venerdì 3 aprile 2009

Fabio Nicolucci: Israele, una falsa partenza

ISRAELE, UNA FALSA PARTENZA

Il giuramento ieri del trentaduesimo
governo di Israele, il secondo presieduto da Benjamin Netanyahu, è
stato accolto fuori ma anche dentro Israele con grande preoccupazione e
incertezza, come mostra anche un sondaggio di Haaretz che segnala un
54% di delusi. Preoccupazione per i suoi obiettivi programmatici e
insieme incertezza sulle più generali capacità dell'esecutivo. Del
resto Netanyahu ha varato un governo la cui composizione sembra volta
solo a stabilizzare la propria coalizione: il grande numero di
ministri, ben 30, con lo sdoppiamento di alcuni prima accorpati come
quello del Turismo, ora diviso in infrastruttura alberghiera e turisti;
l'affidamento di ministeri a politici del tutto incompetenti o indatti
in materia, però centrali politicamente, come il semisconosciuto
Steinitz alle Finanze e l'estremista Avigdor Lieberman agli Esteri. Ma
anche altri segnali fanno sempre più somigliare il sistema politico
israeliano a quello italiano: per esempio, la presenza di un conflitto
di interessi all'interno del governo, con l'affidamento di un
portafoglio connesso alla pubblica sicurezza ad un esponente di un
partito il cui presidente Lieberman è sotto indagine per corruzione. La
presenza però di una forte e qualificata delegazione laburista, ben
cinque ministri capeggiati da Ehud Barak alla Difesa, autorizza a
definire questo governo come di “destra-sinistra”, in una sorta di
esperimento “milazziano” la cui portata politica va comunque decifrata.
Grande e giusta preoccupazione nelle capitali estere ha suscitato il
discorso programmatico di Netanyahu per l'assenza di qualunque
citazione di uno Stato palestinese. Così come le provocatorie
dichiarazioni sulla “non validità” di Annapolis fatte dal neo ministro
degli Esteri Lieberman. Eppure è proprio la sua composizione milazziana
la cartina di tornasole per capire che cosa sarà il nuovo governo
Netanyahu. Occorrerà vedere la risultante politica dell'amalgama
proposta ieri. Netanyahu ha come missione lo status quo attuale con i
palestinesi, e poi una priorità: l'Iran, con una soluzione anche
unilaterale della sua minaccia nucleare. Egli ha però di fronte una
nuova amministrazione Usa il cui obiettivo è esattamente l'opposto. Ed
un primo ministro che si inimica il presidente Usa è cosa che
l'opinione pubblica israeliana non gradisce. Dunque sarà il confronto
con Obama il vero terreno dove si misurerà il nuovo governo Netanyahu.
Esso però probabilmente non sarà sul dossier palestinese: la loro
debolezza politica – a partire dalla divisione in due del movimento
nazionale – dà forza a chi vuole declassarli da partner in comprimari.
E l'amministrazione Obama non potendosi permettere altri 17 anni di
inutile negoziato è probabile non abbia questa tra le priorità. La sua
agenda è invece dettata dal fallimento della dottrina Bush nella guerra
al terrorismo e negli assetti regionali. La presenza nel governo di
Barak, assai vicino ai Clinton, come ministro della Difesa sembra del
resto aver proprio lo scopo di poter contare nel dossier decisivo,
l'Iran: presiedendo sull' incipiente scontro con l'Iran potenza
nucleare ed essendo in grado di porre il veto su un eventuale atto
militare unilaterale da parte di Israele. Quando il prossimo mese
Netanyahu e Obama si incontreranno si vedrà allora quanto Netanyahu
sarà capace di resistere ad una eventuale proposta di Obama di Nuovo
Medioriente, imperniata sulla lotta agli stati falliti piuttosto che
come Bush sugli stati canaglia. E dunque sarà chiaro anche il ruolo, se
ancillare o politicamente strategico, della delegazione laburista al
governo, ora sospesa come tutti nelle nebbie di un dimesso esordio.

Fabio Nicolucci

(articolo pubblicato su Il Mattino giovedì 2 aprile
2009)

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