Caro direttore
ho letto con molto interesse l'articolo di Ferrante sulla crisi dei
riformisti. L'autore definisce il riformisti del XXI secolo "riformisti per
forza" ma, più che per forza, il gruppo dirigente del centro sinistra
italiano è riformista per obbligo.
Quel 90% di pseudo riformisti italiani si definisce così per due motivi:
il primo: il crollo delle ideologie comuniste alla fine degli anni ottanta,
che li ha lasciati senza partito e senza ideali;
il secondo: il rifiuto di assumere quale riferimento l'unica ideologia
storicamente riformista: il socialismo democratico.
Due errori letali per l'Italia più che per il centro sinistra.
Il vuoto creato li ha portati a guardare con molto interesse alle culture
democrat di Clinton e labur-liberista di Blair quali possibili modelli per il
nostro paese, non rendendosi conto, a causa del provincialismo che ancora
oggi li pervade, che erano culture fortemente connaturate al modello
economico di USA e Gran Bretagna; modello che era venuto a consolidarsi dopo
il 1971 e sull'onda del pensiero dominante neo-liberista di Milton Friedman.
Nella loro beata ignoranza, che tuttora continua perchè perseverano nel
pensare che liberismo e liberalismo siano la stessa cosa, il gruppo dirigente
dei DS prima e dell'Ulivo poi hanno abbracciato con l'entusiasmo dei neofiti
il liberismo, pensando che un metodo economico, la libertà assoluta e senza
regole, potesse essere la base di una nuova ideologia di sinistra il
laburismo-liberista. I disastri li stiamo vedendo oggi.
Questa subalternità alla cultura anglo-sassone ha purtroppo annichilito per
vent'anni l'unica alternativa possibile:
l'economia sociale di mercato ed il liberalismo regolatore, non il socialismo
ma proprio il pensiero liberale classico.
Non è casuale se oggi i due paesi che, sia pure con molte contraddizioni, si
pongono all'avanguardia nel mondo per la ricostruzione delle regole, sono
Stati, diretti da governi liberali (Francia) o con forti presenze
social-democratiche (Germania).
Il gruppo dirigente del centro sinistra italiano confuse liberalizzazioni
con privatizzazioni, spacciando gli oligopoli creati dai governi di centro
sinistra sulla parola d'ordine "meno Stato", come il nuovo modello di
sviluppo.
In realtà la sinistra stava semplicemente applicando, con il furore tipico dei
neofiti, il pensiero di Friedman.
Le privatizzazioni realizzate (Banche, Telecom e Autostrade per esempio), e
liberalizzazioni mal riuscite (energia) o quelle manco tentate (es.
l'abolizione degli ordini professionali) hanno lasciato sul campo molti,
troppi, disastri che non sarà facile aggiustare.
Inoltre l'aver confuso il riformismo con "realismo pragmatico" ci ha portati
nelle condizioni attuali, il cui emblema sono gli esiti tremendi del
terremoto in Abruzzo, con i crolli delle palazzine e degli stabili pubblici
costruiti con di cemento "dis-armato".
Il riformismo può essere di destra o di sinistra, in quanto non è una dottrina
politica, esso è un metodo operativo che storicamente si è contrapposto alla
rivoluzione comunista, ed alla reazione di conservatrice, ma non può essere
privo di valori ed ideali forti di riferimento, ed oggi, piaccia o no,
l'unica radice ideale di sinistra rimasta viva, sia pure con tutte le sue
debolezze, è quella socialista.
Da qui si deve ripartire se si vuole veramente ricostruire un movimento
politico che sia in grado di rispondere ai bisogni ed alle richieste di quel
popolo che vive del proprio lavoro, o che vorrebbe vivere con dignità del
proprio lavoro, e che troppe volte una sedicente sinistra radical-chic ha
dimenticato.
Penso che queste mie riflessioni non saranno pubblicate, perchè questo è
un pensiero divergente rispetto a quello che persegue con coerenza il suo
giornale, comunque voglia gradire i più cordiali saluti di un affezonato
lettore del Riformista.
Dario Allamano
Nessun commento:
Posta un commento