno dei maggiori studiosi della filosofia del dialogo, così si esprimeva nel 1960: « Si tratta non già di scoprire una religione o una filosofia universale al disopra delle religioni e delle filosofie particolari che si contrappongono nel mondo, e neppure di vagheggiarle tutte allo stesso modo in una loro imbalsamazione da museo, ma bensì di vedere se, e in che misura, nelle singole culture, sia presente quel fondamentale principio della tolleranza, o principio del dialogo, secondo cui il rispetto, e la volontà di comprensione, per le culture e filosofie e religioni altrui, è ancora più importante, ai fini della civile convivenza di tutti, del sincero convincimento della verità delle idee proposte»9 .
Storicamente il principio di tolleranza nasce come reazione alle persecuzioni religiose e prepara gradualmente la separazione della sfera politico-statale dalla sfera religiosa e l’affermazione della libertà di coscienza e della libertà di pensiero. Il principio del dialogo si è venuto sempre più affermando nella filosofia contemporanea e, nelle più diverse situazioni di cultura e di pensiero, vale per qualsiasi coscienza rispettosa di sé e delle altre: vale, o dovrebbe comunque valere, anche per ogni cattolico consapevole che la convivenza civile comporta pure, come è ovvio, esigenze di coesistenza con i non cattolici e i non credenti. È un principio, quello della tolleranza, le cui origini devono farsi risalire all’umanesimo del XVI secolo, che trova la sua massima espressione nel periodo dell’illuminismo del XVIII secolo e che diviene in seguito parte integrante del pensiero liberale10 .
Con riferimento al concetto di laicità non vi sono certezze, considerando che, per l’uomo laico, il dubbio è la condizione naturale dell’uomo che non voglia rinunciare alla ragione; può ritenersi tuttavia che vi sia una forte condivisione nel considerare la ragionevolezza, l’antidogmatismo, la tolleranza e il dialogo come tratti essenziali del pensiero laico, nel precisare che le garanzie della laicità sono soprattutto assicurate dai sistemi politico-giuridici che prevedono la democrazia e il pluralismo e nell’affermare che occorre guardare con diffidenza rispetto alle tesi che si propongono di privilegiare la posizione delle identità collettive rispetto alle identità dei singoli individui11 .
2. La valutazione storica del significato che hanno assunto i termini di laicità e di laicismo nel corso della storia si connette al tema della laicità nel contesto europeo. È nota la vivacità del dibattito riguardante la necessità o meno che nel preambolo della costituzione europea approvata il 19 giugno 2004 figurasse il richiamo – fortemente sostenuto dalla chiesa di Roma e da alcune confessioni evangeliche – alle radici cristiane – secondo alcuni giudaico-cristiane – dell’Europa. La convenzione europea aveva trovato un ragionevole compromesso sull’argomento, limitandosi soltanto a fare riferimento ai valori “culturali, religiosi ed umanistici dell’Europa”: non soltanto vi erano molte ragioni che inducevano a ritenere che la sola inclusione delle radici cristiane avrebbe ingiustamente escluso aspetti altrettanto importanti che meritavano di essere menzionati, determinando così un grave squilibrio nella stessa immagine culturale del continente, ma vi era anche l’esigenza prioritaria di mantenere il principio di laicità, uno dei più apprezzabili aspetti della cultura europea rispetto alle culture che non sono ancora riuscite a separare i precetti divini dalle leggi umane.
L’identità europea si è costituita per stratificazioni successive e su un lungo periodo. Pur non essendo possibile affrontare in questa sede la valutazione delle fasi e dei problemi che hanno caratterizzato la storia del continente europeo nel corso di molti secoli, può dirsi che certamente il cristianesimo ha segnato la storia dell’Europa: nel bene e nel male, occorre dire, pensando ai massacri che, per secoli, guerre e persecuzioni religiose hanno provocato.
Si usa spesso ripetere che «senza il cristianesimo noi non avremmo questa Europa 12» : tuttavia un’importanza essenziale per la formazione della cultura europea deve certamente riconoscersi anche alle concezioni, definite con le espressioni di laicità e di laicismo, consistenti nella tendenza ad escludere l’influenza della religione dalla vita e dalle istituzioni civili e politiche: avviato nel secolo quattordicesimo da parte dei sostenitori dell’indipendenza dell’impero dal papato13 , il laicismo è stato uno dei motivi fondamentali del pensiero moderno: si ritrova nel giusnaturalismo, nell’illuminismo, nel liberalismo dell’800, nel Kulturkampf tedesco14 .
Non rappresenta certo una novità la tendenza a tradurre cultura europea in cultura cristiana: è sufficiente pensare alla fortuna che ha avuto la frase di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci “ cristiani ” con la quale nel 1942, in un breve articolo apparso nel volume XV della Critica, il grande filosofo, pur professandosi laico, avrebbe riconosciuto la fondazione storica della nostra identità 15. Alternativa, rispetto alla tesi della coincidenza tra cultura europea e cultura cristiana, è l’opinione di chi all’opposto definisce cultura europea quella rinascimentale che sbocca nel liberalismo: secondo questa concezione l’uomo colto europeo è l’uomo liberale, tollerante, aperto a tutti i valori, l’uomo del dialogo, che ha convincimenti ma non dogmatismi, che ha una propria fede, non necessariamente religiosa, ma è rispettoso della diversa fede degli altri. «Che trova bello il mondo a condizione che accolga vari orientamenti, non uomini permeati tutti della stessa dottrina. Che respinge non solo l’idea di caste, ma quella di religioni o di culture nazionali, di tradizioni ed in genere di ricchezze spirituali buone per un popolo, non trasmissibili ad altri 16» .
Se l’esperienza storica del passato rende improponibile la previsione che le varie religioni rinuncino a imporre i loro testi come verità assolute, deve trarsi la conclusione che regole comuni per la loro coesistenza vadano ricercate e trovate al loro esterno. È questa una delle funzioni del diritto, soprattutto negli ordinamenti che garantiscono la regola dello stato di diritto, che si fonda sui tre pilastri fondamentali della divisione dei poteri, della supremazia della legge, dei principi di libertà ed uguaglianza17 . Il concetto dello stato di diritto è stato menzionato, nell’ art. I-2 della costituzione europea, come uno dei valori sui quali si fonda l’unione europea e, nel preambolo della costituzione stessa, la prima affermazione è quella che esprime la consapevolezza che gli abitanti dell’Europa «hanno progressivamente sviluppato i valori che sono alla base dell’umanesimo: uguaglianza degli esseri umani, libertà, rispetto della ragione»: si tratta di novità molto importanti se si considera che l’ideale laico comporta l’attuazione concreta dello stato di diritto e quindi il perfezionamento delle nostre democrazie.
Se si tiene presente l’evoluzione multi-culturale e multi-etnica delle società europee contemporanee, nelle quali tende ad accrescersi il rischio delle tendenze disgregative, è necessario ribadire «la necessità di una più attenta realizzazione del principio di certezza del diritto, inteso in senso procedurale e sostanziale, come garanzia dei canoni minimali di regolazione dei modi della coesistenza civile 18» .
Le disposizioni che prevedono l’uguaglianza e le libertà dei cittadini e il rispetto del diritto nel sistema giuridico dell’unione europea consentono di parlare di un patrimonio costituzionale comune il cui rispetto rappresenta la migliore garanzia per assicurare lo stesso principio di laicità: principio che può oggi essere inteso come principio generale degli ordinamenti e si riferisce a un modello di neutralità attiva dello stato laico che « impone a quest’ultimo, non solo in campo religioso, di favorire l’espressione di tutte le possibili istanze (ideologiche, politiche, religiose, culturali), impedendo tuttavia l’affermarsi – non già l’esprimersi – di quelle che, per la loro intrinseca natura, abbiano uno scopo di prevaricazione derivante da un atteggiamento di integralismo esclusivo»19 .
3. A differenza di altre costituzioni, come per esempio quella francese del 1958, che, all’art. 2, afferma esplicitamente il principio di laicità come elemento fondante della repubblica francese, tale principio non è espressamente contemplato nella costituzione italiana del 1948. Nell’introduzione al dibattito svoltosi nel già ricordato convegno di Roma del settembre 2004, Franca Eckert Coen osservava che il «valore della laicità è richiamato espressamente dalla costituzione italiana»: è questa un’affermazione che richiede un’attenta valutazione, considerando che in effetti la costituzione italiana, nell’art. 7, comma 1, prevede il principio dell’indipendenza tra stato e chiesa cattolica, ma occorre essere consapevoli che il richiamo nella costituzione dei patti lateranensi del 1929, con gli elementi di confessionalità che essi contengono, non consente purtroppo di aderire alla tesi della piena laicità dell’ordinamento costituzionale italiano: ed è nota la pesante influenza che per l’evoluzione democratica della società italiana ha rappresentato la decisione, votata dalla della maggioranza dell’assemblea costituente il 25 marzo del 1947, di richiamare nella carta costituzionale dell’Italia democratica quei patti del Laterano, a proposito dei quali si è per lunghi anni parlato di un’ipoteca sul concordato sulla democrazia nel nostro paese.
Il principio di laicità purtroppo non è espressamente contemplato nelle costituzioni europee diverse da quella francese, nella convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali approvata a Roma nel 1950, nella carta dei diritti approvata a Nizza il 15 dicembre del 2000 e nella costituzione europea del 19 giugno 2004: testi costituzionali che non prevedono espressamente il principio di laicità e che tuttavia fanno riferimento a regole e principi dai quali si può dedurre la pratica applicazione del valore della laicità. Il principio di laicità, soprattutto se inteso nella sua accezione originaria come separazione della sfera dello stato da quella propria delle chiese, può dunque essere dedotto dal sistema di democrazia pluralista previsto nella carta costituzionale italiana e in molte delle altre costituzioni europee.
A proposito dei vari significati che può assumere il concetto di laicità, può qui ricordarsi che, con specifico riferimento al caso italiano, con la sentenza n. 203 del 1989, la nostra corte costituzionale ha inteso affermare l’esistenza nel nostro ordinamento della c.d. laicità positiva, quella cioè della «non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale»20 ; la corte costituzionale non ha invece accolto quella concezione della laicità-neutralità, considerata «l'espressione più propria della laicità» da un giurista di accentuata sensibilità democratica come Costantino Mortati21 : una concezione che, al contrario di quella accolta dai nostri giudici costituzionali, comporta l'irrilevanza per lo stato e per le istituzioni repubblicane dei rapporti derivanti dalle convinzioni religiose dei suoi cittadini, nel senso di considerarli fatti privati da affidare esclusivamente alla coscienza dei credenti. Tale concezione della laicità era bene espressa dalla formula del settimo principio fondamentale della costituzione della repubblica romana del 1848, nel quale si stabiliva che l'esercizio dei diritti privati e pubblici dei cittadini non avrebbe dovuto dipendere dalla loro credenza religiosa22. È questa una concezione che, a distanza di tanti anni da allora, tarda ad affermarsi nel nostro paese, come dimostra l'esperienza di quanto, in occasione del voto sulla legge in materia di fecondazione artificiale, è avvenuto in parlamento, dove si è potuto constatare che le esigenze di laicità della società italiana erano maggiormente rispettate negli anni nei quali furono approvate leggi come quella sul divorzio e sull'interruzione della gravidanza. Anche a questo proposito occorre ribadire il diritto dei cittadini a leggi che non impongano comportamenti o divieti ispirati a pur rispettabili principi religiosi ed etici, ma debbano garantire la libertà di tutti nella coesistenza di scelte e principi individuali.
Assai spesso le gerarchie ecclesiastiche in Italia tendono a svuotare del suo contenuto la parola laicità, un obiettivo che risulta chiaro se si valutano molti documenti ecclesiastici che riguardano tale questione: a titolo d’esempio ricordo, tra i molti altri documenti ecclesiastici e pontifici, la nota dottrinale che, nel novembre 2002, la congregazione cattolica per la dottrina della fede ha rivolto ai politici italiani, nella quale si afferma: «Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa»: brano nel quale la chiara affermazione sull’esclusione della sfera morale dall’autonomia rispetto alla sfera civile e politica fa comprendere quali e quanti problemi si pongono sui rapporti tra morale civile e morale religiosa e tra società civile e società religiosa, per ricordare il titolo di un fortunato volume del 1959 di Arturo Carlo Jemolo23 . Il punto di vista delle gerarchie cattoliche, quando parlano di sana laicità, è che separazione della religione dalla politica non significa separazione fra la morale e la politica e che la chiesa cattolica è l’autorità divina, ultima e legittima, che definisce la verità in tema di moralità e che stabilisce ciò che è giusto in politica.
4. Sono trascorsi più di vent’anni da quando in Italia è stata approvata la legge 25 marzo 1985, n. 121, contenente la «Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede».
In numerose occasioni, negli ultimi quarant'anni, ho espresso l'opinione che il concordato e gli accordi di natura concordataria, rispondenti all’esigenza dei regimi autoritari di favorire la concessione di privilegi alle confessioni religiose e di agevolare l’esplicarsi di forti influenze del fattore clericale sulle istituzioni pubbliche e private, non costituiscono più, nell'attuale società italiana, uno strumento idoneo a disciplinare i rapporti tra stato e chiese e che un semplice aggiornamento dei patti lateranensi del 1929 sarebbe risultato inadeguato a soddisfare le esigenze che caratterizzano una società democratica: l'eguaglianza dei cittadini e dei gruppi sociali anche in materia religiosa, l'imparzialità dello stato in tale materia e il principio di laicità, che opera come «fattore primario del modello di democrazia pluralista» del nostro sistema giuridico 24.
Molti dei problemi conseguenti alla confessionalizzazione della società italiana determinati dall’entrata in vigore dei patti lateranensi del 1929 e dalla decisione dell’assemblea costituente di richiamare tali patti nella carta costituzionale del 1948 25 non sono certo venuti meno con l'approvazione del nuovo concordato: è tuttora viva la polemica da parte di chi osserva che il concordato costituisce uno strumento superato e inidoneo a soddisfare le attuali esigenze della società civile.
Negli ultimi decenni si sono verificate le condizioni favorevoli per l’instaurarsi di frequenti e intensi rapporti tra autorità pubbliche e quelli che possono qualificarsi i rappresentanti degli interessi religiosi, intendendo con tale espressione non soltanto le chiese e le confessioni religiose, ma anche altre organizzazioni interconfessionali, intraconfessionali e non confessionali. Sull’affermarsi di questa pratica del confronto e del dialogo ha fortemente influito il proposito di agire nella prospettiva di un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, in ambiti essenziali quali sono quelli dell’educazione e della formazione, della lotta per il superamento delle discriminazioni e dell’emarginazione sociale, della parità dei sessi, della sanità. Queste tendenze e il perseguimento di questi obiettivi pongono problemi di non facile soluzione per chi si proponga di favorire la costruzione di una società e l’organizzazione di istituzioni fondate sul principio di laicità.
Sempre più frequenti sono le pressioni esercitate da organizzazioni religiose sulle politiche pubbliche in Italia. Esempi significativi sono rappresentati dai discorsi delle gerarchie ecclesiastiche sul divorzio e sugli obblighi che deriverebbero per i giudici e gli avvocati nell’esercizio delle loro funzioni; dalle affermazioni della conferenza episcopale italiana, ripetute e sempre più pressanti, tendenti a perseguire l’obiettivo di introdurre o modificare la legislazione e le prassi sul riconoscimento dell'embrione e della persona umana; dall’insistenza con la quale, pur dopo la sottoscrizione della costituzione europea, si richiede la menzione, nel preambolo della costituzione stessa, delle radici cristiane, e/o giudaico-cristiane, che dovrebbero costituire essenziale criterio di riferimento per l’interpretazione delle disposizioni contenute nella costituzione approvata nel 2004.
Nel 1994, concludendo una relazione dedicata ai problemi della laicità in Italia 26 , ricordavo gli ostacoli esistenti nel nostro paese per la laicizzazione della politica e per la costruzione dell’Italia democratica come stato laico e aggiungevo le seguenti parole: «il futuro è di fronte a noi, credenti e non credenti, affidato all’impegno cosciente e responsabile di tutti coloro che perseguono l’obiettivo di un’emancipazione della politica dalla religione e quindi dello stato dalle chiese ed assegnano ad un comportamento politico autonomo dai valori religiosi il compito di creare uno stato moderno, laico, democratico, solidarista e pluralista».
Non mi soffermo qui nel considerare se negli anni trascorsi da allora si siano accentuati in Italia i caratteri di modernità, democrazia, solidarietà e pluralismo; a me pare che vi siano molte ragioni per ritenere che la situazione non sia per niente migliorata e che vi siano anzi sempre maggiori ostacoli per la riaffermazione di in valore importante qual è la laicità dello stato e delle sue istituzioni.
Le preoccupazioni sono particolarmente giustificate in materia scolastica, nella quale da molto tempo è in atto un processo di sistematica distruzione della scuola pubblica, dimostrato da tanti e significativi fatti verificatisi nel periodo più recente: eliminazione dell’aggettivo “pubblica” accanto al sostantivo “istruzione” per la definizione del ministero dell’istruzione, della cultura e dell’università contenuta nel d.lgs. n. 300 del 30 luglio 1999 (è soltanto un fatto nominalistico?); affermazione del concetto che deve ritenersi superata l’idea che i poteri pubblici (res publica, come si legge nel secondo comma dell’art. 3 cost.) debbano farsi carico di un’offerta per tutti; approvazione dalla legge n. 62 del 10 marzo 2000 relativa alla parità scolastica e al diritto allo studio e all’istruzione, una legge a mio avviso incostituzionale, perché contrastante con importanti principi contenuti in tema di scuola, insegnamento e istruzione nell’art. 33 cost.; assunzione a tempo indeterminato nella scuola pubblica dei docenti di religione cattolica (ben 3077 soltanto nel dicembre 2005!); nomina di un cardinale nella commissione incaricata di valutare i problemi relativi alla deontologia dei docenti della scuola pubblica; prassi delle scuole private cattoliche di ogni ordine e grado di licenziare chi si sposi con rito civile o chi realizzi una famiglia di fatto; nuovo sistema di esami di maturità che anche nelle scuole private si propone di limitare a un solo componente la presenza di membri esterni; definirsi di «un quadro complessivo di un governo che privilegia le scuole private e la scuola come servizio ai privati, che indebolisce ulteriormente il profilo laico della scuola di Stato, che vuole una scuola pubblica non come luogo di convivenza e confronto di tutte le idee, ma come campo di affermazione delle proprie idee clericali»27 .
È necessario essere consapevoli che soltanto una scuola veramente laica, che rispetti cioè tutte le fedi senza privilegiarne alcuna, è in grado di operare su un piano di parità e cioè con piena legittimità costituzionale. Il pluralismo religioso e culturale, sulla cui importanza nel sistema costituzionale italiano possono leggersi le sentenze della corte costituzionale 12 aprile 1989, n. 203e 14 gennaio 1991, n. 13, può realizzarsi soltanto se le istituzioni scolastiche rimangono imparziali di fronte al fenomeno religioso: l’imparzialità delle istituzioni scolastiche pubbliche di fronte al fenomeno religioso deve realizzarsi attraverso la mancata esposizione di simboli religiosi piuttosto che attraverso l’affissione di una pluralità di simboli, che – come si osservava giustamente nell’ordinanza emessa nel 2004 dal giudice Montanaro, di Ofena in Abruzzo – non potrebbe in concreto essere tendenzialmente esaustiva e comunque finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo.
L’influenza del fattore clericale sulle politiche pubbliche in Italia continua ad avere un rilievo negativo sull’evoluzione della società democratica ed occorre non sottovalutare l’importanza che assume il problema della laicità nel nostro paese. Non vi è dubbio che i temi più delicati della questione relativa ai rapporti tra stato e chiese potranno trovare una soluzione soddisfacente solo quando le autorità dello stato e delle confessioni religiose avranno acquisito la consapevolezza che nella coscienza sociale sono maturate nuove condizioni, che consentono di considerare il superamento della logica concordataria come il risultato dell'affermazione di una società pluralista, nella quale la garanzia della libertà delle chiese non va ricercata negli accordi di vertice ma nella stessa società.
1.Cfr. E. CARLONI, Lo Stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Torino, Giappichelli, 2004.
2. Cfr. in tal senso F. ECKERT COEN, Introduzione al Convegno Roma XX settembre 1870-2004. Dalla breccia di Porta Pia all’Unione europea, (settembre 2004), cit. dal programma del convegno.
3.Cfr. le giuste osservazioni di C. MAGRIS, Quando scompare il senso religioso. Le chiese si svuotano, le superstizioni incalzano, in Corr. della sera, 12 giugno 2004, pp. 1 e 31.
4.Cfr. in tal senso E. TORTAROLO, Laicismo, in Enc. scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, V, pp. 156-62, spec. p. 157.
5.Sulle varie forme di “organizzazione” degli interessi di natura religiosa e sulla loro “rappresentanza” nell’ordinamento giuridico italiano, può vedersi il mio volume La rappresentanza degli interessi religiosi, Milano, Giuffrè, 1967.
6.E. TORTAROLO, Laicismo, cit., in loc. cit., spec. p. 156.
7. E. TORTAROLO, op. ult, cit,., p. 157.
8.Cfr. A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, il Mulino, 2002, spec. pp. 124-5.
9. G. CALOGERO, Tolleranza e indifferenza, in Quaderno laico, Bari, Laterza, 1967, pp. 72-73, ivi, p. 72.
10. Cfr. M. MANETTI [Tolleranza, in Dizionario costituzionale, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 460], giustamente ricorda che alle origini la tolleranza non aveva un significato propriamente libertario, ma alludeva a una scelta di opportunità, compiuta dal sovrano in nome della pace sociale e che tale scelta si opponeva alla politica di repressioni dei dissenzienti, ma non riconosceva alcune dignità al dissenso o all’eresia e aveva insomma il carattere di una concessione revocabile in ogni momento.
11.M. BOVERO, Mine antilaico. Percorsi fra le trappole della metafisica culturalista, in “laicità”, giugno 2004, n. 2, p. 2.
12.Cfr., tra gli altri, B. LUISELLI, La formazione della cultura europea occidentale, Roma, Herder, 2004, spec. p. 582. 13. Cfr. anche di recente F. PRINZ, Da Costantino a Carlo Magno. La nascita dell’Europa, Roma, Salerno, 2004.
Ricordo tra gli altri Guglielmo di Occam e Marsilio da Padova.
La battaglia condotta negli anni 1871-’79 da Bismark contro la chiesa cattolica e il partito cattolico del centro, consistente nella previsione di rigidi controlli statali sulle istituzioni educative e nelle misure di espulsione di vari ordini religiosi.
14.V. di recente sul tema C. GALLINI, Davvero non possiamo non dirci cristiani?, in “Belfagor”, 59, 2004, n. 4, 31 luglio 2004,, pp. 385-8, spec. pp. 392-5, che, in un saggio di grande interesse, osserva che comunque Croce esplicitava con chiarezza il primato dei valori laici da rivendicarsi quasi come un conquista identitaria (ivi, p. 395).
15. A. C. JEMOLO, Culture europea (26 luglio 1955), in A.C. J., Società civile e società religiosa. 1955-1958, Torino, Einaudi, 1959, pp. 225-28, spec. p. 226.
16.Cfr. R. BIN, Lo stato di diritto, Bologna, il Mulino, 2004.
17. F. RIMOLI, Laicità, in Dizionario costituzionale, a cura di M. Ainis, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 343.
18. F. RIMOLI, Laicità, in Dizionario costituzionale cit., p. 269-70.
19.Cfr. il punto n. 4 del considerato in diritto della sentenza.
20.C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976. Sul pensiero di Mortati può vedersi il mio scritto Il contributo di Costantino Mortati per l'attuazione delle libertà di religione in Italia, in Il pensiero giuridico di 21.Costantino Mortati, a cura di M. GALIZIA e P. GROSSI, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 491-510.
22.Cfr. sul punto S. LARICCIA, La Costituzione della Repubblica romana del 1848, in Giurisprudenza costituzionale, XLIV, 1999, 453-82.C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976.
23. Società civile e società religiosa, cit..
24. F. Rimoli, Laicità, cit., in loc. cit.
25.Cfr. S. Lariccia, Stato e Chiesa in Italia, Brescia, Queriniana, 1981.
26.Laicità e politica nella vicenda dello Stato italiano contemporaneo, in Behemoth, 9, 1994, n. 16, pp. 75-84.
27.Sono le parole di un comunicato del comitato torinese per la laicità della scuola, emesso il 15 novembre 2001 e pubblicato sul n. 4/2001 della rivista trimestrale Laicità, p. 8.