Estremo Occidente
Ieri 27 aprile 2009, 10.34.01
Se ci attende un futuro giapponese
Ieri 27 aprile 2009, 10.34.01 | rampini
Le previsioni del Fondo monetario internazionale condannano l’Europa ad una uscita dalla crisi in stile nipponico: una ripresa tardiva e finta, senza crescita. Una bonaccia in cui tutti i nostri mali diventerebbero cronici, insolubili: dal debito pubblico alla crisi previdenziale, dal precariato alle tensioni sociali. Lo scenario del Fmi è a doppio taglio. E’ cautamente positivo nel prometterci che nel 2010 arriverà la ripresa mondiale, grazie alla Cina e anche agli Stati Uniti.
Ma le previsioni dell’organismo di Washington sono preoccupanti per l’Europa e in particolare per l’Italia: nel 2010 saremo ancora in retromarcia, usciremo dalla recessione più tardi degli altri, e col rischio di insabbiarci nella crescita zero. Cioè appunto lo scenario già vissuto dal Giappone dopo la sua lunga depressione-deflazione degli anni 90, seguita da un ristagno.
Quella crisi nipponica oggi viene riscoperta dagli esperti internazionali perché molte delle sue cause originarie (bolle speculative e banche malate) prefigurarono 20 anni fa i meccanismi all’opera nello choc globale del 2008. Ma anche il dopo-crisi di Tokyo è istruttivo: afflitto da alto debito pubblico e un invecchiamento demografico record, anche dopo essere “guarito” dalla deflazione-depressione acuta, il Giappone non ha più ritrovato il cammino di una crescita vigorosa.
E’ lo spettro che il Fmi ci fa apparire con le previsioni sull’Europa. La ripresa del 2010 secondo l’organismo di Washington sarà soprattutto una vicenda cinese e americana.
In Europa l’asse Merkel-Sarkozy ha rifiutato piani di rilancio concertati, e le manovre di spesa pubblica aggiuntiva sono nettamente inferiori allo sforzo sino-americano. Il risultato, stando alle proiezioni del Fmi, è allarmante. Nel 2010 per il Vecchio continente si ridurrà semplicemente la velocità di de-crescita. Una ripresa autentica per noi non è in vista neppure l’anno prossimo. E quando ci sarà potrebbe essere asfittica, a velocità minima.
Evitare la trappola giapponese diventa la sfida per gli europei. Tanto più che in concomitanza con lo scenario del Fmi, un dato clamoroso è giunto proprio da Tokyo: la prima bilancia commerciale in deficit da un trentennio. Un evento inaudito, per chi ricorda quale formidabile macchina da guerra è stata per decenni l’industria esportatrice del Sol Levante. Molto prima che in Estremo Oriente brillasse la nuova stella della Cina, era stato il Giappone a inaugurare la serie dei miracoli asiatici. Con una spiccata vocazione all’export, il made in Japan aveva invaso il mercato degli Stati Uniti generando immensi squilibri bilaterali: forti avanzi commerciali nipponici, deficit commerciali Usa.
La recessione ha scardinato quel modello. Per la prima volta dallo choc energetico degli anni 70, nell’anno fiscale 2008-2009 (chiuso a marzo) il Giappone ha segnato un deficit estero per 725 miliardi di yen. Non accadeva dal 1980, un anno ancora segnato dall’eredità di due choc petroliferi che avevano penalizzato duramente il Sol Levante.
Anche l’odierno deficit è figlio di un duplice choc, concentrato però nello spazio breve di un solo anno: il 2008 ha visto un primo semestre di iperinflazione delle materie prime (che hanno rincarato per i giapponesi il costo delle importazioni) e un secondo semestre in cui il crollo della domanda occidentale ha dato colpi tremendi a Toyota e Nissan, Sony e Panasonic, i pilastri dell’export.
Ma il naufragio del modello giapponese era stato preparato molto prima. Le sue premesse risalgono all’incapacità della classe dirigente di Tokyo di capire la deflazione-depressione degli anni Novanta. La loro lentezza nell’affondare il bisturi dentro un sistema bancario disastrato; la timidezza delle misure per il rilancio dei consumi interni; il rifiuto dell’immigrazione come rimedio alla denatalità. Sono tutti sintomi oggi presenti anche in Europa.
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