lunedì 20 aprile 2009

arturo scotto: sinistra e libertà per stoppare berlusconi in europa

dal sito di sd

Sinistra e Libertà per stoppare Berlusconi in Europa
di Arturo Scotto
Lun, 20/04/2009 - 07:04
Le prossime elezioni europee del 6 e 7 giugno saranno importanti non solo per certificare la vita o la morte di una sinistra in questo paese. Saranno un appuntamento decisivo per scegliere come, al tempo della crisi globale, conservare ed espandere il modello sociale europeo. La vicenda politica italiana questa volta ci corre in aiuto: ci troviamo per la prima volta di fronte ad un rischio di egemonia liberista e berlusconiana nell´Unione Europea. Fuori tempo massimo, tra l´altro. L´America rivaluta l´intervento pubblico, l´Italia sembra invece - nonostante le tirate colbertiste di Tremonti - ancora pienamente con i piedi negli anni 80. Con l´aggiunta, però, di una vocazione populista che appare infettare le destre europee e segnare definitivamente un cambio di natura dell´Unione. Ci troviamo per la prima volta di fronte ad un doppio processo: da un lato un´italianizzazione dell´Europa, dall´altro un´europeizzazione degli Usa. E´un ragionamento che si taglia con l´accetta, è evidente, ma c´è un fondo di verità. Se il Pdl dovesse sbancare e diventare così il primo partito della destra europea - oltre la soglia del 40 per cento - detterebbe inevitabilmente l´agenda del nuovo parlamento e della nuova maggioranza. Si romperebbe evidentemente l’alternanza senza alternativa rappresentata da PPE e PSE, su cui ha retto per un trentennio il Parlamento europeo, ma con lo scivolamento in una direzione regressiva di un intero politico. A quel punto, l´Europa rischierebbe di non essere più un argine formale alle accelerazioni reazionarie del governo italiano, ma una barriera di argilla facilmente sfarinabile, esposta ad uno sfondamento non calcolabile nelle politiche dell’accoglienza come in quelle economiche e sociali. Sì, perché tutti i tentativi di Berlusconi di cambiare di fatto la carta costituzionale nel nostro paese hanno trovato sino ad oggi rari (rarissimi) ostacoli interni, ma tanti e ripetuti vincoli esterni. La stampa estera da tempo denuncia l’eccezzionalismo italiano, non soltanto in termini di anomalia, ma anche e soprattutto dal punto di vista della rottura sistematica di tabù: dalle impronte digitali ai rom alla reato di clandestinità, dall’attentato alla libertà di sciopero alla spaventosa concentrazione mediatica di cui dispone la maggioranza. Un Berlusconi alla testa di Bruxelles renderebbe ciò che a gran parte dell’opinione pubblica europea appare anormale, eccessivo, improponibile, qualcosa di legittimo, di scontato, di accettabile. Insomma, oggi in Italia, domani in Spagna, in Francia, in Bulgaria, . Tutto questo avviene in un passaggio delicatissimo della vita della stessa Unione Europea: una crisi di ruolo estremamente condizionata dalle afasie degli ultimi anni. Prima vaso di coccio negli anni della guerra al terrorismo dell’amministrazione Bush, oggi forza essenzialmente irrilevante nella stagione dell’iperattivismo diplomatico di Obama, il quale, dal Sudamerica all’Asia, passando per il Medioriente e con la riapertura del negoziato sul disarmo con la Russia, sta dettando un agenda politica globale in cui l’Europa fatica stare al passo. Il crescente ruolo del pubblico nell’economia americana è inversamente proporzionale alla diminuzione negli anni dell’incidenza della spesa pubblica nel Pil europeo. Un fatto epocale che ci dice che una parte del pensiero economico nordamericano punta a riattivare i canali della spesa statale per aggredire la crisi globale, magari prendendo spunto da un modello di welfare più simile a quello renano che a quello reganiano degli anni 80. Ci sarebbe uno spazio politico enorme – di polemica politica innanzitutto - per la sinistra continentale, ma in questo passaggio sembra che la ricetta migliore alla crisi la forniscano proprio Berlusconi e i propri esegeti. la speranza viene soppiantata dalla paura, l’apertura al mondo viene respinta attraverso la chiusura nei recinti nazionali e nelle piccole patrie. Il leghismo come minimo comune denominatore del quadro politico europeo che potrebbe uscire dalla tornata elettorale del giugno prossimo. Come attrezzarsi? Innanzitutto non tirando indietro il piede, ma giocando d’attacco. Le ragioni ci sono e la realtà è dalla nostra parte. Andrebbe fatta emergere con più forza. Le politiche di arretramento dei diritti sociali (dalle 65 ore alla direttiva Bolkestein) possono essere ridimensionate e battute soltanto se si redige una Proposta per l’Europa. E questo può aiutare anche noi: uscire dal provincialismo di una disfida che sarà tutta al millimetro legata alla cucina nostrana e alla miseria di un dibattito politico ridotto a fare referendum sui vignettisti, significa cominciare a scendere nel merito delle proposte. Significa prendersi la libertà di ricominciare a parlare della politica che interessa alle persone e non indugiare nella semplice testimonianza di esistenza. Rifondazione propone l’uscita anticapitalista ed identitaria, fa il verso ai vari Besancenot disseminati per l’Europa, ma non riesce ad andare oltre. Può Sinistra e Libertà afferrare il mostro dell’Europa delle piccole patrie e restituirle una dimensione politica, dove i parlamenti decidono, gli stati nazionali cedono sovranità, l’economia viene amministrata non solo attraverso i tassi di interesse manovrati dalla Bce, ma anche attraverso indici più generali di misurazione del benessere materiale ed ambientale? Dentro di noi c’è la giusta pluralità di culture e storie in grado di produrre questo salto di qualità e di presentarsi come la nuova risposta al disagio di questi mesi e di questi anni. Sinistra e libertà può essere la forza che riapre il tema di una nuova Costituzione europea autenticamente democratica, che rilancia il processo di dialogo euro mediterraneo, riappropriandosi del diritto di parola sulla guerra in Medioriente, che dirige la riconversione in senso ecologico della nostra economia. L’Europa è il nostro tempo, il tempo della sinistra e delle giovani generazioni. Evitiamo che finisca per essere solo una percentuale, seppur importante, che segna la nostra esistenza o la nostra scomparsa.

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