domenica 19 aprile 2009

Paolo Valentino: se l'america capitalista si innamora del socialismo

Archivio storico
Dibattiti Politici, intellettuali e blogger di fronte alla tempesta della recessione
Se l' America capitalista s' innamora del socialismo
Un sondaggio scuote le certezze su mercato e deregulation

WASHINGTON - «Siamo tutti socialisti ora», proclamava in febbraio una copertina di Newsweek. Una provocazione, naturalmente. Generata dagli oltre mille miliardi di dollari stanziati dall' amministrazione americana, la più grande iniezione di denaro pubblico nell' economia in cento anni. E innescata dalle scomposte accuse di essere un «socialista», lanciate a Barack Obama dai tribuni ultraconservatori, come l' urlatore radiofonico Rush Limbaugh o il giornalista di Fox News, Sean Hannity. Nella tesi del settimanale, socialismo stava per socialdemocrazia: «Vogliamo ammetterlo o meno, l' America del 2009 sta evolvendo verso un moderno Stato europeo. E se non prendiamo atto del crescente ruolo del governo nell' economia, continuando invece a combattere battaglie del XXI secolo con termini e tattiche di quello scorso, siamo condannati a un dibattito sterile e divisivo». Basta un dato a sostegno: in dieci anni, la quota della spesa pubblica sul Prodotto interno lordo negli Usa è passata dal 34 al 40 per cento, mentre in Europa è scesa dal 48,2 al 47 per cento. È arrivata la primavera. Lo stimolo economico è già operativo. E nel buio di una crisi che continua a mordere e far male, sconvolgendo non solo le certezze materiali ma anche la psiche degli americani, ormai alle prese perfino con le somatizzazioni da recessione, il presidente Obama dice di vedere qualche «barlume di speranza». Ma il contenzioso sul socialismo, in varie forme e gradi di sofisticazione che vanno dal confronto di alto livello all' insulto becero, è ancora più polemico e urticante. A dargli nuovo combustibile sono stati due episodi, opposti ma collegati. Il primo è un sondaggio nazionale condotto da Rasmussen, uscito pochi giorni fa, secondo il quale appena il 53 per cento degli americani ritiene il capitalismo un sistema migliore del socialismo, il 20 è convinto del contrario e il 27 non è sicuro di quale dei due sistemi sia superiore. Dividendo per classi di età, i giovani sotto i 30 anni si distribuiscono quasi equamente, con il 37 per cento che preferisce il capitalismo, il 33 il socialismo e il 30 indeciso. Sopra i 40 anni non c' è partita: i simpatizzanti del socialismo si fermano al 13 per cento. È interessante notare che la domanda posta dagli intervistatori alle mille persone del campione non dava alcuna definizione dei due sistemi. L' altro episodio corona mesi di crescente retorica repubblicana, intravista fin dalle ultime fasi della campagna elettorale, quando John McCain e soprattutto Sarah Palin accusarono Obama di essere un «socialista». Nella Weltanschauung conservatrice la S word è diventata una vera e propria ossessione. Ne hanno fatto a varie riprese uso e abuso deputati, senatori, bloggers, quasi sempre per bollare i piani economici della Casa Bianca. Da ultimo, è successo tre giorni fa, un rappresentante repubblicano dell' Alabama, Spencer Bacchus, ha detto con orrore che diciassette dei suoi colleghi al Congresso «sono socialisti». Ha avuto il buon gusto di non fare i nomi, ma l' ultima volta che si era sentito qualcosa di simile fu ai tempi di Joseph McCarthy, il senatore che fece della caccia ai comunisti la sua crociata. Ma almeno allora c' era la guerra fredda e le spie al servizio di Mosca non erano un' invenzione. Il punto in ogni caso rimane: l' America sta diventando socialista, qualunque cosa ciò possa voler dire? «Nulla di quello che Barack Obama sta facendo annuncia la fine del capitalismo - dice Bruce Watson, analista di Daily Finance -, anzi il suo pacchetto mira a ricaricare il mercato. E se proprio vogliamo usare la terminologia dei critici, l' ironia massima sarebbe se lo stimolo socialista di oggi, si rivelasse la salvezza del capitalismo domani». Per Susan Duclos, blogger di WakeUpAmerica, gli americani dovrebbero vedere i risultati del sondaggio di Rasmussen dal punto di vista del bicchiere pieno al 53 per cento ed essere soddisfatti: «Non capisco perché tutti dicano "appena". Trovo che in questi tempi di crisi siano ottimi numeri. Anche perché, quando il capitalismo è chiamato economia del libero mercato, quella percentuale sale dal 53 al 70 per cento». «Sono piacevolmente sorpresa che così tanta gente pensi che il capitalismo sia migliore, è buon segno», chiosa Helen Smith, meglio nota sulla blogosfera come Mrs. Instapundit. In ogni caso, spiega John Judis della New Republic, quel sondaggio «non è un voto per un socialismo di modello sovietico». Durante la guerra fredda, «i conservatori fecero di tutto per identificare la socialdemocrazia con il comunismo dell' Urss, che aveva abolito il mercato, ma l' identificazione non ha avuto vita lunga». Judis è convinto che quel 30 per cento di giovani favorevole al socialismo «pensi piuttosto a un maggior ruolo del governo nell' economia e a più regole per il mercato, frutto della disillusione verso la magia della totale deregulation, predicata sia dai repubblicani che dai democratici». Come dire, parlano di socialismo, ma, coscienti o meno, pensano soprattutto a Keynes. Nel dibattito si è inserito perfino il più celebre degli storici marxisti, Eric Hobsbawm, che in un articolo sul Guardian ha dichiarato «falliti» sia il socialismo che il capitalismo, spiegando come «il futuro appartenga alle economie miste». Anche se poi lo studioso britannico non ha una risposta alla domanda su come pubblico e privato dovranno combinarsi, e quindi si limita a dire cripticamente «che la crescita economica e il benessere devono essere un mezzo e non un fine». Che la risposta l' abbia già data Thomas Jefferson, con la «ricerca della felicità»?

Valentino Paolo


Pagina 33
(12 aprile 2009) - Corriere della Sera

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